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I cinquant’anni di indipendenza delle ex colonie portoghesi

AnalisiCinquant’anni fa terminava un capitolo di oppressione e iniziava il cammino verso la libertà. Quest’anno si celebra il cinquantenario dell’indipendenza delle ex colonie portoghesi, un anniversario che onora la conquista della libertà e il coraggio di chi ha lottato per ottenerla.

IL COLONIALISMO PORTOGHESE

La grande corsa alla spartizione dell’Africa prende ufficialmente forma con la Conferenza di Berlino del 1884-1885. In quell’occasione, le principali potenze europee dell’epoca – tra cui Francia, Regno Unito e Portogallo – si riunirono per definire le regole e le zone d’influenza di quella che sarebbe diventata la sistematica divisione coloniale del continente africano. Il colonialismo, in generale, non nacque subito come dominio politico diretto. Inizialmente, nella maggior parte dei casi, assumeva la forma di un’espansione commerciale, affidata a compagnie concessionarie incaricate di sfruttare le risorse di cui l’Europa era carente: gomma selvatica, zucchero, metalli preziosi. Solo in un secondo momento, le potenze coloniali avrebbero imposto e organizzato un controllo amministrativo diretto. Nel caso del Portogallo, la prima fase di espansione (iniziata nel XV secolo) fu diretta verso le isole di Capo Verde e São Tomé e Príncipe, dove si mirava a potenziare rispettivamente la viticoltura e la produzione di zucchero. Ma fu solo nel corso del XIX secolo che l’azione di espansione si spostò anche sulla terraferma africana. In breve, infatti, Angola, Guinea-Bissau e Mozambico divennero progressivamente fulcri dell’impero lusitano in Africa. Con il secondo dopoguerra, mentre tra gli anni Cinquanta e Sessanta le altre potenze coloniali cedettero progressivamente ai movimenti africani che reclamavano l’autodeterminazione, Lisbona adottò una rigida politica di resistenza alle istanze indipendentiste delle proprie colonie. Complice il regime salazarista, caratterizzato da una struttura centralizzata autoritaria, l’Estado Novo si oppose con forza a qualsiasi ipotesi di autonomia dei territori coloniali. Il potere era concentrato nelle mani del Governo di Lisbona, che nominava i governatori delle colonie e vietava ogni forma di organizzazione politica, sia tra i coloni che tra la popolazione africana. Partiti, sindacati, stampa: tutto veniva rigidamente controllato e represso. L’Estado Novo, attraverso la sua famigerata polizia internazionale di difesa dello Stato, controllava ogni aspetto della vita nelle colonie. Le guerre di liberazione, alimentate e intrecciate con il contesto della Guerra Fredda, furono lunghe e sanguinose. La strada verso l’indipendenza per le colonie lusofone fu tra le più tortuose del continente.

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Fig. 1 – Un bambino angolano, nel settembre del 1974, attende la fine delle operazioni militari portoghesi

LA RESISTENZA E I SUOI MOVIMENTI

Uno dei tratti distintivi dei movimenti di liberazione nelle ex colonie portoghesi è stata una forte e condivisa matrice ideologica alla base dei movimenti indipendentisti. Molti di questi movimenti erano accomunati, oltre che da un afflato libertario, da una denuncia degli effetti devastanti del capitalismo nelle strutture sociali africane. Non è dunque un caso che la storiografia abbia adottato il termine “Stati afro-marxisti” per descrivere le colonie dell’Africa australe. In Angola, la guerra di liberazione scoppia nel 1961 e vede protagonisti tre movimenti principali, ciascuno sostenuto da alleanze internazionali ben precise. Il Movimento Popolare di Liberazione dell’Angola (MPLA), di ispirazione marxista, riceveva supporto da Cuba, Unione Sovietica, Jugoslavia e dalla vicina Repubblica del Congo (Brazzaville). Il Fronte di Liberazione Nazionale dell’Angola (FNLA) trovava invece appoggio a Kinshasa e, per un certo periodo, in Cina, mentre l’Unione Nazionale per l’Indipendenza Totale dell’Angola (UNITA) beneficiava anch’essa, seppur in misura minore, di aiuti militari cinesi. Nonostante l’obiettivo comune fosse la fine del dominio portoghese, le divergenze ideologiche fra i tre gruppi furono determinanti, soprattutto nel contesto della Guerra Fredda: gli Stati Uniti intervennero a sostegno di FNLA e UNITA, contrastando l’MPLA filosovietico. Alla fine, furono proprio le migliaia di soldati cubani a spostare gli equilibri in favore dell’MPLA, che conquistò la capitale Luanda e proclamò l’indipendenza del Paese nel 1975. Anche in Mozambico la lotta armata prese piede a partire dal 1964, guidata dal Fronte di Liberazione del Mozambico (FRELIMO), movimento riconosciuto ufficialmente dall’Organizzazione dell’Unità Africana. Negli anni successivi il FRELIMO, che sotto la guida di figure chiave come Eduardo Mondlane e Samora Machel, aveva assunto un’impronta sempre più radicalizzata a sinistra, ottenne crescenti successi militari, nonostante la brutalità della repressione portoghese. Tra le operazioni più violente si ricorda “Nó Górdio” del 1970, così come il massacro di Wiriyamu nel 1972, denunciato anche dalla comunità internazionale. Con il Programma di Lusaka, negoziato con il sostegno di Zambia e Malawi, venne delineato un percorso graduale verso l’indipendenza mozambicana che prevedeva una partecipazione del FRELIMO al futuro Governo. Tuttavia, il premier portoghese Marcelo Caetano rigettò l’accordo, ritenendo che il movimento non rappresentasse la volontà della popolazione. La svolta arrivò nel 1974 con la Rivoluzione dei Garofani, che mise fine al regime salazarista e aprì la strada alla decolonizzazione. Nel giugno 1975, il Mozambico ottenne l’indipendenza. Percorsi simili si svilupparono anche nelle altre colonie. In Guinea-Bissau e Capo Verde fu il Partito Africano per l’Indipendenza della Guinea e di Capo Verde (PAIGC) a guidare la lotta. A seguito dell’assassinio della sua guida, Amílcar Cabral, la Guinea-Bissau si autoproclamò indipendente nel 1973, con riconoscimento ufficiale a livello internazionale soltanto l’anno successivo. Capo Verde e São Tomé e Príncipe seguirono l’ondata, ottenendo l’indipendenza nel 1975, dopo anni di resistenza portata avanti anche dal Movimento di Liberazione di São Tomé e Príncipe, congiuntamente al PAIGC. Tuttavia, la transizione alla sovranità per questi Paesi fu solo l’inizio di un cammino complesso. L’indipendenza fu conquistata sul campo di battaglia, ma le sfide della ricostruzione della stabilità postcoloniale si sarebbero rivelate altrettanto ardue.

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Fig. 2 – Eduardo Mondlane e Samora Machel, guide del FRELIMO in Mozambico

IL DOPOGUERRA DELL’INDIPENDENZA

La fine del dominio coloniale portoghese non ha coinciso, per molti Paesi africani, con l’inizio di un’era di pace e stabilità. Nella maggior parte delle ex colonie africane la decolonizzazione ha lasciato dietro di sé condizioni di estrema fragilità delle strutture economiche – essendo queste plasmate sugli interessi della potenza colonizzatrice madrepatria, – politiche – consegnate a élites rivelatesi in pochi anni inefficienti e corrotte, – e sociali – con identità culturali indebolite e divise a cavallo di confini artificiosi. In Mozambico, l’indipendenza nel 1975 non pose fine alle tensioni interne. Al contrario, il Paese sprofondò in un lungo conflitto civile che vide contrapposti il Governo guidato dal FRELIMO e il movimento RENAMO. Tra i principali sostenitori di quest’ultimo figurava il Sudafrica, determinato a ostacolare la costituzione nel Paese di un Governo ideologicamente ostile. Attacchi alle infrastrutture civili, distruzioni, violenze diffuse e migliaia di vittime segnarono un decennio nero per il Mozambico. Dopo un milione di vittime e quattro milioni di profughi, grazie allo straordinario e paziente impegno della Comunità di Sant’Egidio, e nel mutato contesto geopolitico che avrebbe visto di lì a poco anche la fine del Governo segregazionista sudafricano, fu possibile raggiungere uno storico accordo di pace firmato a Roma il 4 ottobre del 1992. La pace, tuttavia, non ha significato un rapido miglioramento delle condizioni complessive del Paese, tanto che la ricostruzione è ancora oggi incompleta sotto molti aspetti. Destino simile per l’Angola, che vide esplodere una sanguinosa guerra civile subito dopo l’indipendenza. Il conflitto, durato 26 anni, vide come principali protagonisti due formazioni, ideologicamente contrapposte: l’MPLA, partito marxista sostenuto da Cuba e URSS, e l’UNITA, movimento anticomunista finanziato da Stati Uniti e Sudafrica. Il confronto, nello schema della Guerra Fredda, trasformò l’Angola in uno dei campi di battaglia più duri del continente africano. Solo nel 2002, con la morte del leader dell’UNITA Jonas Savimbi e la firma delMemorandum d’intesa di Luena, si arrivò a una cessazione delle ostilità. Anche la Guinea-Bissau non ha goduto di un cammino pacifico e di un destino di sviluppo. Nonostante l’indipendenza avvenuta qualche anno prima rispetto alle altre ex colonie portoghesi, la Guinea-Bissau ha attraversato decenni di turbolenze politiche. Colpi di Stato, crisi istituzionali e scontri armati hanno costantemente minato la costruzione di uno Stato solido.  La situazione resta oggi fragile: scioglimenti ripetuti del Parlamento e una crisi interna senza fine continuano a bloccare ogni slancio riformatore. Diverso il percorso delle isole. Capo Verde e São Tomé e Príncipe hanno vissuto, salvo alcune crisi episodiche, una transizione più pacifica e graduale verso la democrazia. In particolare, São Tomé ha conosciuto una relativa stabilità, consolidando nel tempo un sistema democratico funzionate. Una rarità nel panorama postcoloniale lusofono.

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Fig. 3 – Comizio tenutosi il 18 settembre 1992, prima delle elezioni in Angola

MEMORIA STORICA E RESPONSABILITÀ FUTURA

A cinquant’anni dalle indipendenze africane, per i Paesi lusofoni il tempo della celebrazione è anche, e soprattutto, quello della riflessione. Il vero traguardo, infatti, non è stato solo la fine del dominio coloniale, ma la difficile costruzione e il rafforzamento di condizioni politiche, economiche e sociali: un compito affidato alla responsabilità delle classi politiche che, una volta spentosi il fuoco della lotta di liberazione, si sono non sempre rivelate adeguate. Un cammino che ha significato anche– e significa ancora oggi – la riscoperta della propria storia, il superamento di ferite profonde, e la valorizzazione della propria cultura come fondamento di un’identità solida e autonoma. In questo contesto, è interessante osservare come il rapporto con l’ex potenza coloniale sia vivo e sfaccettato. A testimoniare la solidità di questi legami è la Comunità dei Paesi di Lingua Portoghese (CPLP), fondata nel 1996, che funge da piattaforma multilaterale per il dialogo e la cooperazione tra le nazioni di lingua portoghese. Nonostante il passato coloniale, i rapporti tra Lisbona e le ex colonie sono oggi caratterizzati da una fitta rete di collaborazioni nei settori culturale, economico, educativo e della sicurezza, con particolare intensità in Angola e Capo Verde. Un recente sondaggio di Afrobarometer fornisce ulteriori elementi di riflessione: in Angola, il 45% della popolazione considera positiva l’influenza politica ed economica del Portogallo, mentre solo il 19% la giudica negativamente. Il dato è ancora più marcato nelle isole, dove l’84% dei capoverdiani e il 79% dei cittadini di São Tomé esprimono un’opinione favorevole. I rilevamenti in Mozambico e Guinea-Bissau sono attualmente in corso. Tra i dossier più importanti sul tavolo figura São Tomé e Príncipe, oggi al centro di rinnovate attenzioni internazionali grazie al potenziale sviluppo del settore petrolifero. Il Portogallo, in particolare, sta aumentando gli investimenti nel comparto energetico, segno tangibile di una cooperazione in evoluzione. La vicenda storica delle colonie portoghesi offre un’interessante occasione per riflettere sulle difficoltà del processo di decolonizzazione, su quanto è stato costruito e su ciò che resta ancora da realizzare. È il momento di rinnovare l’impegno, per le ex potenze coloniali ma in generale per tutti gli attori internazionali nei confronti dell’Africa, verso una cooperazione sempre più equa, in grado di valorizzare le risorse e le culture locali come motore di sviluppo, di investire nella formazione delle nuove generazioni e quindi nel capitale umano africano, affinché anche i Paesi africani possano partecipare allo sviluppo e affrontare le sfide globali con strumenti propri e voce autonoma. I legami con il Portogallo, oggi rafforzati da un dialogo più maturo e paritario, dimostrano che un passato comune può diventare risorsa, se orientato al futuro.

Livia Daccò Coppi

President Jacob Zuma attends the independence celebration of Angola, 11 Nov 2015” by GovernmentZA is licensed under CC BY-ND

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Perchè è importante

  • Ricordare l’esperienza coloniale e le lotte per l’indipendenza dei Paesi è fondamentale per promuovere valori come il rispetto, la solidarietà e l’autodeterminazione dei popoli, rafforzando la cooperazione e il dialogo internazionale.
  • Il cinquantenario dell’indipendenza delle ex colonie portoghesi in Africa rappresenta un momento per rendere omaggio a coloro che hanno sacrificato la propria vita, trasmettendo alle nuove generazioni il valore della libertà.

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Livia Daccò Coppi
Livia Daccò Coppi

Nata a Genova nel 2000, ho vissuto gran parte della mia adolescenza tra Sudamerica e Africa. Tornata a Roma per gli studi, ho conseguito una laurea triennale in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali presso l’Università LUISS Guido Carli. Attualmente frequento la magistrale in Relazioni Internazionali e Istituzioni Sovranazionali presso l’Università La Sapienza. Appassionata di storia dell’Africa, ho sviluppato un grande interesse per i temi geopolitici concernenti questo vasto continente.

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