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I profughi bielorussi in Lituania

Analisi Durante l’estate, in una Vilnius invasa dai turisti, abbiamo incontrato i profughi bielorussi che, silenziosi e discreti, si ritrovano nella sede della Chiesa ortodossa bielorussa di Lituania. Riportiamo alcune delle loro storie.

LA CHIESA ORTODOSSA BIELORUSSA DI LITUANIA

Come ogni estate, anche quest’anno le strade strette di Vilnius sono invase dai turisti che, a gruppi, attraversano il centro della città e fotografano gli edifici e le chiese barocche dalle cui facciate si affacciano stucchi a forma di angeli, fiori e putti. In una di queste stradine, non lontano dalla piazza del municipio, c’è una chiesa; piccola, piccolissima, ricavata al pianterreno di un palazzo settecentesco, in quello che un tempo poteva essere un locale adibito a negozio o a magazzino. Raramente i turisti di passaggio si accorgono di questa chiesa e solo poco curiosi si affacciano dalla porta e guardano dentro, spesso increduli e stupiti: nella Vilnius ricca di luoghi di culto barocchi, spettacolari e di grandi dimensioni, una chiesa così minuta desta sicuramente stupore. Nella sala dedicata alla liturgia ci sono una decina di sedie, un altare, le icone e una finestra che guarda sul retro dell’edificio. I rami di un albero grattano i vetri e, anche se non permettono di vedere il cortile, danno ai fedeli e ai visitatori della chiesa un senso di intimità e di protezione. Qui si ritrovano, non solo a pregare, i bielorussi che sono stati costretti a lasciare il proprio Paese dopo la fallita rivoluzione del 2020. Ci sono quelli che sono scappati subito, ma anche coloro che hanno passato un lungo periodo in carcere o che sono stati semplicemente accompagnati alla frontiera dal KGB, il servizio di sicurezza bielorusso, con l’amichevole invito a non tornare mai più. La Chiesa ortodossa bielorussa in esilio in Lituania è ufficialmente riconosciuta da Costantinopoli e a guidarla c’è Padre Gheorghi Roi, accusato da Minsk di estremismo e terrorismo per il solo fatto di aver appoggiato le dimostrazioni contro il Presidente bielorusso Lukashenko. Da allora vive in esilio a Vilnius con la famiglia. Dopo la funzione religiosa, i fedeli vanno in una stanza nel retro della chiesa stessa e passano piacevolmente il tempo insieme. Ognuno porta qualcosa e la tavola è imbandita di panini farciti, frutta fresca, dolci di ogni tipo. I bambini corrono lungo il corridoio che collega la stanza degli incontri con la chiesa vera e propria e giocano allegri, mentre gli adulti parlano fra loro. Padre Roi è riuscito a costruire una comunità di persone che si aiutano a vicenda e di cui non fanno parte solo i bielorussi, ma anche i russi emigrati in Lituania che non si riconoscono più nei valori nazionalisti e guerrafondai del Patriarcato di Mosca e i profughi ucraini. Padre Roi, infatti, celebra una messa in ucraino, la prima della domenica; l’atmosfera che si respira in questa chiesa è quella del primo cristianesimo, quando le comunità vivevano la parola del Vangelo in comunione e in povertà totale. La Chiesa bielorussa di Lituania, infatti, vive quasi esclusivamente grazie alle offerte dei fedeli.

Fig. 1 – Manifestazione a Vilnius a sostegno dei prigionieri politici bielorussi | Foto: Christian Eccher

LA STORIA DI NATALIA

Accanto alla chiesa c’è un locale chiamato “Karchma”, gestito da bielorussi, che offre cucina sia lituana sia bielorussa. In una sera di fine agosto, mi incontro con la professoressa Natalia Dulina, docente di lingua e cultura italiana all’Università di Minsk. Sediamo a un tavolo della “Karchma” e Natalia mi racconta la propria storia. Ha perso il lavoro all’Università per aver sostenuto le proteste del 2020 ed è stato arrestata nel 2022. Ha trascorso 3 anni in carcere, in una colonia femminile. Un particolare mi colpisce più degli altri: “Ci facevano vedere spesso la televisione – dice Natalia, che parla con una voce tranquilla e melodica, nonostante il racconto sia terribile – ci obbligavano a guardare le telenovela russe, quelle sulla fedeltà alla famiglia e allo Stato”. Dopo 3 anni di prigionia, Natalia ha ricevuto l’ordine di fare i bagagli; pensava l’avrebbero trasferita in un altro carcere. Dopo averle bendato gli occhi, è cominciato il viaggio verso una località ignota. Natalia era con un’altra prigioniera nel pulmino che attraversava la pianura bielorussa, che lei non poteva vedere: quella con le case in legno, gli aironi e le cicogne che volteggiano nel cielo, i fieri boschi che interrompono la monotonia dei campi coltivati. Quando il pulmino si è fermato, Natalia ha capito che stava succedendo qualcosa di inusuale: ha infatti sentito il grido dei gabbiani e pensava di essere nel bel mezzo della natura. In realtà, era a Minsk, nella prigione del KGB, e i gabbiani erano quelli cittadini, attirati dalla vicina discarica. Natalia ha trascorso la notte nella stanza rotonda, quella senza spigoli e con le pareti morbide per far sì che i detenuti non si facciano del male in un disperato tentativo di evitare la prigionia. In certi casi, la morte è l’unica forma di libertà possibile. Poi, dopo una notte trascorsa lì, Natalia si è ritrovata di nuovo sul pulmino, con un sacco in testa per non vedere dove stesse andando. Alle due donne, si erano aggiunti altri prigionieri; Natalia avvertiva il loro respiro e la loro presenza. Erano i detenuti delle colonie maschili. A un certo punto, il pulmino si è fermato. L’autista è sceso e ne è salito immediatamente un altro. Il mezzo è partito a grande velocità e una voce amica ha detto ai prigionieri di togliere il sacco dalla testa. Il pullmino si trovava già in Lituania, i poliziotti bielorussi avevano lasciato il posto a un gentile addetto dell’ambasciata americana a Vilnius. Mezz’ora dopo, Natalia era già in una comoda stanza della rappresentanza diplomatica americana, ma non era affatto contenta: “Su pressione dell’Amministrazione americana, Lukashenko ha liberato un po’ di prigionieri politici. Se lo avessi saputo, sarei rimasta in Bielorussia a scontare la mia ingiusta pena”. Per Natalia, la presenza fisica di una persona, anche se in carcere, è comunque un segnale per il potere: il dissidente c’è, lo nascondono dietro le sbarre di una prigione, può essere rimosso per un periodo, in senso psicanalitico, ma poi torna, con la forza del proprio corpo, magari sofferente ed emaciato ma presente, e con l’indomabile energia delle proprie idee, le uniche che possano portare a un cambiamento nelle dinamiche sociali. Mentre parliamo, qualcuno fotografa, dall’esterno, l’interno della “Karchma”. Non certo un turista, ma uno dei molti agenti di Lukashenko che controllano l’attività dei fuoriusciti. Accade spesso. Alcuni avventori escono per chiedere all’uomo che cosa ci sia di così interessante nell’interno di un ristorante, ma il fotografo è già scomparso; si è dissolto nel nulla.

Fig. 2 – Striscione contro Putin su un palazzo di Vilnius | Foto: Christian Eccher

DA PADRE GHEORGHI

Padre Gheorghi abita al pianterreno di una casa multifamiliare alla periferia della città con la propria famiglia. All’inizio, i vicini erano diffidenti nei suoi confronti: non sapevano chi fosse, un bielorusso è sempre sospetto, avevano il timore che fosse una spia di Lukashenko. Quando poi hanno visto che i nuovi arrivati curavano il giardino e gli spazi comuni senza avere l’obbligo di farlo, ma per il semplice e sano di gusto di contribuire al benessere di tutti, han capito che si trattava di una brava persona e i rapporti sono diventati più che cordiali.
Mentre Padre Gheorghi si occupa del barbecue e i suoi bambini giocano all’aperto, parlo con Maria (il nome è di fantasia), una signora di circa 50 anni che ha passato diversi mesi in una prigione bielorussa con l’accusa di aver partecipato alle manifestazioni del 2020. Era in una cella con altre 15 persone ed è stata liberata dopo 3 mesi di prigionia, a patto di lasciare al più presto il Paese. Maria è partita subito e adesso lavora come guida turistica a Vilnius. Dopo la cena, accompagno Maria al lago che si trova non lontano dalla casa di padre Gheorghi. Maria si tuffa nell’acqua che è ancora calda, nonostante la temperatura dell’aria sia fredda. Io rimango a riva. Di fronte a me, solo il tramonto rosso fuoco: il sole è da poco calato oltre l’orizzonte, ma a queste latitudini la luce resiste per ore prima che cada la notte. Verso sud, invece, è già buio e compaiono le prime stelle. Mi volgo verso sud, verso la Bielorussia, e il ricordo spazia dalle chiese e dai palazzi di Grodno alla casa semplice del grande reporter Ryszard Kapuściński a Pinsk, nella regione paludosa della Polesia. Anche a me, come agli amici profughi bielorussi a Vilnius, le Autorità di Minsk hanno fatto capire di non essere più benvenuto nel loro Paese e non so quando e se potrò mai tornare in Bielorussia.

Christian Eccher

Vilnius” by hernanpba is licensed under CC BY

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Perchè è importante

  • I profughi bielorussi a Vilnius si incontrano nella piccola sede della Chiesa ortodossa bielorussia di Lituania.
  • Tutti i profughi hanno alle spalle storie di soprusi e carcerazioni illegali.

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Christian Eccher
Christian Eccher

Sono nato a Basilea nel 1977. Mi sono laureato in Letteratura italiana moderna e contemporanea all’UniversitĂ  degli Studi di Roma “La Sapienza”, dove ho anche conseguito il dottorato di ricerca con una tesi sulla letteratura degli italiani dell’Istria e di Fiume, dal 1945 a oggi. Sono professore di Lingua e cultura italiana all’UniversitĂ  di Novi Sad, in Serbia, e nel tempo libero mi dedico al giornalismo. Mi occupo principalmente di geopoetica e i miei reportage sono raccolti nei libri “Vento di Terra – Miniature geopoetiche” ed “EsimdĂ©”.

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