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Siria: informazione e contro informazione

Alcune indiscrezioni di “NBC News” indicavano per oggi l’avvio delle operazioni militari statunitensi in Siria, ma l’intervento di Ban Ki-Moon, che chiede di attendere gli esiti dell’indagine dell’ONU, potrebbe modificare i piani. Washington, da parte sua, starebbe per rivelare i risultati della propria inchiesta, che provano la colpevolezza di Assad nell’uso di armi chimiche, mentre Damasco respinge ogni accusa e pone in allerta l’Europa.

 

«SERVE ALTRO TEMPO» – Nella giornata di ieri, il Segretario generale dell’ONU, Ban Ki-Moon, è intervenuto nel dibattito sulle armi chimiche in Siria affermando che gli ispettori del Palazzo di Vetro necessitino di quattro giorni per il completamento delle indagini sul campo e di altro tempo per l’analisi dei campioni recuperati. Oltretutto, secondo il ministro degli Esteri siriano, Walid al-Moallem, il lavoro degli esperti sarebbe stato rallentato martedì per un mancato accordo tra i ribelli che avrebbe impedito agli esperti di accedere a una delle località nelle quali sarebbero stati usati gli agenti tossici. Le parole di Ban Ki-Moon devono essere tenute in considerazione, poiché spingono gli attori coinvolti nella vicenda siriana a intraprendere specifiche misure politiche: per esempio, dopo che ieri Russia e Cina hanno posto il veto nel Consiglio di Sicurezza su una bozza di risoluzione britannica per l’intervento militare a protezione dei civili siriani (Capitolo VII dello Statuto), oggi il Parlamento di Londra potrebbe approvare una mozione che subordina la discussione in sede ONU ai risultati delle indagini in Siria. Il “Washington Post”, tuttavia, riporta che entro poche ore la Casa Bianca potrebbe rendere pubblico un dossier dei servizi segreti statunitensi, nel quale si mostrerebbe la colpevolezza dell’esercito siriano circa l’uso di agenti tossici. Pertanto, le indiscrezioni su un imminente intervento statunitense previsto per oggi o per sabato potrebbero essere smentite, mentre è certo che la Russia abbia inviato dal Mar Nero verso il Mediterraneo due unità navali addizionali.

 

LA REPLICA DI DAMASCO – Ieri, però, sono arrivate anche parole molto dure dal Governo di Damasco, in particolare dal vice-ministro agli Esteri Faisal Maqdad, il quale ha attribuito la responsabilità dei fatti del 20-21 agosto a «gruppi di terroristi» sostenuti da Francia, Regno Unito e Stati Uniti: «Presto, – ha concluso Maqdad, – queste armi chimiche saranno usate dalle stesse formazioni contro il popolo d’Europa». Inoltre, secondo l’agenzia stampa iraniana “Fars News”, fonti interne allo Stato Maggiore siriano avrebbero rivelato l’esistenza di un piano per rispondere all’azione internazionale con una rappresaglia su Israele: «Se sarà colpita Damasco, colpiremo Tel Aviv. Una guerra contro la Siria sarà intesa come una licenza per rivolgerci contro Israele e metterlo a ferro e fuoco, come faranno i gruppi estremisti che avranno una legittimazione alle proprie aspirazioni».

 

È TUTTO COSÌ SCONTATO?  – Prescindendo dalla posizione scettica della Russia, che è condizionata, al pari di quella anglo-americana, da una netta simpatia con una delle parti in conflitto, è importante evidenziare che nei giorni scorsi sono stati espressi molti dubbi circa l’impiego di armi chimiche al momento e nel luogo ripreso dal video del 21 agosto. Una sintesi efficace di queste incertezze è stata proposta da Saleh Muslim, capo del Democratic Union Party, una formazione curda il cui ruolo nella guerra civile siriana è piuttosto controverso, poiché, nonostante esso sia formalmente inserito nel fronte delle opposizioni, ha subìto frequenti critiche circa un eccessivo dialogo con Assad. Secondo Muslim, «il Governo siriano possiede armi chimiche, ma non le userebbe nei dintorni di Damasco, a cinque chilometri dal luogo nel quale una commissione dell’ONU sta già investigando sull’uso di agenti tossici. Certo, non sono così stupidi da farlo». Il riferimento è al gruppo di esperti del Palazzo di Vetro che si trovava già nella capitale per raccogliere informazioni su precedenti episodi analoghi da parte di entrambi gli schieramenti. Secondo alcuni osservatori, è inverosimile che il Governo, proprio in un momento nel quale l’esercito stava recuperando terreno, abbia deciso di impiegare sostanze proibite sulla popolazione civile a poca distanza dagli uffici dell’ONU, pur essendo consapevole che un atto del genere sarebbe stato considerato il casus belli dagli alleati internazionali dei ribelli, sui quali, invece, gravarono a maggio i sospetti (contestati da più parti) di Carla Del Ponte circa l’utilizzo di gas sarin in varie occasioni. Dalla Scandinavia, per esempio, sono giunte alcune considerazioni scettiche: John Hart, capo del Chemical and Biological Security Project, dell’International Peace Research Institute di Stoccolma ha affermato che «nei video non si notino individui con le pupille a spillo, segno di esposizione a gas nervino», mentre secondo Paula Vanninen, del Finnish Institute for Verification of the Chemical Weapons Convention, «non è convincente che ad aiutare i soggetti colpiti dagli agenti chimici siano persone senza alcuna protezione, perché questo comporterebbe anche la loro intossicazione». Quest’ultimo aspetto è stato ripreso anche su “Haaretz”, che cita alcuni esperti secondo i quali, considerata la quantità di gas necessaria per colpire centinaia di persone, non sarebbe stato possibile per i soccorritori intervenire senza indumenti e strumenti appositi in così breve tempo. Oltretutto, per uno degli intervistati dalla testata israeliana, un ex ufficiale dei reparti chimici dell’esercito statunitense, i soggetti nelle immagini non mostrerebbero i segni dell’avvelenamento: «non si notano né problemi seri alla vista, né vomito, né incontinenza». Una spiegazione alternativa a quanto potrebbe essere accaduto è fornita da altri addetti ai lavori, come Gwyn Winfield, di “CBRNe World” (rivista specialistica per professionisti del settore chimico, biologico e nucleare), il quale ritiene che nel video ci si trovi di fronte a casi di asfissia, piuttosto che di intossicazione, affermando che i soggetti coinvolti potrebbero aver subìto gli effetti di un intensivo lancio di gas lacrimogeni.

 

Beniamino Franceschini

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Beniamino Franceschini
Beniamino Franceschini

Classe 1986, vivo sulla Costa degli Etruschi, in Toscana. Laureato in Studi Internazionali all’Università di Pisa, sono docente di Geopolitica presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici di Pisa. Mi occupo come libero professionista di analisi politica (con focus sull’Africa subsahariana), formazione e consulenza aziendale. Sono vicepresidente del Caffè Geopolitico e coordinatore del desk Africa.

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