La leggenda vuole che Eris, la Dea greca della vendetta, migliaia di anni fa lasciò cadere una mela al centro di un banchetto degli dei, seminando discordia e scatenando le conseguenza che tutti, anche grazie a Omero, conosciamo. Benchè ovviamente a Bali non si riuniranno dei, ma molto più mortali diplomatici e ministri, gli argomenti non saranno comunque meno rilevanti e le mele rischiano, putroppo, di essere più di una.
1. I PUNTI PRINCIPALI – L’ereditĂ che Bali si porta sulle spalle è un fardello non da poco: questo summit è infatti chiamato a mettere finalmente la parola fine, o almeno, risolvere, alcune delle questioni principali del Doha Round. Per cercare di riassumere 10 anni di negoziati lenti e non troppo fruttiferi, l’agenda di Bali è stata snellita per l’occasione ed esemplificata in una manciata di punti fondamentali. Il primo è incentrato, ovviamente, sulle riduzioni tariffarie e le politiche ad esse legate; il secondo verte sull’agricoltura ed i sussidi, abbastanza ridimensionato, viste le feroci opposizioni di molti paesi; l’ultimo sulle cosiddette “questioni sullo sviluppo“, care, appunto, ai paesi meno sviluppati. Molte altre questioni, invece, come la trasparenza delle politiche commerciali dei governi e delle politiche comuni sulla concorrenza sono state perse per strada.
2. ERA, ATENA E AFRODITE – Rientrando nella metafora di prima, le tre principali dee ad accapigliarsi per la mela furono le 3 piĂą importanti, Era, Atene ed Afrodite, appunto. Oggi, per sommi capi, sempre in tre si possono dividere i macrosegmenti di interesse che rendono alcuni dei punti, soprattutto i primi due, veramente complicati. Sostanzialmente gli interessi in gioco sono quelli dei Paesi sviluppati, UE e USA in testa, che cercano di contenere, difendendo le proprie posizioni, la spinta del secondo segmento, ovvero quelli in via di sviluppo, che, durante il decennio del Doha hanno conquistato sempre piĂą spazio e lottano per un posto al sole, soprattutto Cina, India e Brasile. Fanalino di coda, concentrato soprattutto sul terzo punto dell’agenda di Bali, sono gli LDC, ovvero i Least Developed Countries. Naturalmente, con uno scenario variegato e fluido come quello del WTO, è praticamente impossibile praticare una cesura cosi netta tra gruppi di interesse, ma le questioni maggiori, dall’agricoltura ai dazi doganali, vedranno sostanzialmente questi 3 blocchi scontrarsi.
3. I POSSIBILI RISULTATI – BenchĂ© dalla parole di Roberto Azevedo, il nuovo segretario generale del WTO, trapeli un cauto ottimismo, tutti i Paesi coinvolti sanno che quello che c’è in palio a Bali è fondamentalmente l’architettura economica mondiale, e ciò per due ragioni: il primo è l’effettiva portata pratica ed economica delle decisioni che ne scaturiranno; il secondo invece è la maniera in cui, d’ora in poi, si regoleranno le questioni economiche tra Stati, ed il conseguente scenario da essa derivato. In caso il vertice di Bali dovesse partorire qualche risultato concreto, allora le formule di negoziazione globale rimarranno valide e praticabili, mentre nel caso che queste dovessero fallire, si incoraggerebbe la frammentazione degli accordi commerciali tra paesi, in trattative bilaterali e regionali, come risposta all’impasse di un progetto forse troppo ambizioso per essere efficace. Siccome in questi casi anche non prendere una decisione, è prendere una decisione, le ricadute non solo economiche, ma anche politiche di questo scenario sarebbero evidenti: alcuni Paesi emergenti, che non si sentono ancora sicuri del proprio ruolo internazionale, preferiscono infatti trattare di persona con i propri vicini, preferendo le trattative bilaterali per far valere di piĂą il proprio peso ed allargarsi con piĂą agio.
I Paesi di giĂ consolidato peso internazionale, invece, preferiranno farlo valere e togliere a questi il vantaggio strategico dello scontro bilaterale.
Marco Lucchin