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Il terrorismo internazionale incontra la geopolitica (II)

Miscela StrategicaEsploriamo la dimensione operativa di Jemaah Islamiyah, la sua organizzazione militare e le tattiche di impiego. In questa seconda parte della nostra analisi scopriamo una organizzazione che opera in maniera strutturata, che si addestra con metodo e anche con innovatività.  

 

Leggi qui la prima parte dell’analisi.

 

RESILIENZA TERRITORIALE – Il legame intrinseco tra organizzazione e territorio è stato in passato sottovalutato ma è uno dei punti di forza di Jemaah Islamiyah (JI). Sebbene ci siano degli esponenti di spicco, non è mai emerso un vero e proprio capo carismatico del gruppo e questo ha fatto inizialmente pensare ad una leadership non consolidata. Al contrario, imparando dagli errori di Al-Qaeda, la cui leadership è stata individuata e presa di mira, JI ha orchestrato una complessa catena di comando che permette di rimpiazzare con effetto immediato l’esponente catturato o ucciso. Ad esempio, dopo la cattura dell’Emiro Zarkasih, nel 2007, non è stato identificato un nuovo capo, ma è probabile che sia stato sostituito prontamente da Para Wijayanto o Hadi Surya, altri due esponenti di primo piano.

Jemaah Islamiyah opera come una vera e propria organizzazione regionale, e divide il proprio territorio in divisioni amministrative (Mantiqi) ben definite. Il primo Mantiqi, ad esempio, comprende Singapore, Malaysia e Thailandia, il secondo l’Indonesia, il terzo le Filippine, il quarto Australia e Papua. Nonostante il taglio regionale, però, il cuore pulsante dell’organizzazione è rappresentato dalle cellule operative, gruppi piccoli, ben infiltrati nel territorio. L’intera organizzazione serve a mantenere questi piccoli nuclei al massimo della loro operatività in termini di qualità dell’addestramento, armi, materiali e capacità di trasporto. I nuclei sono spesso a conduzione familiare, e questo rende difficile qualunque infiltrazione esterna e garantisce piena fiducia tra gli operatori. Queste caratteristiche rendono Jemaah Islamiyah estremamente resiliente ed al tempo stesso invisibile.

 

DIMENSIONE OPERATIVA – Oltre alla suddivisione per regioni esiste anche una partizione per comandi operativi, ciascuno dei quali assolve a mansioni precise. Ogni comando prende il nome di “Shura” (la traduzione sarebbe “consiglio”). Tipicamente sono identificabili tre comandi, ma la divisione dei compiti cambia da un Mantiqi ad un altro a seconda delle esigenze. In linea di massima la prima “Shura” si occupa del mantenimento delle capacità operative, in particolare dell’addestramento degli operativi e del reperimento di armi ed esplosivi.

La seconda “Shura” è invece responsabile della parte più visibile dell’organizzazione. Si occupa di divulgazione, proselitismo, predicazione ma anche interscambi di persone e informazioni. Tiene inoltre i rapporti con alleati e gruppi islamisti amici tra cui il Fronte di Liberazione Moro Islamico (MILF), Front Pembela Islam e Laskar Jundullah.

La terza “Shura” si articola come un comando dell’intelligence ed è responsabile del reperimento di informazioni e spionaggio. E’ inoltre appannaggio di questa Shura mantenere la disciplina interna e punire le violazioni. Esistono poi delle “missioni speciali” che vengono assegnate su base regionale a seconda delle opportunitĂ . Ad esempio è stato scoperto che solo il Mantiqi 1 mantiene un rapporto esclusivo col gruppo combattente Kampulan Mujahidin Mayalsia, col quale ha spesso trattato l’acquisizione di esplosivi. E’ inoltre in grado di gestire societĂ  di comodo per il lavaggio di denaro proveniente da attivitĂ  illecite. Tirando le somme, a dispetto della dispersione territoriale, Jemaah Islamiyah persegue una strategia coerente e una ripartizione dei compiti ben congegnata che ne ha fatto un attore non-statale internazionale unico nel suo genere, capace di portare avanti una politica regionale  (del terrore) propria. Solo in seguito all’attentato di Bali, il gruppo è stato oggetto di corpose operazioni congiunte di controterrorismo da parte di Singapore, Malesia e Indonesia, che hanno avuto bisogno del supporto informativo e logistico degli Stati Uniti per ottenere risultati significativi (2002-2009). Tuttavia, se il numero di attentati subiti nel sudest asiatico è stato sensibilmente ridotto, l’organizzazione è ancora viva e pienamente operativa, come dimostra l’ultimo attacco suicida sventato nel Dicembre 2012 a Davao, in Malesia.

 

Marines Filippini in pattugliamento durante la presa di Camp Abu Bakr a Mindanao
Marines Filippini in pattugliamento durante la presa di Camp Abu Bakr a Mindanao

ADDESTRAMENTO E TATTICHE – La derivazione da gruppi ribelli nazionalisti rimane una delle grosse discriminanti di Jemaah Islamiyah anche dal punto di vista della tattica militare. Sull’addestramento alla guerriglia sono state innestate, nel corso degli anni, tattiche provenienti dall’Afghanistan, le quali testimoniano il legame del gruppo con Al-Qaeda. Un primo gruppo di combattenti anziani ha partecipato direttamente alle azioni di sabotaggio contro i sovietici nei primi anni ’80 ed ha una formazione prettamente guerrigliera e focalizzata sul confronto diretto con l’avversario. Il gruppo originario rappresenta anche il “genuine link” tra Jemaah Islamiyah e la jihad internazionale. Diversa è invece la preparazione della grossa fetta degli operativi che sono oggi in posizioni esecutive: essi sono stati addestrati in Afghanistan e Pakistan dagli anni 90 ai primi anni 2000 e la loro impostazione rispecchia molto di piĂą le tecniche Qaediste, in particolare l’utilizzo di commando suicidi, il largo ricorso agli esplosivi e la predilezione per obiettivi “morbidi” (infrastrutture civili, centri abitati, linee di comunicazione). Tuttavia il nuovo combattente di Jemaah Islamiyah riceve un addestramento rivoluzionario nel suo genere. I comandanti di JI si sono dimostrati abili conoscitori di dottrine operative e hanno mutuato tecniche provenienti da Medio Oriente, Asia Centrale e Afghanistan fondendole in un programma completo. Questa vasta conoscenza è dovuta principalmente allo scambio intenso di informazioni, uomini e materiali che i Mantiqi hanno mantenuto con i principali gruppi combattenti internazionali, nonchè ai legami economici con alcuni Paesi arabi del Golfo (in particolare Yemen, Arabia Saudita e Oman). Fino al 2000, anno di smantellamento, la base di addestramento principale nel sudest asiatico è stata Camp Abu Bakar, a Mindanao, nelle Filippine. La base era gestita dagli alleati del MILF. L’operazione militare necessaria all’esercito filippino per prendere il campo di Mindanao durò settimane, a testimonianza della preparazione e dell’accanimento dei combattenti che lì si addestravano. Da allora le attivitĂ  addestrative sono state decentralizzate, ma il bagaglio di esperienze maturato a Mindanao non è andato perduto e pare faccia ancora parte del sillabus degli attuali operativi.

 

CONCLUSIONI – Jemaah Islamiyah continua ad essere tra le organizzazioni di cui si conosce relativamente poco sebbene il proprio spessore strategico sia considerevole per un gruppo terroristico. La struttura operativa continua a resistere agli sforzi congiunti dei Paesi interessati dal fenomeno. La capacitĂ  di rigenerarsi e addestrare nuove leve vanifica spesso il lavoro delle unitĂ  di controterrorismo, le quali hanno cercato di annichilirne la leadership con pochi successi. Le sue capacitĂ  militari sono temute anche dagli Stati Uniti, il cui coinvolgimento nello scacchiere est asiatico, e a supporto dei Paesi facenti parte dell’emirato di JI, potrebbe provocare una nuova ondata di attacchi.

 

Marco Giulio Barone

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Marco Giulio Barone è analista politico-militare. Dopo la laurea in Scienze Internazionali conseguita all’Università di Torino, completa la formazione negli Stati Uniti presso l’Hudson Institute’s Centre for Political-Military analysis. A vario titolo, ha esperienze di studio e lavoro anche in Gran Bretagna, Belgio, Norvegia e Israele. Lavora attualmente come analista per conto di aziende estere e contribuisce alle riviste specializzate del gruppo editoriale tedesco Monch Publishing. Collabora con Il Caffè Geopolitico dal 2013, principalmente in qualità di analista e coordinatore editoriale.

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