Caffè Lungo – La stampa internazionale ha scoperto retroscena oscuri sulla Gaza Humanitarian Foundation, l’unica organizzazione che da maggio doveva occuparsi di distribuire beni di prima necessità alla popolazione palestinese della Striscia e nella quale sarebbero coinvolti non solo il Governo israeliano, ma anche i servizi d’intelligence americani.
GAZA HUMANITARIAN FOUNDATION (GHF): CHI, COME, DOVE, QUANDO E – SOPRATTUTTO – PERCHÉ
Da qualche tempo a questa parte la gestione della distribuzione nella Striscia di Gaza dei beni di prima necessità ha suscitato diverse perplessità. Negli ultimi mesi, infatti, a molti convogli di diverse organizzazioni umanitarie è stato negato l’accesso nella Striscia a causa delle restrizioni imposte dal Governo israeliano. In questo contesto di militarizzazione dello strumento d’aiuto, condannato pressoché unanimemente dalla comunità internazionale, La Gaza Humanitarian Foundation (GHF), un’entità statunitense privata, con sede legale a Ginevra, avrebbe dovuto assumere – autorizzata dal Governo israeliano – il monopolio della catena degli aiuti. Tale decisione è stata presa formalmente dall’esecutivo di Netanyahu con l’intenzione di estromettere tutte le altre organizzazioni internazionali, fra cui anche l’agenzia ONU UNRWA, su cui il Parlamento israeliano aveva già legiferato, bloccandone l’attività. Tuttavia, grazie a un’inchiesta pubblicata recentemente dal New York Times i dubbi circa la liceità delle azioni del Governo Netanyahu sono diventati fondati, scoperchiando un vaso di Pandora dai contorni internazionali. Infatti, da quanto si apprende dal quotidiano statunitense, la GHF farebbe parte di un sistema complesso in cui sono coinvolti ex marine, ex agenti della CIA e alcuni membri del Governo israeliano. Inoltre, la GHF farebbe anche parte di uno schema bicefalo la cui controparte è l’impiego, presso gli spot di distribuzione del cibo e dei beni di prima necessità, di personale privato addestrato della Safe Reach Solutions (SRS), il cui scopo ufficialmente dichiarato è quello di occuparsi della sicurezza delle operazioni e degli operatori. La SRS, però, aveva già iniziato a operare in territorio israeliano e nella Striscia da gennaio di questo anno, grazie alla fiducia guadagnata dal suo patron Philip F. Reilly – un ex agente della CIA – e, a quanto pare, senza l’autorizzazione dello Shin Bet. Le ombre che ricadono sulla Gaza Humanitarian Foundation, grazie alle inchieste della stampa internazionale, stanno facendo luce su un articolato schema operativo che – se confermato dai fatti – vedrebbe un’organizzazione incaricata di distribuire aiuti come un cavallo di Troia utile, indirettamente, al Governo americano per acquisire informazioni sul campo da fonti non ufficiali e – sostanzialmente – con un’elevata capacità di penetrazione informativa. Un soggetto, soprattutto, utile in maniera diretta e indiretta al Governo israeliano per usare gli aiuti umanitari come merce di scambio, arma e strumento di controllo.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Bambini del campo per rifugiati di Rafah
GLI AIUTI UMANITARI COME STRUMENTO DI CONTROLLO E ARMA D’ANNIENTAMENTO
La distribuzione degli aiuti umanitari costituisce, in tempi di guerra o calamità sistematica, un aspetto cruciale per la salvaguardia della vita umana, nonché un’operazione molto delicata, sia per la sicurezza degli operatori nell’esercizio dei loro tasks che per la complessa catena burocratico-operativa e logistica che sovrintende a tale attività. Nella Striscia di Gaza gli aiuti umanitari sono diventati, però, anche strumento di controllo e arma di annientamento. Infatti, grazie all’operazione di monopolizzazione della distribuzione degli aiuti, il Governo Netanyahu si è garantito la possibilità di “chiudere il rubinetto” in qualsiasi momento, condannando migliaia di persone alla morte per stenti o per mancanza di medicinali, senza assumersene la responsabilità e, soprattutto, impedendo a qualsiasi organizzazione internazionale di intervenire. Non solo. Il monopolio e la strumentalizzazione della distribuzione degli aiuti si accompagna, anche, a diversi episodi di violenza ai danni dei civili in attesa di ricevere i beni di prima necessità e, troppo spesso, target in sparatorie di cui Hamas e l’esercito israeliano si rimbalzano la responsabilità. In questo contesto, quindi, gli aiuti umanitari e la loro concessione sono diventati non solo uno strumento di controllo e annientamento, ma anche l’espressione concreta di una totale noncuranza nei confronti del diritto internazionale, nonché del rispetto della vita umana e specialmente di civili non combattenti. Così, nel 2025, come accadeva in epoca antica e nel Medioevo, la fame torna a essere uno strumento per dividere, fiaccare e uccidere il presunto avversario.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Una donna palestinese di fronte a una recinzione di filo spinato
LA GUERRA CON ALTRI MEZZI
Carl Von Clausewitz affermava: “La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi”. Attualmente lo scenario internazionale e, in particolare, quello conflittuale, stanno seguendo traiettorie le cui direttrici erano manifeste da tempo. A latere dell’utilizzo di strumenti convenzionali, la guerra si combatte sui social media, con armi tecnologiche che non prevedono necessariamente il coinvolgimento di uno o più operatori, e, non da ultimo, con la fame. È di qualche giorno fa la notizia che l’esercito israeliano è tornato a sparare contro la folla durante la distribuzione di cibo e, nonostante questo evento nello specifico non sia collegato con il monopolio della gestione degli aiuti umanitari voluto da Netanyahu, sembra che gli attacchi contro la folla di civili siano diventati quasi una prassi consolidata. La guerra non è mai priva di quelli che, in gergo, vengono definiti “danni collaterali”, tuttavia la tendenza generale sembra quasi quella di uno scardinamento totale dei principi fondamentali dello ius in bello, in cui la distinzione fra personale combattente e non è molto netta. Il caso della Gaza Humanitarian Foundation costituisce un pericoloso precedente di estromissione delle organizzazioni internazionali da un teatro di guerra in cui la tutela della vita umana dovrebbe rimanere un valore imprescindibile. I conflitti, considerando anche la recente escalation fra Israele e Iran, sembrano essere la cifra della contemporaneità in una preoccupante corsa al riarmo e a norme di linguaggio che echeggiano gli orrori del secolo scorso. La guerra del futuro, però, ha contorni più oscuri perché si combatte in terreni nei quali i diritti – preziosissimi, seppur limitati in circostanze conflittuali – sono soppiantati dall’anarchia di un sistema internazionale involuto di cui i civili, innocenti, sono le prime numerose vittime.
Sara Cutrona
Immagine in evidenza: “Food and Starvation as Weapons of War” by alisdare1 is licensed under CC BY-SA