In 3 sorsi – La propaganda russa è una delle armi principali del Cremlino nel conflitto russo-ucraino e nella battaglia mediatica con l’Occidente. Nonostante i divieti imposti dalla UE ai media russi, Telegram e i relativi bot rimangono una minaccia, alla quale, forse, solo un rigoroso incremento del fact checking da parte degli organi di stampa potrebbe porre rimedio.
1. LE SANZIONI UE CONTRO LA PROPAGANDA RUSSA
Tra le prime sanzioni che sono state emesse contro Mosca a seguito dell’invasione dell’Ucraina nel 2022 c’è stato il divieto, promosso da Bruxelles, della diffusione della propaganda russa negli Stati membri, con la chiusura di emittenti come Russia Today e Sputnik, finanziate dal Cremlino, che avevano alimentato una narrazione propagandistica volta a favorire le divisioni all’interno della UE, al fine di rendere i Paesi dell’Est più vulnerabili alle mire russe.
Tali sanzioni, tuttavia, non hanno permesso un blocco completo della propaganda, grazie soprattutto all’uso di internet e dei canali di messaggistica come Telegram o VKontakte, sui quali l’UE non ha possibilità di intervento se non al seguito delle Autorità giudiziarie dei singoli Stati membri. Questi, però, hanno difficoltà a controllare un segmento magmatico come quello della messaggistica online, che non richiede una registrazione per la visualizzazione dei contenuti.
L’equilibrio tra la libertà di espressione, un caposaldo del diritto europeo, e la necessità di contrastare la propaganda di guerra del Cremlino, che ha fatto breccia in diversi cittadini europei, nonché in alcune forze politiche, è assai dibattuto nell’Unione, dove è crescente l’idea di limitare l’uso dei social network. Tale idea è alimentata anche dai recenti interventi del proprietario di X, Elon Musk, nel dibattito politico europeo, che hanno causato malumori tra diversi leader dell’UE.
Fig. 1 – Margarita Simonyan, direttrice di Russia Today, viene decorata al Cremlino da Putin nel 2019
2. L’USO DI TELEGRAM PER AGGIRARE I DIVIETI UE AI MEDIA FILORUSSI
Telegram è un canale di messaggistica istantanea tra i più usati nel mondo, con circa un miliardo di utenti. Il suo creatore, il russo Pavel Durov, ha rapporti controversi con Mosca. Durante il periodo più duro degli attacchi terroristici dell’ISIS contro la Russia, Durov rifiutò, al fine di proteggere la privacy degli utenti Telegram, di consegnare al Cremlino i codici di decriptazione delle chat, essenziali secondo le Autorità locali per prevenire atti di terrorismo.
Dall’altra parte, Telegram è uno dei canali preferiti dalla propaganda del Cremlino, che ne sfrutta le caratteristiche criptate rispetto ai canali social del gruppo Meta, facente capo all’americano Mark Zuckenberg, che hanno cancellato molti gruppi online a favore dell’invasione dell’Ucraina.
Il sistema crittografico end to end e la creazione dei bot alla base della moltiplicazione di utenti fittizi sono stati decisivi per la diffusione della propaganda russa online, consentendo di gonfiare il numero reale degli utenti Pro Mosca e di diffondere messaggi e notizie non verificate per creare una opinione pubblica favorevole alle politiche del Governo russo. Inoltre hanno supportato azioni di disinformazione anche in ambito elettorale, come dimostrato nei recenti casi in Romania e Moldavia.
Fig. 2 – Pavel Durov, creatore di Telegram, durante il Mobile World Congress di Barcellona del 2016
3. IL FACT CHECKING COME RIMEDIO PER LA DISINFORMAZIONE RUSSA
Appare difficile immaginare una censura sui canali Telegram e di messaggistica istantanea in Paesi in cui vigono uno Stato di diritto consolidato e la presunzione di innocenza, non rendendo sufficiente l’ipotesi di reato per bloccare un canale Telegram. Inoltre, la tutela della privacy è all’interno del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea e protegge i dati degli utenti anche a livello giudiziario.
La difficoltà di fermare le notizie false rimane una delle sfide più importanti nella battaglia sull’informazione del conflitto russo-ucraino, considerando che la proprietà dei canali di messaggistica non fa capo a imprenditori europei e non c’è la possibilità di nazionalizzarli, mossa che comporterebbe una violazione del diritto di impresa e il rischio di perdere investimenti esteri.
Il proliferare dei canali online e della “informazione fai da te” ha permesso di costruire narrazioni alternative, basate su teorie o supposizioni rivelatesi errate, ma che hanno potuto attecchire nella società occidentale, causando molti danni all’informazione e diversi benefici alle potenze ostili alla UE come il Cremlino.
Un potenziale rimedio appare il fact checking, sul quale le Autorità governative possono aumentare gli sforzi, in collaborazione, ad esempio, con le testate giornalistiche regolarmente registrate, le quali devono tornare a essere protagoniste per una informazione di qualità, in considerazione della professionalità e della esperienza di cui godono.
Tuttavia, la forza comunicativa dei social media e della messaggistica istantanea, in cui il passaparola è elemento cruciale, rende complessa la diffusione del fact checking tra i cittadini, in un’epoca nella quale la comunicazione di massa è diventata più semplificata e meno legata all’approfondimento dei fatti, a differenza dell’era pre-digitale, quando la verifica delle notizie era alle basi della buona informazione.
Lorenzo Pallavicini
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