Ristretto – Per la prima volta dal 1980 lo Zimbabwe ha votato senza la presenza di Robert Mugabe, destituito nel novembre 2017 da un golpe incruento.
Per il Paese è stato un passaggio storico: i cittadini sono stati chiamati a scegliere la direzione di una transizione che sarà prevedibilmente lunga e complessa, durante la quale lo Zimbabwe dovrà ridurre le tensioni, ricostruire l’economia e ritrovare il proprio posizionamento internazionale, tra gli USA, il Commonwealth e la sempre maggiore presenza cinese.
Nelle urne si sono sfidate infatti due visioni politiche molto diverse, anche per i trascorsi dei principali candidati. Da un lato c’era l’attuale presidente Emmerson Mnangagwa, un tempo braccio destro di Mugabe, poi tra i protagonisti del golpe, che con il partito di Governo, lo ZANU-PF, punta a gestire il potere in un’ottica di moderato cambiamento in continuità con il passato – una soluzione molto gradita alla Cina.
Dall’altra parte, invece, il candidato dell’MDC-T, Nelson Chamisa, il quale propone una netta inversione soprattutto economica, a cominciare dalla volontà – difficilmente attuabile – di rivedere i rapporti con Pechino, preferendo cercare la sponda degli Stati Uniti.
Nonostante i timori della vigilia – il 23 giugno Mnangagwa è sfuggito a un attentato, – le operazioni di voto si sono svolte quasi ovunque in modo pacifico e regolare, con un’affluenza che in alcune zone ha superato l’80%. Per i risultati occorrerà attendere alcuni giorni, ma già da stamani Chamisa ha cominciato a rivendicare la vittoria, sostenendo di essere «clamorosamente in vantaggio».
L’eventuale – e, secondo i sondaggi, probabile – ballottaggio sarà l’8 settembre.
Beniamino Franceschini