In 3 Sorsi – Con un’offensiva iniziata mercoledì le forze ribelli siriane, guidate dal gruppo di Hayat Tahrir al-Sham (HTS), hanno sfruttato le numerose lacune dell’infrastruttura di difesa del Governo siriano per conquistare Damasco e costringere Al-Assad all’esilio. Lo scenario geopolitico ha rappresentato una concausa dell’attacco e dell’impreparazione nella difesa.
1. LO SHOCK INIZIALE E IL CONSOLIDAMENTO DELLE CONQUISTE: CAUSE E PROTAGONISTI
Con un contesto internazionale favorevole, dato dalle forti perdite inflitte a Hezbollah dall’esercito israeliano e dall’attenzione della Russia principalmente focalizzata sullo scenario ucraino, i ribelli siriani hanno lanciato la più importante offensiva degli ultimi dieci anni. L’attacco, partito il 27 novembre, ha sin dall’inizio dimostrato la propria efficacia. Non solo per la situazione vissuta da Iran e Russia, ma anche per la materializzazione di una realtà fino a quel tempo sottovalutata: l’inadeguatezza delle forze governative siriane a rappresentare il principale fianco dell’infrastruttura di difesa siriana. Su queste basi, sono state lanciate due azioni contestuali volte a penetrate nel Nord della Siria. La principale forza emersa nello scenario dell’offensiva denominata “Respingere l’aggressione” è la coalizione HTS (Hyat Tahrir al-Sham), originatasi come costola di Al-Qaeda con il nome di Jabhat al-Nusra, la quale è riuscita a conquistare in pochissimi giorni Aleppo e Homs, aprendosi la strada verso Hama e infine Damasco. In soli 11 giorni, sfruttando anche il venir meno del supporto verso Bashar Al-Assad sia nell’esercito nazionale siriano che nella popolazione, i ribelli sono arrivati a Damasco, costringendo l’ormai ex Presidente all’esilio. La transizione verso un presente connotato dalla rottura dei rapporti con il movimento paramilitare terroristico è avvenuta nel 2016, come spiegato dallo stesso leader di HTS Abu Mohammed al-Jawlani alla CNN: “Alcune pratiche brutali ci hanno allontanato dagli altri gruppi jihadisti. Io non sono mai stato personalmente coinvolto in attacchi contro i civili”. Il secondo attacco è stato condotto dall’Esercito Nazionale Siriano (SNA), sostenuto dalla Turchia, che controlla le aree più a Nord del Paese e ambisce a creare un “cordone sanitario” in funzione anti-SDF (Forze Democratiche Siriane) e, dunque, anti-curda.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Un cartellone con un ritratto del presidente siriano Bashar al-Assad viene bruciato in piazza Saadallah al-Jabiri, nel centro di Aleppo, il 5 dicembre 2024
2. DENTRO LA GALASSIA DEI ‘RIBELLI SIRIANI’: L’IMPERATIVO È EVIDTARE DI RICONDURRE A UNITÀì
Le azioni intraprese dai gruppi di “ribelli” non rispondono a uno stesso codice di base, ricollegandosi piuttosto a precise strategie di riferimento. Il significato principale della presenza turca in Siria risponde, oltre a chiare logiche di potenza e influenza nell’area, a obiettivi di “contenimento delle forze curde” presenti nel territorio. Uno scopo che, nell’ottica del Presidente Erdogan, avrebbe anche potuto coincidere con la sopravvivenza del regime di Assad. L’obiettivo dell’HTS, invece, è sempre stato quello di destituire il Presidente siriano, creando i presupposti per un Governo di “unità nazionale” nel quale siano rispettate tutte le minoranze etniche presenti in Siria.
In questo scenario, lungi dal subire passivamente un possibile attacco massivo delle milizie filo-turche, le SDF hanno acquisito sempre più terreno dall’inizio dell’offensiva. Le Forze Democratiche Siriane hanno esteso l’area sotto il proprio controllo nel Nord-Est del Paese, occupando la base militare di Kawkab e l’aeroporto di Qamishli. Ciò ha un valore strategico, dato che tali zone rappresentavano le uniche due enclavi del Governo siriano nel territorio dell’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord-Est.
Fig. 2 – Il comandante in capo delle Forze Democratiche Siriane (SDF), Mazloum Abdi, saluta dopo aver svolto una conferenza stampa, nella città nord-orientale della Siria di Hasakeh, il 6 dicembre 2024
3. IRAN-RUSSIA-TURCHIA: IL ‘FORUM’ COME TESTIMONIANZA DI UNA NUOVA REALTÀ
I Ministri degli Esteri di Iran, Russia e Turchia, i tre Paesi più direttamente coinvolti nella crisi siriana, si sono incontrati in Qatar al Forum di Doha per discutere di una possibile soluzione diplomatica al conflitto. Erdogan aveva dichiarato che un’opzione che non coincidesse con il crollo del regime di Assad sarebbe stata ancora possibile, anche se la finestra per raggiungerla si stava progressivamente restringendo. La Russia aveva come obiettivo fondamentale quello di preservare il suo accesso al Mediterraneo, una realtà che è venuta meno nel momento in cui l’HTS ha preso il controllo delle basi militari russe di Tartus e Latakia. Tehran, al contrario, giustificava la propria presenza in Siria in termini di “rafforzamento dell’Asse della Resistenza”. Per questo motivo, dal 2012, Hezbollah svolgeva il compito di garantire la sopravvivenza del Governo di Assad dall’assalto delle milizie jihadiste. Perdere una componente fondamentale del proprio meccanismo di contrasto a Israele rappresenta un fallimento strategico per il Governo iraniano. Ad ogni modo, il ritmo dell’avanzata dell’HTS e le dichiarazioni relative agli scenari futuri da parte di Al-Jawlani hanno sin dall’inizio dimostrato che si trattasse di una realtà densa di sfaccettature. Il rafforzamento delle SDF e il mancato protagonismo delle SNA nello scenario dell’offensiva invitano a non escludere un ridisegnamento degli equilibri siriani, nell’ottica di un’autonomia riconquistata dagli attori direttamente attivi sul territorio. La nuova Siria potrà ora vivere una nuova fase di instabilità o trovare l’unità da sempre auspicata. Il rapporto tra le forze emerse come protagoniste nel quadro dell’operazione anti-Assad ne delineerà il quadro futuro.
Michele Maresca
“Syrian Protest” by Gwenaël Piaser is licensed under CC BY-NC-SA