Analisi – Dal 13 maggio il Tigray’s People Liberation Front (TPLF) è un partito illegale. I contrasti tra Governo federale e dirigenza tigrina si approfondiscono e rischiano di ripercuotersi sulla fragile situazione interna dell’Etiopia e sul delicato equilibrio del Corno.
LA MESSA AL BANDO DEL TPLF: PIETRA TOMBALE DEGLI ACCORDI DI PACE?
Il rifiuto del TPLF di adeguarsi alle disposizioni della Commissione Elettorale Nazionale dell’Etiopia (svolgere un congresso riconosciuto dal Governo federale ed eleggere una nuova dirigenza) fa deragliare il processo di riammissione del partito nella politica etiope, fondato sugli Accordi di Pretoria che nel novembre 2022 posero fine alla guerra del Tigrai. Durante il conflitto il TPLF era stato designato come organizzazione terroristica.
La questione riguarda l’interpretazione degli Accordi: il Governo federale del premier Abiy Ahmed sostiene che non prevedano l’automatico reintegro dello status legale del TPLF e che il partito debba sottostare a una serie di procedure, registrandosi come nuovo soggetto politico, mentre il TPLF, dal canto suo, rifiuta quello che vede come un sopruso, non ritenendo necessario altro riconoscimento legale che quello derivante dal suo status di parte contraente negli Accordi.
Fig. 1 – Il Primo Ministro etiope Abiy Ahmed durante la cerimonia del 30° anniversario del genocidio in Ruanda, Kigali, 7 aprile 2024
UN BREVE RIEPILOGO: GUERRA E DIVISIONE NEL TIGRAI
Dopo la guerra (2020-22) che ha contrapposto le Forze Armate del TPLF alla coalizione formata da Etiopia, Eritrea e milizie amhara, la fragile pace sancita dagli Accordi di Pretoria è stata minata dall’incapacità generale di rispettarne le clausole: ritorno degli sfollati interni, ritiro delle truppe eritree e amhara dal Tigrai, disarmo delle forze tigrine. La situazione si è complicata con l’emergere di divisioni interne al TPLF, culminate lo scorso settembre nell’espulsione dal partito dell’allora Presidente dell’Amministrazione Regionale, Getachew Reda, a capo di una fazione favorevole al compromesso con il Governo federale. A marzo, l’ala “radicale” del TPLF ha quindi preso il controllo dell’Amministrazione Regionale, spingendo Getachew a fuggire ad Addis Abeba.
Abiy Ahmed ha condannato il colpo di mano, ma ha assunto una posizione cauta, rifiutando la richiesta di Getachew di intervenire militarmente. Alla fine, il premier ha accettato di nominare un generale delle Forze Armate tigrine, Tadesse Werede, come nuovo Presidente dell’Amministrazione Regionale. Tadesse sembrerebbe una soluzione di compromesso: vicino alla fazione radicale del TPLF, ha prestato servizio anche nell’esercito nazionale etiope ed è stato vicepresidente regionale sotto Getachew. Quest’ultimo ha ottenuto un incarico ad Addis Abeba come consigliere del premier per l’Africa Orientale e ha fondato un nuovo partito, il Tigray Liberal Democratic Party.
Fig. 2 – Al centro Getachew Reda, attuale consigliere del Presidente del Tigrai e portavoce del Tigray People’s Liberation Front (TPLF) durante i negoziati con il Governo etiope a Nairobi, 12 novembre 2022
LE MOTIVAZIONI DEGLI ATTORI IN CAMPO
Il TPLF è deciso a mantenere la propria egemonia sulla regione, senza concedere troppo spazio a partiti di opposizione e società civile. Per farlo sarebbe disposto a riprendere la guerra contro il Governo federale, ma questa volta potrebbe persino allearsi con il nemico storico, l’Eritrea. Tuttavia, il dibattito interno al TPLF è sempre più sclerotizzato e non sono da escludere ulteriori divisioni, soprattutto se la contrapposizione con Addis Abeba si radicalizzerà .
Il Governo federale guidato dal sempre più autoritario Abiy Ahmed è interessato a rafforzare il proprio potere, superando il federalismo etnico fondato sull’autonomia dei partiti regionali, per promuovere un centralismo imperniato su Addis Abeba, nella convinzione che ciò sia funzionale a costruire un’Etiopia più forte e quindi capace di recuperare un ruolo primario nella politica regionale e continentale.
Nonostante l’esigua dimensione in termini di consensi, i partiti tigrini di opposizione (Baytona, Salsay Weyane, Tigray Independence Party) giocano un ruolo sempre maggiore, sostenuti dal Governo federale per indebolire l’autorità del TPLF. La loro rivalità con il TPLF riguarda più l’influenza nella regione che divergenze politico-ideologiche. Questi partiti raccolgono consensi tra la società civile tigrina, stanca del sistema di potere del TPLF, ma in sostanza la loro richiesta di accedere all’Amministrazione Regionale in coalizione con il TPLF tradisce la volontà di partecipare a quel sistema di potere e ai suoi utili. A questi partiti si aggiunge ora il Tigray Liberal Democratic Party di Getachew. La nascita di una formazione politica di ispirazione “liberal-democratica” nel panorama tigrino è stata ben accolta da media vicini al Governo federale, interpretata come un colpo all’egemonia del TPLF, ancora legato alle proprie origini socialiste.
Interesse vitale dell’Eritrea di Isaias Afwerki è evitare un rafforzamento dell’Etiopia. Allo scoppio della guerra in Tigrai, Etiopia ed Eritrea avevano da poco raggiunto uno storico accordo di pace (2018). Sei anni dopo quell’intesa, che valse il Nobel per la Pace ad Abiy Ahmed, i rapporti sono tornati piuttosto tesi. Non va dimenticato che l’esercito di Asmara occupa ancora parti del Tigrai. Eritrei e tigrini non si amano: hanno avuto dispute territoriali e si sono scontrati durante la guerra, ma sono accomunati dall’inimicizia verso Addis Abeba.
Fig. 3 – Un campo per sfollati interni a Macallè, nel Tigrai, 16 febbraio 2024
OLTRE IL TIGRAI: L’ETIOPIA E LE SUE CRISI
I problemi dell’Etiopia non si limitano al Tigrai. In altre regioni del Paese (Oromia, Amhara, Ogaden, Afar) sono attivi movimenti armati di matrice etnica. Il Governo federale gioca a utilizzare questi gruppi l’uno contro l’altro, per poi ritrovarsi in conflitto con le stesse milizie che ha supportato. Ora, Abiy Ahmed starebbe sostenendo un’embrionale forza armata tigrina anti-TPLF, composta da transfughi del partito fedeli a Getachew.
Al di là delle tensioni etniche, il panorama non è roseo. Le ultime settimane hanno visto montare la protesta dei lavoratori della sanità , con scioperi e arresti in tutto il Paese. L’Etiopia è alle prese con una crisi economica che le riforme di Abiy – pur molto apprezzate dalle Istituzioni finanziarie internazionali – non riescono a sanare: il tasso annuo di inflazione rimane tra i più alti al mondo (30,2% nel 2023). Intanto, si registrano attacchi alla stampa indipendente: il 17 aprile la polizia ha fatto irruzione nella sede del quotidiano “Addis Standard”, segnando un’ulteriore torsione autoritaria. Rimangono, infine, tensioni regionali più o meno latenti: con Egitto e Sudan per la costruzione della Grande Diga del Rinascimento Etiope e con la Somalia a causa delle mire di Addis Abeba sul porto di Berbera nel Somaliland.
L’atteggiamento irresponsabile degli attori in campo, disposti a tutto pur di aumentare o mantenere la propria fetta di potere, va a scapito della popolazione comune. Mentre le classi dirigenti lottano tra loro e la comunità internazionale guarda altrove, l’Etiopia rimane uno dei Paesi più poveri al mondo, con un indice di sviluppo umano di 0,497, inferiore alla media africana.
Giovanni Tosi
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