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La vittoria di Erdoğan in un paese profondamente diviso

In 3 sorsi – Il 28 maggio Recep Tayyip Erdoğan è stato eletto per la terza volta Presidente della Turchia – dopo essere stato Primo Ministro dal 2003 al 2014, – dando inizio così alla terza decade di potere. Kemal Kılıçdaroğlu è stato quindi sconfitto con una differenza di voti che ha disatteso le previsioni di molti analisti e di gran parte dei sondaggi.

1. UNA VITTORIA INATTESA?

Nel periodo che ha preceduto il primo turno dello scorso 14 maggio le elezioni in Turchia venivano definite come le più imprevedibili degli ultimi anni e nelle quali il Presidente in carica avrebbe avuto – per la prima volta dopo tanto tempo – seri problemi a riaffermarsi. Dall’altro lato la grande coalizione di opposizione – composta da partiti nazionalisti e progressisti, da partiti islamici, nonché da partiti di sinistra – sembrava rappresentare al meglio la volontà di una popolazione che, nonostante i diversi modelli ideologici, fosse accomunata dall’intento di mettere fine alla supremazia di Erdoğan, la cui popolarità avrebbe visto un abbassamento anche a causa della disastrosa gestione del terremoto e dell’attuale crisi economica. Inoltre i sondaggi politici pre-elettorali sostenevano la tesi di un leader al tramonto, indicando come chiaro favorito per la presidenza il leader d’opposizione.
Secondo il comunicato ufficiale dell’OSCE, le elezioni si sono svolte in un clima relativamente teso, dove i media hanno agito per lo più come strumento di propaganda – principalmente a favore del Presidente in carica – e gli arresti di giornalisti e blogger hanno “limitato la libertà di espressione”. Nonostante questo, i candidati hanno avuto la possibilità di svolgere la propria campagna elettorale liberamente, utilizzando anche un linguaggio aggressivo, infiammatorio e discriminatorio, instaurando quindi il confronto politico sulla delegittimizzazione dell’avversario. Il primo turno ha visto il record di affluenza – in continua crescita – delle elezioni presidenziali, coinvolgendo un bacino elettorale sempre più polarizzato.

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Fig. 1- Il Presidente Erdogan al mausoleo di Mustafa Kemal Ataturk dopo la cerimonia del suo insediamento il 3 giugno 2023

2. UNA TENDENZA ELETTORALE SIGNIFICATIVA

La retorica conservatrice e nazionalista – contraddistinta da un forte vittimismo religioso – ha caratterizzato in maniera crescente il Governo dell’AKP nei suoi venti anni di potere. Dall’altro lato tale narrativa islamica e antioccidentale viene percepita come una minaccia dall’elettorato progressista e kemalista – e in particolar modo dalle minoranze, come la comunità LGBT – prevalentemente nei grandi centri urbani. Vista da Occidente questa dicotomia ha un’unica soluzione naturale: la progressiva consapevolezza dell’elettorato, fautrice dell’intolleranza nei confronti del modello autocratico nazionalista-religioso di Erdoğan.
I dati elettorali oggi conducono però a conclusioni diverse.
Dal 2014 – anno delle prime elezioni presidenziali – a oggi l’affluenza è costantemente aumentata. Nel 2018 – in seguito al tentato golpe del 2016 e al referendum costituzionale del 2017, ma soprattutto dopo l’alleanza di Erdoğan con il Partito nazionalista (MHP) – le urne hanno visto un aumento di circa il 12% degli elettori, mentre  Erdoğan ha guadagnato più di cinque milioni di voti. Le ultime elezioni, invece, nonostante abbiano dato luogo a una opposizione unita più dalla contrarietà al governo che da posizioni affini, hanno dato a Erdoğan all’incirca lo stesso numero di voti di cinque anni prima.

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Fig. 2- L’accoglienza dei cittadini turchi al Presidente Erdogan per il suo nuovo mandato

3. IL PRIMATO DELLO SCONTRO IDEOLOGICO

Il risultato della polarizzazione della società turca non è quindi necessariamente quello di un elettorato stanco di un potere fortemente identitario, divisivo, volutamente discriminatorio ed esercitato sempre più autocraticamente. Il processo che ha visto il soppiantamento del modello laico con l’Islam politico dell’AKP ha determinato il passaggio dall’ideologia di stato elitaria che ha lungamente represso la religione, all’esaltazione della tradizione, al simbolismo e alla quotidianità religiosa, nonché a una certa nostalgia imperiale. Il risentimento nei confronti dello Stato è quindi ancora vivo nell’elettorato conservatore, il quale viene visto con legittimo timore dalle realtà progressista. Per questo motivo, di fronte all’inasprimento del dibattito politico l’elettore turco è dirottato dalla condivisione della visione del mondo e della storia della Repubblica più che dagli eventi contingenti. Infatti, la forza di adesione di gran parte della popolazione al modello di Erdoğan si evince dai dati elettorali delle zone colpite dal terremoto, nelle quali il Presidente in carica ha comunque trionfato – nonostante lo scetticismo generale – in otto province su undici totali.
La componente ideologica non è l’unica capace di determinare gli esiti elettorali, e l’Islam politico turco non deve essere visto come un blocco immobile e monolitico del quale l’AKP è l’unico esponente. Nonostante questo, in venti anni di potere Erdoğan è riuscito a creare un culto della personalità simile a quello di Ataturk, ed è riuscito a dare risposte politiche capaci di soddisfare gran parte dell’elettorato islamico e conservatore.

Bruno Bevilacqua


Immagine di copertina: “religious landscape” by Strolicfurlan is licensed under CC BY-ND

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  • Le analisi precedenti alle elezioni hanno largamente messo in evidenza le difficoltà del Presidente in carica nel consolidare il consenso, ignorandone i punti di forza.
  • L’Occidente ha evidenti difficoltà a interpretare la risposta popolare alla politica conservatrice e autoritaria dei venti anni dell’AKP.
  • Le tensioni all’interno della società turca sono dovute a “questioni irrisolte” risalenti alla nascita della Repubblica e oggi giocano un ruolo determinante nel definire le sorti politiche del Paese.

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Bruno Bevilacqua
Bruno Bevilacqua

Classe 1998, laureato in Giurisprudenza all’Università di Bologna e all’Università di Parigi-Nanterre, ora sono iscritto al master in “Security and International Relations” all’Università di Genova.
Appassionato di scrittura in maniera universale, mi dedico all’analisi geopolitica specialmente per ciò che riguarda la Turchia e l’area ex ottomana, mondo che ho cominciato ad amare dopo la mia prima esperienza in Anatolia.
Amante del trekking e di un buon libro, ho evidenti difficoltà a restare fermo.

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