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COP27: piccoli traguardi che nascondono un grande fallimento

In 3 sorsi – La COP27 si è dimostrata all’altezza delle previsioni che la ritraevano come un fallimento preannunciato e una vetrina per il regime autoritario di Al-Sisi. Gli scarsi risultati sottolineano come la strada per l’affrancamento dai combustibili fossili sia ancora lunga.

1. LE PREMESSE

La COP27 tenutasi a Sharm El-Sheikh dal 6 al 20 novembre si è aperta in un clima tutt’altro che disteso, con la guerra in Ucraina e le tensioni su Taiwan tra i due massimi emittenti globali di CO2 che hanno fatto da sfondo alle accuse di greenwashing rivolte al regime di Al-Sisi. Le premesse non erano da meno visto che non si potrebbe essere più lontani dagli obiettivi fissati a Parigi nel 2015, tra i quali quello di limitare l’aumento della temperatura media globale rispetto ai livelli preindustriali di 1,5°C (adesso a circa 1,2°C). Se infatti il UN’s Intergovernmental Panel on Climate Change’s nel 2018 stimava che per rimanere nei parametri si sarebbe dovuto diminuire le emissioni di C02 del 45% entro il 2030, le previsioni correnti parlano di un aumento delle emissioni di gas serra del 10,6% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2010. Altro obiettivo mancato è stato quello di solidarietà, che impegnava i Paesi più ricchi a trasferimenti almeno pari a 100 miliardi di dollari all’anno al fine di sostenere i Paesi in via di sviluppo verso gli obiettivi di mitigazione e adattamento. A preannunciare nuovi dissidi era invece la probabile (poi avveratasi) convergenza del dibattito sulla questione del Loss and Damage — possibili fondi da destinare ai Paesi in via di sviluppo che subiscono danni causati dal cambiamento climatico — già discussa a Glasgow durante la COP26 e bocciata da Stati Uniti e Unione Europea. Il tutto amalgamato dalla decisione estiva di quest’ultima di introdurre il gas naturale e l’energia nucleare nella Tassonomia green definendoli così investimenti eco-friendly.

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Fig. 1 – Attivisti climatici alla COP27 di Sharm El-Sheikh, Egitto, 19 novembre 2022

2. IL PIANO DI ATTUAZIONE

Andando per ordine: i recenti nuovi investimenti sul gas per far fronte alla crisi energetica renderanno di fatto improbabile il mantenimento del riscaldamento globale entro i 1,5°C a causa di uno sforamento del carbon budget che avrà luogo entro il 2030, e che secondo le stime porterà il riscaldamento globale a +2,4°C nel 2100. Se è infatti vero che nel documento finale della COP si citano per la prima volta le energie rinnovabili queste vengono affiancate da “energie a basse emissioni” di cui si ignora l’identità. Nulla è stato aggiunto sull’obiettivo degli 1,5°C che tuttavia, come sottolineato dal discorso finale del Segretario delle Nazioni Unite Guterres, dovrebbe rimanere la stella polare verso la quale indirizzarsi. Inoltre, mentre si è riaffermata l’importanza dell’adattamento richiamando i Paesi sviluppati a fornire maggiori finanziamenti e trasferimenti di tecnologia verso i Paesi in via di sviluppo, non si è affrontato il tema delle mitigazioni e quindi del raggiungimento di nuovi impegni alla lotta ai combustili fossili (ciò su forti pressioni delle lobby energetiche avvistate copiose a Sharm). Si fa infatti esclusivo accenno al phase-down del carbone e al phase-out dei sussidi sui combustibili fossili. Verrà invece istituito, su pressione della delegazione del Cairo che non ha in questa occasione trovato la resistenza europea, il fondo Loss and Damage. I criteri per definire contributori e usufruttuari saranno tuttavia comunicate solo al COP28 di Dubai dove si discuterà anche del fondo di 100 miliardi per mitigazione e adattamento.

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Fig. 2 – I rappresentanti dei Paesi partecipanti alla conferenza di chiusura del COP27 a Sharm El-Sheikh, Egitto, 20 novembre 2022

3. IL FALLIMENTO

Essenziale è il sostegno finanziario dei privati già discusso a Glasgow durante la COP26. I fondi pubblici non sono infatti neanche lontanamente sufficienti a portare avanti gli investimenti nella finanza climatica verso i Paesi in via di sviluppo che nel biennio 2019-2020 ammontavano a solo 803 miliardi di dollari (se ne richiedono circa 10mila l’anno da investire entro 2030 per rientrare nell’obiettivo “2050 Zero Emission”). Il fondo Loss and Damage rimane in questo senso un successo effimero che se da un lato dimostra la solidarietà occidentale nei confronti dei Paesi più colpiti dal cambiamento climatico, dall’altro aggira il problema e drena risorse (a meno che questo non venga finanziato tramite un’imposta globale sulle emissioni o tassando le aziende produttrici di combustibili fossili) che potrebbero essere reindirizzate verso iniziative concrete come il Just Energy Transition Partnerships che sostiene i Paesi in via di sviluppo nella phase-out sui combustibili fossili. Non fissando alcun nuovo impegno per svincolarsi da questi, il COP27 si attesta come una vittoria per i paesi produttori di idrocarburi relegando l’ambizioso progetto “2050 Net Zero Emission” a un lontano miraggio.

Pietropaolo Chianese

Immagine di Copertina: “COP27 Edinburgh Climate March” by Neil Hanna is licensed under CC BY.

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Perchè è importante

  • La COP27 di Sharm El-Sheikh si è tenuta in un clima geopolitico teso dove lo scenario internazionale si è sommato alle accuse di violazione dei diritti umani rivolte al regime egiziano e alla mancata convergenza verso i parametri stabiliti a Parigi nel 2015.
  • I nuovi investimenti sul gas sembrano vanificare gli sforzi verso le zero emissioni previste per il 2050. Ciò appare confermato dall’assenza di previsioni con riguardo a un possibile phase-out sugli idrocarburi che rende il limite degli 1,5°C lettera morta.
  • L’apertura di un fondo Loss and Damage rappresenta una vittoria per i G77 che dimostra la solidarietĂ  europea verso i paesi in via di sviluppo, ma cela il mancato impegno verso la mitigazione a vantaggio dei Rentier-State.

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Pietropaolo Chianese
Pietropaolo Chianese

Nato nel 1994, Livornese, ho studiato Relazioni Internazionali presso l’Università di Pisa e l’Università degli studi di Firenze. Durante i soggiorni di studio e ricerca all’Università NOVA di Lisbona e quella di Carthage a Tunisi ho potuto approfondire i miei interessi per le relazioni transatlantiche e il Nord Africa.

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