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La guerra civile in Sudan e gli interessi regionali: verso un’estensione del conflitto?

In 3 sorsiLa guerra civile sudanese ha accesso le preoccupazioni di Egitto, Emirati e Arabia Saudita intenzionati a difendere i propri interessi nel Paese. Le divergenze tra questi, tuttavia, non rischiano solo di trasformare il conflitto in una guerra per procura, ma addirittura di estenderlo oltre i confini.

1. LA GUERRA DEI GENERALI

Sono trascorsi ormai quattro anni dal defenestramento di Omar al-Bashir in Sudan. A parte una piccola parentesi rappresentata da un Governo civile di transizione, da allora il Paese è controllato da una giunta militare capeggiata dai rappresentanti delle Sudanese Armed Forces (SAF) e delle Rapid Support Forces (RSF). Le stesse forze protagoniste dell’arresto di Omar al-Bashir — sui cui pende un mandato di cattura internazionale dell’ICC per il reato di genocidio — a partire dal 15 aprile sono però ingaggiate in uno scontro armato che ha condotto a una sanguinosa guerra civile. Come prevedibile il conflitto ha rapidamente assunto i caratteri di uno scontro personale tra i comandanti dei due gruppi militari: il generale Mohamed Hamdan Dagalo (“Hemedti”), a capo delle RSF, e la sua controparte, il generale Abdel Fattah Al-Burhan (SAF). Secondo quest’ultimo, infatti, al fine di portare a compimento la transizione democratica nel Paese, le RSF avrebbero dovuto essere integrate nelle SAF nell’arco di due anni, dieci per Hemedti. La questione, che si è sommata a tensioni precedenti dettate da mire personali, è divenuta un impedimento che ha messo a nudo le reali intenzioni dei due generali. Quella sudanese rischia adesso di divenire una guerra per procura, nella quale Egitto ed Emirati Arabi Uniti intendono giocare un certo ruolo.

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Fig. 1Il Presidente del Consiglio Sovrano di Transizione Abdel Fattah al-Burhan e il suo vice Mohamed Hamdan Dagalo partecipano alla cerimonia del Friendship Congress a Khartoum, nel dicembre 2022

2. I LEGAMI CON EMIRATI ARABI UNITI ED EGITTO

I legami tra Hemedti de Emirati Arabi Uniti erano già evidenti nel 2019, quando Global Witness riportava dei rapporti tra le RSF, l’industria dell’oro sudanese (controllata per la maggior parte proprio da Hemedti), e società di facciata e banche emiratine. Il Paese risulterebbe infatti tra i maggiori acquirenti dell’oro sundanese, nonché tra i principali fornitori di supporto tecnico alla milizia tramite l’invio di 900 Toyota Hilux and Land Cruisers, avvenuto sempre nel 2019. Senza contare che membri dell’RSF erano stati assoldati dagli Emirati come mercenari per combattere nello Yemen (sotto la coalizione a guida saudita) già nel 2015, e più recentemente al fianco del generale Khalifa Haftar in Libia, finanziando la crescita del gruppo paramilitare e rendendolo finanziariamente autonomo. I rapporti tra Abu Dhabi ed Hemedti si attestano quindi come relazione di lunga data che trova la sua ragione nella compravendita clandestina di oro. Dall’altro lato anche i legami personali tra al-Sisi e il generale al-Burhan hanno radici profonde e di carattere militare: in gioventù hanno entrambi frequentato la stessa scuola militare in Egitto. Nonostante ciò è la reputazione di Hemedti a renderlo un elemento inaffidabile per il Cairo, disposto a tollerare l’influenza della Fratellanza Musulmana (che permea l’esercito di al-Burhan) in Sudan, pur di scongiurare una sua presa del potere.

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Fig. 2 Il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi è accolto dal Presidente degli Emirati Arabi Uniti, lo sceicco Mohamed bin Zayed Al Nahyan, ad Abu Dhabi, 12 febbraio 2023

3. LA TROIKA ARABA

Il sistema di alleanze delineatosi in seguito allo scoppio della guerra civile si attesta come nuovo elemento di preoccupazione per la cronica instabilità regionale. L’ulteriore supporto dei Governi eritreo e ciadiano ad al-Burhan, infatti, rischia non solo di protrarre il conflitto, ma di estenderlo oltre i confini dove Hemedti recluta le tribù arabe ciadiane che si oppongono al Governo centrale. Quest’ultimo gode invece dell’importante sostegno dell’Arabia Saudita — altro alleato economicamente fondamentale che rafforza le possibilità delle RSF di vincere il conflitto, diminuendo quelle di una risoluzione pacifica. Tuttavia, Egitto, Emirati Arabi e Arabia Saudita si trovano a supportare politicamente e militarmente il generale Haftar in Libia, che a sua volta sembra sostenere Hemedti tramite la fornitura di armamenti di provenienza russa — che testimoniano i noti legami tra il gruppo Wagner e le SAF. Se è improbabile che l’Egitto faccia mancare il proprio sostegno al Generale libico nel futuro prossimo, è certo che l’interferenza dei due Paesi del Golfo in quello che l’Egitto reputa il giardino di casa propria possa condurre a ripercussioni nelle relazioni tra i membri della “Troika araba”. Di questo avviso è apparso recentemente anche Washington, preoccupata non solo dell’estensione del conflitto nella regione, ma delle possibili conseguenze “beyond (the region)”. È bene ricordare infatti come tutti e tre i Paesi abbiano nel Sudan interessi commerciali, economici e strategici di vitale importanza, ai quali nessuno intende rinunciare.

Pietropaolo Chianese

Immagine di copertina: “Painted map of Sudan and Darfur” by futureatlas.com is licensed by CC BY

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Perchè è importante

  • La guerra civile sudanese, che ha da subito assunto le caratteristiche di uno scontro personale tra i due generali delle rispettive forze armate (RSF e SAF), ha ormai acquisito le sembianze di una guerra per procura
  • I due principali attori esterni (Egitto e Emirati Arabi Uniti), alleati su altri fronti, sostengono in Sudan schieramenti opposti nel tentativo di avanzare i propri interessi economici e politici
  • L’importanza della posizione geografica del Sudan e gli interessi in gioco nel Paese, tuttavia, chiamano in causa anche i paesi confinanti con il rischio di un estensione del conflitto

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Pietropaolo Chianese
Pietropaolo Chianese

Nato nel 1994, Livornese, ho studiato Relazioni Internazionali presso l’Università di Pisa e l’Università degli studi di Firenze. Durante i soggiorni di studio e ricerca all’Università NOVA di Lisbona e quella di Carthage a Tunisi ho potuto approfondire i miei interessi per le relazioni transatlantiche e il Nord Africa.

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