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Libano: il Paese che sembra non trovare pace

In 3 sorsi- Al centro di Beirut una grande esplosione. Spaventosa e smisurata, la cui onda d’urto investe violentemente una città già piegata da una profonda crisi economica e da una pandemia che ha rappresentato già un colpo di grazia per il paese, in particolare il sistema sanitario.

1. NESSUNA TREGUA PER IL LIBANO MARTORIATO

Robert Fisk ha definito il Libano una Nazione Martire all’indomani di una guerra civile che tra il 1975 e il 1990 ha distrutto il Paese. Ad oggi sembra che il Paese dei Cedri non abbia tregua e continui il suo martirio. Stremato da una crisi finanziaria che ha portato il governo a dischiarare il default a marzo, la chiusura dovuta al lockdown ha esacerbato le condizioni già difficili del paese. Le proteste si sono riaccese prima della riapertura, soprattutto a Tripoli, questa volta al grido “Meglio morire di coronavirus che di fame.” La lira libanese è svalutata – il cambio è passato da a 1$ a 1.500 LBP a 8.000 LBP, raggiungendo anche i 10.000 LBP – e l’inflazione è alle stelle. Il divario sociale aumenta e la classe media scompare accorpandosi ai ceti sociali più vulnerabili, ormai in drammatico aumento. Si stima che il 75% della popolazione non può più accedere ai beni di prima necessità o pagare le utenze e che una larga fascia sia colpita da una grave crisi alimentare.

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Fig.1- Una vista del porto di Beirut il 5 agosto 2020 subito dopo l’esplosione avvenuta il giorno precedente nella capitale libanese.

2. BEIRUT CONDANNATA ALL’IRREQUIETEZZA: L’ESPLOSIONE CHE PIEGA LA CAPITALE

Eppure, sembra non sia abbastanza per il Paese. Ieri alle 18.08 circa ora di Beirut una forte esplosione nell’area portuale – centrale in un paese che vive prevalentemente di importazioni – ha scosso la capitale. Al primo scoppio seguono i suoni di un secondo boato. Infine, un’onda d’urto che si propaga per la città. L’ufficio del Daily Star e l’edificio che ospita il giornale Annahar e le zone limitrofe – tra cui Downtown, centro delle proteste cha hanno avuto luogo da ottobre 2019 – sono distrutte. Anche l’aeroporto di Beirut a circa 10 Km dall’esplosione è stato danneggiato. Il governatore di Beirut afferma che metà del distretto amministrativo della capitale è stato distrutto. Inizialmente gli ufficiali hanno chiesto ai civili di evacuare la zona in cui si è diffuso uno strano odore imputabile a pericolose sostanze chimiche. Il Ministero della Salute conferma la presenza nell’aria di materiali tossici a lungo termine pericolosi per le persone.

Gli ospedali del quartiere di Ashrafieh, colpiti dall’onda d’urto, hanno evacuato i pazienti. Le immagini scioccanti fanno il giro del mondo e in poco tempo e la Croce Rossa accorre sul luogo. Tra le vittime anche il segretario generale del partito Kataeb, deceduto in seguito alle molteplici ferite. L’ospedale di Geitawi, visto il flusso consistente di feriti, ha cominciato a prendersi cura dei pazienti nel parcheggio vista la mancanza di spazi interni. Il caos sanitario ha colpito anche il St. George Hospital che, senza elettricità e con una sala operatoria distrutta, ha utilizzato per il trattamento dei feriti al parcheggio auto, già adibito per i test per la Covid19. Vari ospedali di Beirut sono stati messi a dura prova e hanno dichiarato di non poter più accettare pazienti.

Il Segretario Generale della Croce Rossa ha dichiarato che il sistema sanitario libanese, già piegato dal coronavirus, si trova in una posizione molto difficile, poiché incapace di farsi carico di ulteriori feriti. La Croce Rossa parla di più di 100 morti e di più di 4.000 feriti.

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Fig.2- Il porto di Beirut dopo l’esplosione avvenuta intorno alle 18.00 del 4 agosto 2020.

3. BEIRUT, LA CITTÀ CHE RINASCE SEMPRE DALLE SUE CENERI

Le circostanze sono ancora tutte da chiarire. Il Ministro dell’Interno libanese ha dichiarato che l’esplosione è stata causata dall’infiammazione di tonnellate di nitrato di ammonio, stipato nel porto di Beirut in quanto confiscato nel 2014. Hezbollah e Israele confermano di non aver niente a che fare con l’incidente. Il Primo Ministro Hassan Diab dichiara di voler trovare i colpevoli a tutti costi, sottolineando la responsabilità di lasciare circa 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio per sei anni in un magazzino senza considerare misure preventive o altre soluzioni. Il Primo Ministro, considerata l’entità dell’incidente e definendo la città come “investita da una profonda catastrofe”, promette che i responsabili pagheranno con sanzioni. È stato dichiarato lo stato di emergenza per due settimane nella capitale libanese tenendo conto dei danni e della portata dell’esplosione.

Le proposte di supporto non sono tardate ad arrivare. Il Consiglio d’Europa si è dato disponibile a supportare e assistere nella gestione della crisi; il Qatar è pronto a mandare ospedali da campo per aiutare la municipalità di Beirut a fronteggiare la crisi; e anche la Francia e gli Stati Uniti tra altri hanno manifestato la volontà di supportare il Libano.

La tragedia, le cui dinamiche restano ancora nebulose, ha messo in ginocchio ancor più il Paese, già prostrato da una situazione molto complessa. Manca poco al primo anniversario dello scoppio della Rivoluzione di ottobre del 2019. L’animo dei libanesi è ulteriormente sfiancato da questa incredibile catastrofe che è costata la vita a molte persone. La Nazione Martire riuscirà a superare la tragedia che ieri ha investito Beirut e a proseguire le proteste che mirano al superamento delle contraddizioni interne al sistema libanese?

Antea Enna

Immagine di copertina: Photo by Kaufdex is licensed under CC BY-NC-SA

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Perchè è importante

  • L’esplosione del 4 agosto 2020 nell’area portuale di Beirut è avvenuta in un momento di profonda crisi economica e sociale che il Libano sta attraversando.
  • L’esplosione ha provocato più di 100 morti e circa 4.000 feriti, danneggiando le aree circostanti a quella del porto.
  • Il Ministro dell’Interno libanese ha dichiarato che l’esplosione è stata causata da tonnellate di nitrato di ammonio ma le circostanze sono ancora da chiarire.

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Antea Enna
Antea Enna

Nata nel centro del Mediterraneo era quasi inevitabile la propensione verso il nord Africa e Medio Oriente. Se a questo si aggiunge una passione nata grazie alla danza orientale e lo studio dell’arabo, iniziato precocemente già al liceo, gli ingredienti per una vera e propria dipendenza da mondo arabo ci sono tutti. Dopo l’università prima a Gorizia e poi a Milano, ho lavorato in organizzazioni non governative per diverso tempo. Sono tornata nella metropoli lombarda per un dottorato che mi ha portata in Libano, dove ormai vivo da due anni. Nella terra dei Cedri ho svolto volontariato con i rifugiati siriani e ricerche su vari temi prevalentemente legati ai micro e macro conflitti e alla situazione socioeconomica mediorientale.

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