In 3 Sorsi – Negli Stati Uniti, la politica sull’immigrazione di Trump segna un giro di vite senza precedenti, in cui le deportazioni di massa ridefiniscono i confini della diplomazia e della cooperazione internazionale. Tra strategie geopolitiche e rispetto del diritto internazionale, il caso del Ghana rivela le tensioni tra pragmatismo politico e tutela dei diritti umani.
1. LA LINEA DURA DI TRUMP SULL’IMMIGRAZIONE
Dal suo secondo insediamento alla Casa Bianca, Donald Trump ha annunciato cambiamenti radicali nella politica statunitense sull’immigrazione. Con oltre 20 ordini esecutivi, la nuova Amministrazione ha avviato una revisione di vari aspetti del sistema migratorio: restrizioni sui visti e sulle richieste di asilo, rafforzamento del confine con il Messico e nuovi protocolli per la gestione e la deportazione dei migranti. La promessa di una linea dura si è concretizzata soprattutto con l’aumento delle deportazioni di massa.
Nonostante gli allarmi di esperti e organizzazioni per i diritti umani, che avvertono come le espulsioni verso Paesi diversi da quello di origine possano violare il diritto internazionale e il principio di non-refoulement, esponendo gli individui a rischio di detenzione arbitraria e maltrattamenti, il Governo Trump ha avviato numerosi rimpatri verso Stati terzi, in particolare in Africa, come Ghana, Gibuti, Sud Sudan, Uganda, eSwatini e Ruanda. Secondo Human Rights Watch, questi ultimi due Stati avrebbero accettato di ricevere deportati in cambio del sostegno finanziario di Washington. In questo contesto, il caso del Ghana appare peculiare: pur regolato da accordi bilaterali, il meccanismo di deportazione resta opaco e difficilmente riconducibile a un’intesa economica diretta.
Fig. 1 – La First Lady Melania Trump, in Ghana per promuovere “Be Best”, il suo programma per il benessere dei bambini, visita il Cape Coast Castle, un forte seicentesco utilizzato per la tratta degli schiavi, Cape Coast, 3 ottobre 2018
2. IL CASO DEL GHANA
A settembre, il Presidente ghanese John Mahama ha confermato l’arrivo di 14 cittadini dell’Africa occidentale deportati dagli Stati Uniti e la disponibilità ad accoglierne altri 40. Accra ha giustificato la propria decisione richiamando il Protocollo sulla libera circolazione della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS), che consente ai cittadini degli Stati membri di entrare in altri Paesi dell’area senza visto per un massimo di novanta giorni.
Dietro la retorica della cooperazione regionale e del panafricanismo – Mahama ha dichiarato che “tutti i nostri fratelli dell’Africa occidentale non hanno bisogno di visti per venire nel nostro Paese” – si celano però considerazioni di natura politica ed economica. Le relazioni con Washington, già tese per dazi e restrizioni sui visti, potrebbero trarre beneficio da una collaborazione in materia migratoria. Secondo alcuni analisti, infatti, vari Governi africani esitano a opporsi agli Stati Uniti per timore di ritorsioni, come l’ulteriore aumento dei dazi commerciali o regole sui visti più severe, come già accaduto con il Sud Sudan lo scorso aprile, quando Washington ha revocato i visti rilasciati ai cittadini sudsudanesi dopo il rifiuto di Juba di accettare rimpatriati.
Fig. 2 – Il Presidente del Ghana, John Mahama
3. LA DIPLOMAZIA MIGRATORIA
La scarsa trasparenza degli accordi e l’assenza di adeguate garanzie procedurali per i deportati alimentano dubbi sulla legittimità di questa politica. È probabile che, anche senza compensazioni economiche dirette, il Ghana speri che questa collaborazione possa contribuire ad attenuare la pressione dei dazi, aumentati del 15%, che penalizzano le esportazioni di cacao, alluminio e prodotti manifatturieri. Allo stesso modo, è possibile che l’Amministrazione di Trump speri, con l’attuazione della politica delle deportazioni, di mantenere le promesse fatte in campagna elettorale e rafforzare la capacità di influire sui partner africani.
Tuttavia, dietro la facciata della cooperazione bilaterale si intravede un disegno geopolitico più ampio. Come osserva Jervin Naidoo di Oxford Economics Africa, l’accordo con il Ghana, pur discreto, riflette la logica di utilizzare la diplomazia migratoria come strumento geopolitico e consolidare rapporti di potere attraverso la gestione dei flussi migratori. Pur invocando la legalità dell’accordo e il rispetto del Protocollo ECOWAS, il Ghana rischia quindi di rimanere intrappolato in questa logica di potere. Come sottolinea Human Rights Watch, tali accordi potrebbero normalizzare pratiche che violano il diritto internazionale e strumentalizzare la sofferenza dei migranti come un deterrente alla migrazione. In un contesto globale segnato da un crescente populismo e da crisi migratorie più complesse, il caso del Ghana rivela quindi come il confine tra diplomazia e opportunismo resti sempre più sottile.
Beatrice Gobbi
“Eternal Flame of African Liberation” by D-Stanley is licensed under CC BY


