In 3 sorsi – La crisi migratoria ha messo in luce le spaccature interne ai Paesi europei. Ma ha anche contribuito ad accendere i riflettori internazionali sulla politica francese in Africa
1. L’INFLUENZA ECONOMICA FRANCESE IN AFRICA
L’espressione Françafrique viene generalmente utilizzata per designare la politica espansionistica della Francia nelle proprie ex colonie africane, che di fatto continuano a rappresentare uno spazio economico di primaria importanza per gli interessi di Parigi. Infatti per i Paesi del Maghreb e dell’Africa francofona, la Francia continua a essere il primo o il secondo partner commerciale. Esistono anche dei casi limite, come ad esempio la Costa d’Avorio, il cui PIL può essere ricondotto per quasi il 50% ai rapporti economici con Parigi. L’influenza della Francia nelle ex colonie, dunque, rimane ancora fortissima. La principale “arma finanziaria” è senza dubbio il franco CFA, la moneta africana satellite dell’euro che viene stampata in Francia e che obbliga le ex colonie a depositare la metà delle loro riserve all’ombra della Torre Eiffel. Inoltre, con la vittoria di Macron, l’Eliseo ha subito cercato di estendere la sfera d’influenza anche alla cultura e all’istruzione. Basti pensare che nel suo ultimo discorso in Burkina Faso, il Presidente francese ha detto che avrebbe offerto agli studenti burkinabé l’accesso agli stessi libri di testo (e con lo stesso contenuto) che viene riservato agli studenti di Lione o Marsiglia. A differenza dei suoi predecessori, perciò, Macron si è posto l’obiettivo di trasmettere alle nuove generazioni africane un quadro mentale marcatamente francese. In questa direzione va anche l’istituzione del Conseil Présidentiel pour l’Afrique, i cui membri sono interamente cittadini francesi originari delle ex colonie e con doppia cittadinanza. Un chiaro tentativo di vincere la diffidenza dei giovani africani e aumentare la penetrazione francese nel continente.
Fig. 1 – Manifestazione di protesta contro il franco CFA svoltasi a Dakar nella Place de l’Obelisque a settembre 2017
2. LA PRESENZA MILITARE FRANCESE IN AFRICA
Da Gibuti al Gabon, passando per il Niger e la Repubblica Centrafricana, sono tanti i Paesi che ospitano militari francesi sul proprio territorio. Il dispiegamento di soldati transalpini in Africa ha raggiunto il picco dopo l’intervento militare intrapreso da Hollande nel 2013 per combattere i gruppi jihadisti nella regione di Timbuctu. Da allora la missione francese si è ampliata anche nel Sahel. E, non a caso, uno dei punti fondamentali della politica dell’Eliseo è proprio il supporto alla creazione del cosiddetto G5 del Sahel: un quadro istituzionale per la cooperazione regionale nelle politiche di sviluppo e di sicurezza, che comprende Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad. Lo scopo principale di queste operazioni sembra però quello di proteggere gli interessi geostrategici francesi nella regione, come lo sfruttamento dell’uranio in Niger, del petrolio in Senegal e dell’oro in Mali. Il G5 del Sahel è dunque l’ultima mossa escogitata dall’Eliseo per suggellare la sua influenza nella regione e per contenere le mire espansionistiche dell’Algeria. In ultima analisi, non bisogna dimenticare che molto spesso i principali alleati della Francia sono proprio le fragili e corrotte classi dirigenti africane, che non disdegnano l’aiuto di Parigi per garantirsi la protezione da rivoluzioni o colpi di Stato. Ne è un esempio il presidente del Ciad Idriss Dèby, che ha più volte sollecitato l’intervento francese per sconfiggere i ribelli che minacciano il suo regime.
Fig. 2 – Il presidente francese Macron insieme al presidente maliano Ibrahim Boubacar Keita durante il summit G5 Sahel, svoltosi a Bamako nell’estate 2017
3. QUALI SCENARI PER IL FUTURO?
Con un’età media di 18 anni e con una popolazione totale che raggiungerà i 4 miliardi entro il 2100, il ruolo geopolitico dell’Africa sembra destinato a cambiare radicalmente. Per la Francia dunque, la sfida africana si presenta estremamente difficile. In quest’ottica va anche visto il riavvicinamento di Macron alla Libia e alla Nigeria, che porta gli interessi francesi al di fuori dei confini storici dell’Africa francofona. Il fattore linguistico è destinato a svolgere comunque la sua parte, dato che la “lingua di Molière” diventerà presto uno degli idiomi più diffusi nel continente. Tuttavia, l’appeal che la cultura francese esercita sui giovani africani non ha risparmiato dure critiche alla politica di Macron, accusato (e non a torto) di stringere relazioni con regimi dispotici e corrotti. L’ambiguità del Presidente francese ha recentemente portato anche alla nascita di movimenti di contestazione “anti-francesi”, come Balai Citoyen in Burkina Faso, o Y’en a Marre e France Dégage in Senegal. Data la fame di libertà dei giovani africani, chissà se non ne nasceranno altri ancora. D’altronde, come diceva Plinio il Vecchio, «Ex Africa semper aliquid novi», dall’Africa c’è sempre qualcosa di nuovo.
Alessandro Paglialunga