Analisi – Sedici anni di cancellierato sono un tempo importante nella recente storia tedesca ed europea. È possibile farne un bilancio, andando oltre gli stereotipi e la retorica, prendendo spunto da alcuni dei principali temi di politica interna ed estera che hanno caratterizzato i suoi mandati.
OLTRE L’IMMAGINE RASSICURANTE
Sedici anni alla guida della più importante economia europea, che hanno segnato la storia della Germania e della stessa Europa, hanno definito in buona parte dell’immaginario collettivo Angela Merkel come simbolo rassicurante di buon governo e continuità politica. Mutti, la mamma, come la chiamano i tedeschi, sembra esprimere nella pacatezza degli atteggiamenti e nella ragionevolezza delle argomentazioni l’essenza stessa della fiducia nelle proprie convinzioni e azioni.
A ben guardare, tuttavia, i quattro mandati consecutivi da Cancelliera federale sono stati caratterizzati da prese di posizione apparentemente poco coerenti e da decisioni a volte contraddittorie.
Fig. 1 – Angela Merkel davanti a un ritratto di Helmut Kohl, suo “padrino” politico
RIPENSAMENTI E CONTRADDIZIONI
Pensiamo alla differenza di approccio tra la gestione della crisi del debito greca iniziata nel 2009, quando il duo Merkel-Schauble ha interpretato in maniera probabilmente tendenziosa la parte del difensore puritano della rigidità dogmatica dell’austerity, esigendo impietosamente il ripagamento dei debiti, ma trasferendone di fatto la sofferenza dalle banche tedesche ai cittadini greci (pur avallando le politiche di sostegno della BCE che hanno impedito l’uscita di Atene dalla zona euro), e il contrario atteggiamento di fronte alla crisi economica innescata dalla Covid-19, con il via libera ai vari strumenti di recovery (primo fra tutti Next Generation EU) che sostanzialmente aiutano soprattutto i Paesi del Sud Europa e aprono la strada alla mutualizzazione del debito.
Sull’immigrazione, tema caldo degli ultimi anni, tutti ricordano la generosità e l’assunzione di responsabilità politica con cui Merkel decise nel 2015 di accogliere oltre un milione di profughi siriani in fuga dalla guerra. Nello stesso tempo (2016) la Germania fu capofila dell’accordo stretto dall’Unione Europea con la Turchia per bloccare i migranti all’esterno dei confini europei, patto faustiano con un Paese che alcuni non esitano a definire dittatura e che in nome della realpolitik ha consegnato a Erdogan, oltre a svariati miliardi di euro, le chiavi del ricatto migratorio.
Per quanto riguarda la politica interna, vari critici rimproverano a Merkel la mancanza di riforme in settori essenziali dell’economia tedesca, come ad esempio il settore bancario (da anni oggetto di preoccupazione in quanto ritenuto troppo frammentato e fondamentalmente soggetto alle influenze politiche locali) e l’industria automobilistica (tuttora dominante ma considerata poco innovativa e travolta dallo scandalo emissioni truccate della Volkswagen).
In politica estera una costante dell’era Merkel è stata l’attenzione al mantenimento di buoni rapporti con la Russia, a volte in contrasto con la volontà di altri partner europei. Sicuramente retaggio delle memorie e paure ex-DDR, ma anche lucida politica tesa a dialogare piuttosto che chiudere con i potenziali nemici, la relazione speciale con la Russia ha implicato comunque luci e ombre: nelle tensioni tra Russia e Ucraina (sfociate in guerra con l’invasione della Crimea nel 2014) la Germania riuscì abilmente a guidare l’UE verso le sanzioni senza però rompere con Putin, perseverando nella continuazione del gasdotto Nord Stream 2, che aumenta la dipendenza energetica diretta tedesca ed europea da Mosca tagliando fuori l’Ucraina, nonostante l’avversità di molti per il potere fornito al Cremlino su uno dei principali asset geopolitici del mondo contemporaneo, ossia l’energia.
Nel contesto dei rapporti euroatlantici con la Cina è stata la Cancelliera tedesca a spingere fortemente la UE alla firma dell’accordo sugli investimenti del 2020, in contrasto con gli USA: accordo al momento bloccato, che probabilmente non si concretizzerà in reali vantaggi commerciali e anziché offrire all’Europa nuove opportunità sembra avere incrinato ogni possibilità di linea comune con gli Stati Uniti di Biden a fronte della ascendente volontà egemonica cinese. Secondo i suoi critici sarebbe questo uno degli esempi più eclatanti dell’approccio “mercantilista” di Angel Merkel alla politica estera, privo di profondità di visione e poco attento ai diritti umani.
Tornando indietro di molti anni, un esempio storico dei riposizionamenti merkeliani è quello circa il nucleare, dapprima difeso dalla scienziata Merkel (fisica specializzata in chimica quantistica) e poi rinnegato dopo l’incidente di Fukushima, con la decisione di chiusura di ogni centrale entro il 2022 e l’avvio di una ambiziosa politica di trasformazione del sistema energetico in chiave verde (Energiewende).
Fig. 2 – Che Germania sarà dopo 16 anni di Merkel?
LA CAPACITÀ DI CAMBIARE IDEA E DI PORSI COME MEDIATRICE
Tutto questo fa di Merkel una politica e una premier incoerente? Niente affatto. Senza dimenticare che raramente la coerenza in politica esiste, soprattutto quando si è al potere per così tanti anni, la caratteristica preminente dell’esercizio del potere di Angela Merkel è stata probabilmente il pragmatismo, la capacità di analizzare obiettivamente la realtà e i rapporti di forza ed essere flessibile: se c’è un elemento costante nella sua storia è quello di aver sempre avuto la dote di tenere fermamente le proprie posizioni (e quelle delle varie coalizioni di Governo che l’hanno sostenuta) fino a quando possibile, per poi comunque accettare di cambiare idea o proporre la mediazione prima che le situazioni di crisi potessero degenerare e divenire ingestibili.
Questa capacità, esercitata con naturale serietà, è stata il suo marchio di fabbrica e le ha garantito il rispetto, tuttora molto alto, dei cittadini tedeschi e degli interlocutori internazionali.
Se è incerta la sua eredità politica in Germania (cosa diverrà la CDU/CSU orfana della sua leadership?), è sicuro che il grande merito della Merkel è stato quello di aver tenuto ben dritta la barra dell’europeismo, nella consapevolezza che il ruolo egemone della Germania va esercitato senza troppo clamore, senza arroganza e presunzione. Se l’Europa ha superato anni difficili e non si è disunita dopo la crisi greca o la Brexit o la pandemia, anzi potrebbe aver imboccato una strada di possibile rafforzamento, una parte non piccola di merito è sicuramente delle capacità di indirizzo e mediazione di Angela Merkel.
La sua lucida pacatezza è ciò che probabilmente serviva nel particolare momento storico.
Ad altri tocca ora prendere atto dei cambiamenti mondiali e costruire assieme a nuovi protagonisti (nell’Europa in cui per necessità storica la Germania è elemento centrale) percorsi forse più originali e lungimiranti per i periodi nuovi e di rapidi cambiamenti che si prospettano.
Paolo Pellegrini
“Angela Merkel im Christlichen Gästezentrum Schönblick” by Medienmagazin pro is licensed under CC BY-SA