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Bel colpo, Presidente

La Conferenza di Washington sul nucleare ottiene risultati soddisfacenti. Obama rilancia la leadership internazionale americana e annuncia un obiettivo fondamentale: mai l'atomica in mano ai terroristi. Intanto, la pressione sull'Iran sale, e il ruolo della Cina sulla questione diventa sempre più strategico.

I RISULTATI – Il presidente statunitense esce vincitore dalle giornate della Conferenza, poiché è riuscito a far nascere una coalizione internazionale che condivide obiettivi comuni e una strategia definita. La dichiarazione di chiusura è infatti chiara ed inequivocabile: è di fondamentale importanza ora, e lo sarà ancor di più nei prossimi anni, impedire ai gruppi terroristici di ottenere materiale nucleare. Questa la prima intenzione dei 47 firmatari dell’accordo raggiunto dopo lunghi incontri e discussioni serrate. Obiettivo che implicherà quindi controlli ancor più rigidi sulla produzione di uranio arricchito e plutonio separato, entrambi definiti materiali pericolosi perché utilizzabili da cellule terroristiche per produrre ordigni nucleari definiti “sporchi”. Capaci cioè di portare morte e distruzione ma più semplici da assemblare, nascondere e trasportare.

FATTI CONCRETI – Secondo quanto deciso a Washington, entro la fine del 2012 dovranno essere messi in sicurezza tutti i depositi nucleari a rischio. Al contempo verrà sostenuta l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), che diverrà sempre più importante all’interno della struttura delle Nazioni Unite, affinché possa garantire la sicurezza collettiva. Stati Uniti e Russia si impegneranno ad eliminare, a partire dal 2018, oltre 34 tonnellate di plutonio a testa. Un po’ come dire che cancelleranno 17 mila armi nucleari. Mosca ha poi confermato la chiusura dell’ultimo reattore a plutonio, mentre l’Ucraina eliminerà entro il 2012 le scorte nucleari trasferendole in depositi protetti sia negli Stati Uniti che in Russia. Ai paesi che dispongono di reattori ad uranio arricchito si è chiesto di convertirli in siti che utilizzano carburante nucleare non in grado di servire a fini militari. Gli Stati Uniti in primis, con Messico e Canada, si sono impegnati a convertire l’uranio arricchito in un tipo di carburante meno pericoloso e un reattore messicano, in grado di effettuare questo tipo di procedura, sarà messo a disposizione dell’AIEA, così che si possa tentare di risolvere diplomaticamente alcune delle controversie internazionali aperte proponendo una formula simile.

PRESSIONE SULL'IRAN – Il primo pensiero va all’Iran e allo sviluppo del programma voluto dalla leadership di Teheran: secondo la testimonianza resa al Senato da James Cartwright, Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate statunitensi, il paese degli ayatollah potrebbe infatti essere in grado di produrre entro i prossimi dodici mesi il combustibile nucleare per costruire una bomba atomica. Forse anche per questo la Casa Bianca ha deciso di affrettare i tempi e cercare nuove soluzioni, riunire una coalizione forte e provare a far desistere gli iraniani da propositi che potrebbero rivelarsi pericolosi per l’intera comunità internazionale. Mahmoud Ahmadinejad ha indetto un contro-summit a Teheran in cui verranno discussi temi come il disarmo e la non proliferazione. Al momento pochi paesi hanno confermato la presenza di delegati ufficiali all’incontro e se si escludono i tradizionali alleati iraniani, Siria e Venezuela su tutti, solo Cina ed India hanno risposto all’invito dell’ex pasdaran. Pechino e New Delhi invieranno però funzionari di basso livello, scelta che può essere letta come un segnale importante al governo iraniano: rispondere all’invito è forma di cortesia, inviare funzionari di seconda fascia significa considerare il summit poco più che una perdita di tempo. La Cina sembra essere sempre meno disposta ad essere il parafulmine della leadership iraniana nei consessi internazionali e a Washington il premier Hu Jintao si è detto disponibile a parlare di nuove sanzioni. I colloqui sono già iniziati a New York e quello che è stato descritto dal sottosegretario di Stato statunitense William Burns come un senso di urgenza collettivo sembra poter essere il preludio a decisioni rapide e dure nei confronti di Teheran.

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RICATTO NUCLEARE – La sensazione è che il pragmatismo che guida Barack Obama nelle scelte di politica internazionale stia iniziando a dare i primi frutti. Senza lanciare proclami ideologici e procedendo con una tattica che prevede piccoli passi, e una maggiore concretezza sui temi da trattare, il presidente statunitense sembra essere riuscito ad ottenere successi di non poco conto, almeno sulla questione dell’approccio alla questione del nucleare. La pressione sulla leadership iraniana aumenterà ancora nelle prossime settimane e se anche una soluzione della contesa rimane lontana, l’accordo raggiunto alla Conferenza di Washington preoccupa molto Teheran. Ahmadinejad ha accusato Obama di voler perpetrare un “ricatto nucleare” nei confronti dell’Iran e in una lettera inviata alle Nazioni Unite ha condannato le dichiarazioni di Robert Gates, secondo cui tutte le opzioni per fermare lo sviluppo del nucleare iraniano sono sul tavolo. Opzione militare compresa. L’iniziativa del leader iraniano sembra essere l’ennesima trovata diplomatica per prendere tempo e tentare di gettare ulteriore discredito sui progetti della Casa Bianca.

IL RUOLO DI PECHINO – Probabilmente Mahmoud Ahmadinejad ha capito che si trova a dover fronteggiare ora un avversario, Barack Obama, che è molto più insidioso del suo predecessore, quel George W.Bush capace di lanciare proclami ideologici contrapposti nella sostanza, ma simili nella forma, a quelli dell’ex pasdaran. L’attuale tattica del presidente democratico, che prevede la creazione di una ragnatela internazionale, fatta di decisioni condivise, per fermare lo sviluppo del programma nucleare iraniano, potrebbe portare al successo. Il paese degli ayatollah, anche se i funzionari governativi dichiarano ogni giorno il contrario, sembra essere sempre più isolato. Se la Casa Bianca riuscirà a coinvolgere ancor di più Pechino nella strategia di lungo periodo per la “questione Iran” si vanificheranno anche le residue speranze del governo di Teheran di possedere armi atomiche. La partita che si gioca ora riguarda gli equilibri geopolitici dell’intera regione asiatica e anche la questione del nucleare iraniano è sempre più inserita all’interno del processo di definizione dei futuri rapporti di forza sino-statunitensi nell’area. Il corso degli eventi e le modalità decisionali con cui verrà disinnescata la minaccia iraniana saranno forse un buon argomento di studio per poter fare previsioni sulle possibilità che avrà la Cina di sostituire gli Stati Uniti nel ruolo di potenza principale nella regione asiatica. Al momento però, sul fronte dell’iniziativa politica e ancor più sul fronte strategico-militare, Washington non sembra ancora avere rivali in grado di competere.

 

Simone Comi [email protected]

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