Caffè Lungo – Marzo ha segnato l’inizio del quinto mese di guerra tra Israele e Hamas. Mentre il numero di vittime aumenta inesorabilmente, tra le due fazioni una possibilità di dialogo sembra impossibile. Almeno fino a che ciascuna parte non andrà incontro alle conditio sine qua non dell’altra.
LA POSSIBILITÀ DI UN ATTACCO A RAFAH
L’inizio di marzo ha segnato il quinto mese di guerra tra Israele e Hamas, il numero di morti è salito a più di 30mila, per la precisione 30.717 secondo le stime del Ministero della Salute a Gaza della prima settimana di marzo, e i feriti ammontano a 72.156. Mentre una tregua sembra irraggiungibile tra le due fazioni, il conflitto continua inesorabilmente. Netanyahu sembra non voler fare marcia indietro ed è disposto a proseguire le ostilità fino alla vittoria totale e al rilascio completo degli ostaggi da parte di Hamas. Le forze israeliane, dopo aver condotto l’offensiva a nord, costringendo la popolazione palestinese a emigrare verso sud, sembrerebbero ora puntare a un’attacco nella città di Rafah, ultima roccaforte di Hamas – a detta del Presidente israeliano. Rafah è il punto più a sud della striscia di Gaza, nonché locus di uno dei sette valichi di frontiera che, negli anni precedenti, permettevano ai civili di spostarsi verso l’Egitto. Dall’inizio della guerra il valico è stato chiuso per evitare l’esodo palestinese, tuttavia, seppur la diaspora fuori dai confini non sia avvenuta, la popolazione, per fuggire dagli attacchi nelle zone settentrionali, si è sedimentata nella città di Rafah, per un totale di 2,3 milioni di civili per 64 chilometri quadrati di superficie. Riguardo all’offensiva, inoltre, si levano voci di dissenso, sia dagli Stati Uniti sia dall’ONU: il Dipartimento di Stato statunitense ha espresso che un attacco a Rafah sarebbe un totale disastro, anche se non costituirebbe comunque il passaggio di una linea rossa tale per Tel Aviv da perdere il supporto di Washington. L’Organizzazione delle Nazioni Unite, invece, ha manifestato il proprio dissenso dichiarando che l’offensiva avrebbe un costo massiccio di vite umane e aumenterebbe il rischio di atrocità. A complicare il quadro si è inserito l’Egitto, che ha ammonito Israele su come un possibile attacco a sud intaccherebbe la lunga pace tra i due Paesi.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Foto scattata da Rafah mostra il fumo che si alza da Khan Yunis, nel sud della Striscia di Gaza, dopo un bombardamento israeliano.
LA SITUAZIONE UMANITARIA E IL RISCHIO DI CARESTIA A GAZA
Secondo la posizione dell’ONU sopra citata, l’attacco farebbe sprofondare ancora di più la situazione dei civili. È dunque necessario mettere in luce quelle che sono le condizioni tragiche del popolo palestinese, per comprendere come un’offensiva a sud potrebbe provocare un disastro umanitario senza precedenti. Ormai è più del 75% della popolazione a essere sfollata e le condizioni di Gaza rendono difficile la possibilità di accedere a beni di prima necessità. A causa della difficoltà negli aiuti umanitari, infatti, la popolazione verte oggi quasi nella carestia. Per dichiarare una situazione di insufficienza alimentare sono tre gli indicatori da osservare: il 20% della popolazione dovrebbe vivere in condizioni di carenza alimentare estrema; 1 bambino su 3 dovrebbe essere malnutrito gravemente e 2 persone su 10mila dovrebbero morire di fame o di malnutrizione. Gli ultimi due punti si prevede vengano raggiunti inevitabilmente verso maggio; il primo è stato inesorabilmente raggiunto. Di fronte alla catastrofe umanitaria, dunque, la comunità internazionale ha cercato di rispondere attivamente: gli aiuti via terra sono di difficile raggiungimento, i valichi aperti sono solo due, quello di Rafah e quello di Karem Shalom, ma i convogli che riescono a passare sono pochi e insufficienti per aiutare i civili. La Commissione europea, di concerto con gli Stati Uniti, la Repubblica di Cipro, gli Emirati Arabi Uniti e il Regno Unito, dunque, hanno pensato l’apertura di un corridoio marittimo che da Cipro dovrebbe trasportare, attraverso la nave della ONG Open Arms, gli aiuti di cui Gaza ha bisogno, seppur in quantità estremamente ridotta rispetto a quelli che potrebbero essere inviati via terra. Inoltre, gli Stati Uniti e la Giordania, il 2 marzo scorso hanno proceduto a lanciare generi alimentari dagli aerei, per un totale circa di 38mila pasti. Anche l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti, insieme a Washington, hanno provveduto a partecipare a questo tipo di strategia. A essere paralizzato, nondimeno, non è solo il fronte dell’accesso agli aiuti. La situazione degli ospedali è disastrosa e di tutti ne funzionano solo 12, divisi tra nord e sud: per mancanza di personale o per impossibilità tecnica, i feriti gravi sono stati trasferiti per ottenere i trattamenti medici di cui avevano bisogno.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Foto scattata dal confine meridionale di Israele con la Striscia di Gaza si vedono aiuti umanitari lanciati sul territorio palestinese.
TENTATIVI DI NEGOZIATI AL CAIRO
Con l’inizio di marzo, la delegazione di Hamas e quella israeliana hanno provato a incontrarsi al Cairo, per l’avvio di negoziati mediati da Egitto, Qatar e Stati Uniti. Le trattative avrebbero dovuto avere come oggetto una tregua di sei settimane per permettere ai palestinesi musulmani di vivere appieno il mese del Ramadan. Il 10 marzo scorso, infatti, ha avuto inizio il periodo più sacro per i musulmani di tutto il mondo, in cui, tra le altre cose, sono previste opere di carità e l’astenersi da cibi e bevande, dall’alba al tramonto. Così le potenze mediatrici si sono impegnate affinché un incontro tra le due fazioni potesse portare all’accordo su un cessate il fuoco, almeno per il mese sacro del Ramadan. Tuttavia, così non è stato. La delegazione israeliana aveva posto come conditio sine qua non per la partecipazione ai colloqui di ricevere dall’organizzazione palestinese la lista dei nomi degli ostaggi ancora in vita e trattenuti a Gaza. Di contro, dall’altra parte, la conditio sine qua non per fornire la lista e liberare gli ostaggi – ma anche per un possibile cessate il fuoco – era che gli sfollati potessero tornare alle proprie case, che Israele si ritirasse e che gli aiuti umanitari raggiungessero Gaza. L’idiosincrasia sulla questione, dunque, ancora una volta ha paralizzato le trattative e dal Cairo non si è estirpata nessuna tregua – neanche temporanea. Così il conflitto sembra progredire inesorabilmente, a discapito della popolazione, costretta a sopportare i tormenti di una guerra che pare non trovare un punto finale.
Francesca Giordano
Immagine di copertina: “Palestine” by hosnysalah is licensed under CC BY-NC-SA