In 3 sorsi – Dopo due mesi dalla firma del cessate il fuoco, è terminata la tregua tra Israele e Hamas. Se, da un lato, non si riesce a raggiungere un accordo, dall’altro lato le popolazioni di entrambe le parti hanno cominciato a manifestare, chiedendo – tra gli altri – la fine del conflitto.
1. IL RITORNO AL CONLITTO
Dopo due mesi dall’annuncio di cessate il fuoco, il 18 marzo 2025, è terminata la tregua tra Israele e Hamas, con la ripresa dei bombardamenti aerei israeliani sulla Striscia di Gaza. Successivamente, le IDF hanno avviato un’ “operazione di terra limitata”, volta a riprendere il controllo del corridoio di Netzarim, valico che si estende da Israele al Mediterraneo, e che separa l’area nord e sud della Striscia. La rioccupazione del territorio, abbandonato a seguito del cessate il fuoco, sarebbe dettata dall’intento di costituirvi una nuova area cuscinetto. Le IDF hanno provveduto poi a intraprendere una nuova offensiva via terra, emettendo nuovi ordini di evacuazione diretti alla popolazione e colpendo la zona. Negli attacchi sono stati raggiunti alti quadri di Hamas.
In risposta, alcuni missili sono stati lanciati dalla Striscia verso i territori israeliani limitrofi da parte della Brigate al Quds, ala militare del gruppo militante della Jihad Islamica.
Al contempo, le Forze Armate israeliane starebbero redigendo un piano volto alla realizzazione di una nuova operazione di terra, finalizzata all’occupazione militare della Striscia. Tale progetto potrebbe essere complementare al “progetto pilota” israeliano a Gaza, finalizzato a una “partenza volontaria” dei suoi cittadini.
Fig. 1 – Palestinesi camminano accanto alle rovine degli edifici distrutti durante la guerra tra Hamas e Israele, Gaza City, 28 marzo 2025
2. LE RAGIONI DELL’ATTACCO
Le ragioni sottostanti la ripresa delle ostilità sono molteplici. Stando a quanto ha affermato il premier Benjamin Netanyahu, la fine del cessate il fuoco sarebbe da ricondurre alla mancata accettazione da parte di Hamas del piano proposto dagli Stati Uniti. Al tempo stesso, Israele ha avvisato che le violenze proseguiranno fino al raggiungimento di una “vittoria totale su Hamas” e al rilascio dei mancanti 59 ostaggi. Di fatto, il gruppo islamista si è rifiutato di acconsentire a un’estensione di trenta-sessanta giorni della prima fase del cessate il fuoco proposta da Washington, ribadendo invece la propria intenzione di proseguire secondo quanto sancito precedentemente. Hamas, inoltre, ha condannato le azioni israeliane, definendole una violazione dell’accordo raggiunto all’inizio dell’anno corrente, e dicendosi ancora intenzionato al suo rispetto, richiamando alle proprie responsabilità i mediatori. Infine, attraverso il proprio portavoce, Hamas si è detta favorevole a ogni proposta basata “sull’avvio dei negoziati della seconda fase e sulla fine completa della guerra a Gaza”. Ciò non sembra essere però in linea con le finalità di Israele. Stando alle dichiarazioni del Ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, il fine ultimo del Paese sarebbe quello di sostituire la leadership di Hamas nella Striscia. La richiesta di una simile azione è stata indirizzata attraverso un monito alla stremata popolazione palestinese, avvertendola che qualora i termini proposti non saranno accettati, ci saranno “distruzione totale e devastazione”. Tali posizioni opposte bloccano pertanto la via a un nuovo accordo. Ciononostante, Netanyahu ha affermato che qualsiasi negoziato prenderà ora avvio durante i combattimenti.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Migliaia di palestinesi protestano a Gaza, chiedendo la fine del regime di Hamas
3. VOCE ALLE POPOLAZIONI
Se, da un lato, Israele ha dichiarato il proprio impegno a smantellare Hamas, che a sua volta ha denunciato la violazione degli accordi da parte israeliana, dall’altro lato i cittadini hanno espresso opinioni diverse.
Secondo i dati dell’Israeli Democracy Institute, il 48% della popolazione israeliana ritiene responsabile di quanto accaduto Netanyahu e ne chiede le dimissioni, imputandogli di sfruttare la guerra per fini politici. Di fatto, il Governo avrebbe dovuto votare la legge di bilancio entro il 31 marzo 2025, per la quale è necessaria la maggioranza. Il cessate il fuoco aveva determinato il malcontento dell’estrema destra e l’uscita dal Governo di Itamar Ben Gvir, il quale, però, con la ripresa degli scontri è tornato come Ministro della Sicurezza. Secondo i critici, la guerra sarebbe strumentale al mantenimento del potere da parte di Netanyahu in un momento in cui stava venendo meno il consenso che le operazioni contro Hezbollah e l’indebolimento iraniano aveva determinato.
Anche nella Striscia di Gaza, ancora una volta, centinaia di manifestanti hanno protestato contro il regime di Hamas e per la fine della guerra. Così, lo scacchiere mediorientale, sempre più instabile, appare di nuovo mutato: da un lato, a Gaza sembra emergere una crescente disaffezione politica, presente ormai da anni, posizionando la Striscia di fronte a un futuro sempre più incerto; dall’altro Israele potrebbe esporsi sempre di più a un incrementale isolamento e a maggiori avversità securitarie.
Alice Serra
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