In 3 sorsi – Un nuovo terreno di scontro sembra aprirsi nella corsa alla supremazia tra Cina e Stati Uniti: il Pacifico. Pechino vuole assicurarsi un ruolo dominante nelle Isole Salomone, prossime all’Australia, tramite un accordo segreto che ha colto il mondo di sorpresa. Si può ancora porre rimedio, o è già tardi?
1. PECHINO ORA PUNTA AL PACIFICO
Un accordo dapprima segreto, ora sulla bocca di tutti. Una collaborazione che potrebbe cambiare gli assetti strategici del Pacifico. L’intesa tra Pechino e le Isole Salomone, Stato sovrano a nord dell’Australia, è giunta alle cronache internazionali in seguito a una fuga di documenti, pubblicata dal New York Times lo scorso 24 marzo. È necessario fare un passo indietro. I primi contatti tra i due Governi e l’instaurazione di rapporti diplomatici sono avvenuti nel 2019. L’esplicita richiesta di Pechino di fornire un prestito commerciale di 100 milioni di dollari a patto di rescindere i legami con Taiwan fu accolta dal premier Manasseh Sogavare, ma provocò forti rimostranze da parte della popolazione e di molti deputati. Il risentimento dei locali si manifestò sempre nel 2019, quando una conglomerata in mano al Governo cinese tentò di prendere tramite leasing una delle maggiori isole dell’arcipelago per 75 anni, al fine di controllare uno strategico porto commerciale. A seguito di numerose proteste, l’accordo fu cancellato. Ma da dove nasce questo grande interesse cinese per il piccolo Stato insulare?
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Due militari australiani coinvolti nelle operazioni di peacekeeping nelle Isole Salomone dopo le rivolte popolari del novembre 2021
2. UN ARCIPELAGO AL CENTRO DI MOLTI INTERESSI
Le Isole Salomone occupano una posizione strategica: una delle porte di ingresso al Pacifico, sono prossime all’Australia, con cui intrattengono proficui accordi militari e commerciali. Accordi che si sono concretizzati a seguito delle recenti e massicce rivolte popolari del novembre 2021, durante le quali l’Australia ha inviato una forza di polizia al fine di ristabilire l’ordine pubblico. L’origine delle sollevazioni? L’acuirsi del dissenso degli isolani nei confronti di una sempre maggiore ingerenza cinese, fatta di industrie di sfruttamento del sottosuolo e lavoratori non autoctoni. All’epoca Pechino si offrì di inviare reparti di polizia e equipaggiamento specifico per sopperire alle mancanze dei corpi locali, con lo scopo celato di operare anche a protezione delle suddette aziende. L’accordo odierno con la Cina si presenta dunque come una continuazione “naturale” di questi rapporti. Ogniqualvolta se ne presenti l’occasione, “le Salomone potrebbero richiedere, in base alle esigenze, l’invio di polizia, esercito e altri corpi allo scopo di assistenza per il mantenimento dell’ordine pubblico”. Ma il punto che ha generato maggiore inquietudine riguarda la parte cinese, poiché “Pechino si riserva l’utilizzo delle isole come base di rifornimento per future spedizioni”. Spedizioni commerciali o strategiche? Siamo dunque di fronte a una possibile costruzione di installazioni militari? Il premier Sogavare lo ha prontamente negato, anche se le potenze occidentali, Stati Uniti in primis, sostengono il contrario.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Il premier delle Salomone Manasseh Sogavare insieme a quello cinese Li Keqiang durante la visita a Pechino dell’ottobre 2019
3. PROSPETTIVE DI UN’ALLEANZA SCOMODA
La rivelazione dell’accordo ha messo in moto le cancellerie di Washington, Canberra e Taipei. Mentre la Presidente taiwanese Tsai Ing-Wen teme un riproporsi della situazione nel Mar Cinese Meridionale, Stati Uniti e Australia hanno utilizzato l’avvenimento come fulcro per un’azione ancora più incisiva. Il premier australiano Scott Morrison, in un comunicato del 28 marzo scorso ha richiesto in maniera esplicita e inusuale che le Figi e Papua Nuova Guinea facciano pressione sulle Salomone affinché abbandoni l’accordo con la Cina. Al comunicato ha fatto seguito una dichiarazione di Sogavare, che ha additato le richieste di Canberra come “offensive”, aggiungendo che l’accordo con Pechino è invece pronto per essere ratificato. Per Washington la questione è differente: il Pacifico è dal 1945 sotto la sua influenza. L’ipotesi di installazioni militari che possano minacciare la strategica base di Guam o, nel peggiore dei casi, le Hawaii, sembra insostenibile. La reazione americana non si è fatta attendere: dopo 29 anni di assenza, prevedendo nuove mosse da parte di Pechino, l’Amministrazione Biden ha annunciato a febbbraio la riapertura di una propria ambasciata alle Salomone. L’accordo ha colto le potenze occidentali di sorpresa, in un momento in cui l’attenzione della comunità internazionale è diretta al conflitto in Ucraina. La politica espansionistica di Pechino sembra aver varcato quell’anello di contenimento che gli Stati Uniti, curando nel tempo molteplici alleanze, avevano gradualmente costruito. Quali saranno le successive strategie che entrambe le parti metteranno in atto per contrastare le mosse avversarie?
Leonardo Vittori
“Ships assigned to Destroyer Squadron 23 transit the Pacific Ocean, Jan. 22, 2020.” by Official U.S. Navy Imagery is licensed under CC BY