In 3 sorsi – La regione di confine tra i tre Paesi dell’Africa Occidentale è sempre più soggetta ad attacchi da parte di gruppi ribelli. La reazione militare delle Autorità non è finora riuscita a garantire una maggiore stabilità per i cittadini.
1. LA CRESCENTE INSTABILITÀ
Il tema della sicurezza regionale dell’Africa Occidentale ha attirato negli ultimi anni una progressiva attenzione mediatica a causa della crescente instabilità che caratterizza i Paesi all’interno di tale contesto. La pressione climatica dovuta alla desertificazione, le tensioni socioeconomiche e l’inaffidabilità della classe politica rappresentano solo alcuni degli elementi che contribuiscono a esacerbare la condizione di instabilità e le violenze a essa legate nei territori coinvolti. Ciò è particolarmente vero nelle aree di confine, in cui, sebbene la reazione delle Autorità sia stata intensificata, le attività trans-frontaliere violente da parte di attori non statali si verificano sempre più frequentemente. Il Burkina Faso, piegato dal conflitto interno a partire dalle dimissioni forzate del Presidente Blaise Compaoré nel 2014, rappresenta un caso esemplare. Considerata la vicinanza a territori già soggetti a una pressione da conflitti interni, quali Mali e Niger, non stupisce che la degenerazione delle condizioni di sicurezza in Burkina Faso abbia scatenato preoccupazioni per la stabilità dell’intera regione. Non è un caso che il territorio, storicamente noto come Liptako-Gourma, sia stato negli ultimi anni soggetto da una parte a un incremento nella frequenza di attacchi da parte di gruppi armati appartenenti a numerose fazioni non-statali (locali e transnazionali), dall’altra a un’esasperata intensificazione delle misure di sicurezza, che non hanno portato ai risultati sperati.
2. LA COMPLESSITÀ DELLA QUESTIONE
Il mancato raggiungimento degli obiettivi di stabilità e sicurezza nella regione è principalmente dovuto all’implementazione di un approccio securitario spesso miope, non basato su una comprensione approfondita delle cause che sottendono la radicalizzazione dei civili, nonché della violenza dei gruppi armati coinvolti. In particolare l’attrazione mediatica di gruppi di matrice islamica affiliati, come JNIM (Jamaat Nusrat al Islam wa al Muslimin) e Ansaroul al-Islam, insieme ai più noti al-Qaida e Stato Islamico, getta spesso ombra sui processi locali che stanno alla base delle frequenti violenze. Se da una parte è vero che tali gruppi di matrice jihadista siano coinvolti in gran parte degli attacchi riportati, queste organizzazioni trans-nazionali sono indissolubilmente legate a gruppi radicali di origine locale, che affondano le proprie radici (spesso anche molto recenti) in una profonda insoddisfazione nei confronti del contesto quotidiano circostante. A giugno del 2021 160 civili sono stati uccisi in un assalto al villaggio minerario di Solhan. Sebbene i principali sospettati di tale massacro siano i gruppi di matrice jihadista, nessuno dei grandi movimenti di ideologia affine coinvolti nel territorio ha rivendicato l’attacco. Ciò probabilmente è dovuto al fatto che a portare avanti gli attacchi sono spesso movimenti locali con un grado variabile di affiliazione verso organizzazioni più estese e trans-nazionali. Gruppi locali che, sebbene in molti casi motivati anche dall’ideologia jihadista (ad esempio Ansaour al-Islam), reclutano e agiscono in funzione di rivalità locali e dell’instabilità socioeconomica della regione. Un dato che, peraltro, è supportato dal fatto che la maggior parte degli attacchi su bersagli civili è stato portato avanti a danno di membri di specifiche comunità etniche (Mossi e Foulse).
3. LA REAZIONE DELLE AUTORITÀ
La crisi in corso alle frontiere tra Burkina Faso, Mali e Niger, come spesso è accaduto in contesti simili, rappresenta ad oggi un circolo vizioso di attacchi da parte dei ribelli e inasprimento delle misure di sicurezza. In aggiunta alla diffusa corruzione e inaffidabilità dei rispettivi Governi nazionali della regione, le misure implementate dagli attori internazionali con lo scopo di porre fine agli attacchi terroristici influenzano in modo rilevante il comportamento degli attori coinvolti. L’esternalizzazione della politica migratoria europea ha portato negli ultimi anni a un’intensa militarizzazione delle aree di confine nella regione dell’Africa Occidentale. Ad oggi tali misure non solo hanno compromesso gli storici processi migratori trans-frontalieri del territorio, ma non hanno nemmeno portato a termine il principale obiettivo di incrementare la sicurezza dei civili coinvolti. In diverse occasioni sono stati registrati abusi di potere e uccisioni extragiudiziali in massa da parte delle Forze dell’Ordine nazionali. È il caso del villaggio di una comunità Fulani, nei pressi della comune di Kantchari, al confine con il Niger, violentemente depredato dalle Forze dell’Ordine in risposta all’uccisione di un agente. Dinamiche di questo tipo, insieme all’esteso clima di insicurezza regionale, hanno inoltre incentivato la formazione di gruppi armati di cittadini denominati Koglweogo (bush guardians), con l’intento di proteggere la propria terra e i propri beni sia dai gruppi armati ribelli che dalle forze di sicurezza.
Marco Monaco
Immagine di copertina: US Army Africa, licensed under CC BY 2.0