Analisi – Da settimane la Serbia è scossa da grandi proteste anti-governative, guidate dagli studenti e appoggiate da buona parte della popolazione. Il regime del Presidente Vučić non sa come uscire dalla crisi, ma anche i dimostranti sembrano incapaci di sviluppare una strategia efficace per imprimere un cambiamento reale nel Paese. La situazione resta quindi bloccata e carica di tensione.
LE PROTESTE
Ormai da quasi tre mesi, le Università statali serbe sono occupate dagli studenti che protestano per il crollo della pensilina della stazione di Novi Sad, avvenuto il 1 novembre scorso, a causa del quale sono morte 15 persone. La protesta è spontanea e sincera ed è appoggiata da gran parte della popolazione. Il 1 e il 15 febbraio scorsi ci sono state due grandi manifestazioni, indette dagli studenti stessi, a Novi Sad e Kragujevac, che hanno visto una massiccia partecipazione da parte dei cittadini. Gli agricoltori della Voivodina, regione autonoma del nord della Serbia, hanno appoggiato i giovani accademici e hanno bloccato strade e ponti con i propri trattori.

Fig. 1 – La protesta del 1 febbraio 2025 a Novi Sad | Foto: Christian Eccher
LE DUE SERBIE
Il Presidente serbo Aleksandar Vučić controlla ormai dal 2012, grazie al proprio partito, l’SNS (Partito Progressista Serbo), ogni settore della vita pubblica. È impossibile ottenere un posto di lavoro nell’amministrazione o iscrivere il proprio bambino all’asilo statale se non si è nel partito. La corruzione in Serbia è endemica e onnipresente. Anche gli appalti per i lavori pubblici sono controllati e pilotati ed era stata una ditta cinese a ottenere la concessione per il rinnovo della stazione ferroviaria di Novi Sad. A lavori terminati, dopo ben due inaugurazioni alla presenza del Presidente e di molti Ministri, la pensilina della stazione è crollata. Da quel momento, la popolazione ha cominciato a protestare e il 2 dicembre gli studenti hanno occupato tutte le Facoltà pubbliche. Le manifestazioni contro il Governo sono ormai quotidiane e si stanno diffondendo a macchia d’olio in tutto il Paese. La Serbia è divisa in due: da un lato ci sono i sostenitori di Vučić e dell’SNS, dall’altro i manifestanti. Il Presidente ha rispolverato il repertorio tipico dei nazionalisti da Milošević in poi, per cui a organizzare le proteste sarebbero gli stranieri, in particolar modo statunitensi e croati, che vogliono distruggere la Serbia. L’élite dominante sembra chiudersi sempre più in sé stessa e non è in grado di trovare una via d’uscita alla crisi in cui il Paese si trova. È dai tempi di Dragutin Apis e del principe Alessandro che la Serbia è divisa in due fazioni, una nazionalista, clericale e conservatrice e una progressista. Parliamo di una storia che ha inizio nei primi anni del secolo scorso. Da allora, queste due correnti sono sempre presenti nella Storia dello Stato balcanico e cambiano nome e forma ma non sostanza: cetnici e partigiani durante la Seconda guerra mondiale, comunisti e nazionalisti durante il periodo titino, sostenitori e oppositori dell’idea della Grande Serbia durante la dittatura di Milošević. Tito era riuscito a nascondere le due fazioni ma non a eliminarle: come un torrente carsico, i contrasti sono riapparsi subito dopo la morte del Presidente jugoslavo avvenuta nel 1980. Queste due fazioni non riescono a dialogare fra loro e sono in continua lotta per la supremazia. Qui si cela la tragedia serba (e non solo, simili meccanismi sono presenti anche in Croazia e Slovenia): gli scontri fra le due fazioni si ripetono regolarmente con conseguenze tragiche.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Manifestazione anti-governativa a Kragujevac, 15 febbraio 2025
GRANDEZZA E MISERIA DELLA PROTESTA STUDENTESCA
Gli studenti, nell’occupare le facoltà, hanno chiesto le dimissioni del Premier, quelle del sindaco e la pubblicazione di tutti i documenti relativi all’appalto della stazione di Novi Sad, con conseguente processo e condanna dei responsabili del crollo della pensilina. Il Premier Miloš Vučević e il sindaco di Novi Sad Milan Đurić si sono dimessi. I documenti sono stati pubblicati, anche se manca ancora qualche annesso. Le proteste però continuano e non accennano a spegnersi. La domanda sorge spontanea: perché gli studenti non chiedono le dimissioni del Presidente della Repubblica, che è poi il padre padrone del Paese, colui che fa il buono e il cattivo tempo? Ci risponde Milena (il nome è fittizio), una studentessa della Facoltà di Filosofia di Novi Sad: “La nostra non è una manifestazione politica. Noi vogliamo solo che le istituzioni facciano il proprio dovere. Il Presidente non è competente a dialogare con noi, secondo la Costituzione ha una funzione di rappresentanza e basta”. Queste parole, pubblicate più volte e ripetute in ogni occasione, hanno totalmente confuso Vučić, che è abituato a gestire le redini del Paese e a dialogare direttamente con chi lo contesta. Per la prima volta, qualcuno gli dice che non è la persona adatta a risolvere la crisi. Questa posizione, però, colloca il movimento studentesco e l’intera Serbia in un vicolo cieco. Se Vučić non è competente ma è di fatto lui che controlla ogni aspetto della vita pubblica, come si può pretendere che le istituzioni, in cui siedono solo uomini nominati dallo stesso Vučić, facciano il proprio dovere? Cosa dovrebbero fare i giudici che non hanno mai potuto prendere decisioni in maniera indipendente? Cominciare a fare il proprio dovere dal nulla? A questo si aggiunga che l’intera macchina burocratica (prendiamo per esempio il tribunale, dal giudice procuratore all’uscere), è controllata da Vučić: come fa una singola persona – il pubblico ministero che indaga sulla pensilina, per esempio – a fare davvero il proprio dovere se viene poi osteggiato, anche in maniera passiva, dall’intero apparato burocratico? A queste domande gli studenti sembrano non avere una risposta concreta.

Fig. 2 – Alle manifestazioni studentesche ci sono solo bandiere e simboli serbi | Foto: Christian Eccher
TUTTO BLOCCATO
Da tre mesi, i ragazzi non vanno a scuola – perché scioperano anche gli insegnanti degli istituti elementari e superiori – e non ci sono lezioni nelle Università. Va detto, a scanso di equivoci, che l’idea di sciopero in Serbia è diversa rispetto a quella in Occidente: in Serbia si sciopera sì ma alla paga non si rinuncia. Cosa che permette a Vučić di sostenere che gli insegnanti siano dei lavativi che, in accordo con gli studenti, non han voglia di lavorare e per questo rubano i soldi allo Stato. Anche l’occupazione dell’Università, non è in realtà una vera a propria occupazione: c’è solo il blocco delle lezioni, il personale non docente lavora e i professori vengono regolarmente retribuiti. Le proteste degli studenti somigliano più a dei grandi happening che non a vere e proprie manifestazioni politiche: si canta, si balla, si mangia la porchetta e i cittadini portano ai ragazzi (che i media di opposizione definiscono eroi, liberatori, partigiani) quintali di cibo e di bevande. I partecipanti si abbracciano e piangono di gioia e commozione: una vera e propria catarsi dopo anni di apatia e di silenzio, ma è una catarsi senza risoluzione dei traumi, per questo si ripete di giorno in giorno e a ogni incontro. Di politica si parla poco e i problemi restano sul tavolo, irrisolti. Nè i ragazzi, né le opposizioni (divise e quasi inesistenti) sembrano intenzionati ad affrontarli: corruzione endemica, la pesante eredità delle guerre degli anni Novanta, la deindustrializzazione del Paese che ha portato la Serbia a dipendere completamente dalle industrie e dagli investimenti stranieri, la questione del Kosovo e della Republika Srpska, l’entità federale della Bosnia abitata dai serbi. Non si nomina neppure il processo di integrazione nell’UE (colpisce la totale assenza delle bandiere europee durante le manifestazioni). Di tutto ciò, nessuno vuole parlare. Gli studenti si chiudono nelle proprie proteste, coraggiose sì ma anche populiste e per certi aspetti qualunquiste; la classe dirigente al potere si rifugia invece nella vecchia retorica nazionalista e sciovinista.
Embed from Getty ImagesFig. 3 – Parata militare a Pristina nel giorno delle celebrazioni per l’indipendenza, 17 febbraio 2025. Della questione Kosovo, ancora cruciale per la politica serba, gli studenti non parlano
E DOPO VUČIĆ?
Nel caso in cui Vučić dovesse dimettersi e cedere alla pressione popolare, cosa avverrebbe in Serbia? Non sembra ci sia nessuno pronto a prendere il potere. Gli studenti, per ora, escludono la formazione di un proprio movimento, magari simile a quello fondato anni fa da Beppe Grillo in Italia. Le opposizioni sono divise e senza idee. Intanto, lo ripetiamo, da 3 mesi i ragazzi non vanno a scuola, e questo in un Paese dove l’istruzione è già ridotta a mero studio nozionistico. Neanche gli studenti stessi sembrano interessati a una riforma del sistema scolastico e forse proprio qui si cela la soluzione dei problemi serbi: è necessario che la scuola si aggiorni, che insegni ai ragazzi a essere critici e, soprattutto, a dialogare con chi la pensa diversamente. Un processo lungo e faticoso, che nessuno però sembra voler intraprendere. Anche chi manifesta, cerca soluzioni istantanee agli annosi problemi serbi e ciò è estremamente pericoloso: la richiesta di giustizia immediata nei confronti dei responsabili del crollo della pensilina, per esempio, rischia di portare a un processo popolare e di piazza (più volte invocato da numerosi intellettuali) che faccia giustizia sommaria e mandi in carcere dei capri espiatori, non i veri responsabili della strage.
Nel caso in cui gli studenti continuino a rifiutarsi di dialogare e nel caso in cui Vučić si rifiuti di fare concessioni, si rischia di arrivare a scontri di piazza, anche sanguinosi. Una seconda possibilità è che le proteste si spengano da sole, per stanchezza, ed è questa la speranza di Vučić. Quest’ultima eventualità sembra però davvero lontana: gli studenti, dopo l’esperienza della pandemia che li ha visti per mesi segregati in casa, hanno scoperto le gioie della socialità e nelle Università occupate sembrano divertirsi molto, con tornei di ping-pong, rassegne cinematografiche e svariate attività ricreative. Una cosa è certa: l’instabilità politica potrebbe portare al ritiro degli investimenti stranieri da cui la Serbia dipende totalmente. In tal caso, alla crisi politica si aggiungerebbe anche quella economica. Una formula completa per il caos sociale e una perfetta ouverture alla guerra civile.
Christian Eccher
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