Il Giro del Mondo in 30 Caffè – Andiamo ad analizzare l’anno che è stato e l’anno che verrà di un attore che aspira ad essere uno dei maggiori protagonisti dei nuovi equilibri geopolitici internazionali: la Turchia. Sempre più coinvolta nelle faccende mediorientali e sempre più attenta a cosa accade ad Est, Ankara non sembra però aver perso di mira l’obiettivo più importante della sua politica estera: l’adesione all’UE. Pesa in tutto ciò il rapporto ancora difficile, se non ostile, con la Repubblica di Cipro.
LA TURCHIA EUROPEA – E’ già difficile di per sé decidere in che area geografica inserire un Paese come la Turchia, figuriamoci parlarne e cercare di inquadrare con le solite categorie la propria politica estera. Il 2010 è stato per Ankara, così come lo sarà il 2011, un anno colmo di avvenimenti e sfide per Ankara e per le scelte da compiere al di fuori dei propri confini. Prima di tutto c’è da sottolineare che, se il Presidente Abdullah Gul ha vinto il Premio di Chatham House per il 2010 e se il Primo Ministro Recep Tayyip Erdogan ha sfiorato, così pare, la copertina del Times come uomo dell’anno, un motivo dovrà pure esserci. Si tratta di un riconoscimento internazionale, in ogni caso, alla straordinaria (nel senso più neutrale del termine) prestazione della Turchia, sia in campo interno, che regionale e internazionale. Il Caffè ha deciso di mettere la Turchia virtualmente in Europa, per vari ordini di motivi: uno è un auspicio che la controversia che da anni ormai vede coinvolte l’Unione Europea e la Turchia possa finire, non per spirito filo-turco, ma piuttosto filo-europeista: prendere una posizione comune e definitiva su una delle questioni più scottanti dell’agenda europea potrebbe essere un primo passo verso un’UE più incisiva anche sul piano internazionale, qualunque sia la decisione finale. In secondo luogo, come si avrà modo di approfondire anche in seguito, la Turchia è legata ad alcuni fatti e attori europei che, nel bene o nel male, ne condizionano le politiche: il caso di Cipro è emblematico. Infine, gli stessi policy makers turchi, da Erdogan al Ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu, insistono sul fatto che l’ingresso nell’UE rimane la priorità strategica della politica estera di Ankara.
LA POLITICA MEDIORIENTALE – In effetti tante polemiche sono sorte in questo 2010 passato, e ne sorgeranno indubbiamente nell’anno entrato, circa la posizione della Turchia nel contesto internazionale, soprattutto in merito alla sua politica in Medio Oriente. Il Paese ha da poco concluso un accordo con Siria, Libano e Giordania, che istituisce di fatto una zona di libero scambio tra tali Stati, all’interno della quale saranno garantite libertà di movimento e circolazione di beni e persone. I rapporti con la Siria, fino a pochissimi anni fa del tutti invisa all’Occidente e agli Stati Uniti, ancora formalmente in stato di guerra con Israele e da poco rientrata in punta di piedi nei ranghi della comunità internazionale (anche se accolta ancora con molto sospetto), vanno a gonfie vele e Erdogan stesso ha più volte parlato di una vera e propria integrazione tra Ankara e Damasco. Allo stesso tempo, la Turchia non fa mistero delle sue relazioni con l’Iran, in nome delle quali Ankara si è anche proposta come mediatrice nella controversia che mette contro Teheran e l’Occidente in merito alle ambizioni nucleari di Ahmadi-Nejad. E di contro, il 2010 è stato l’anno della rottura (almeno momentanea, si intende) con Israele, dopo mesi di tensione diplomatica; rottura avvenuta in seguito all’attacco israeliano alla Mavi Marmara, la nave di attivisti turchi diretta verso Gaza con l’obiettivo di rompere il blocco imposto da Tel Aviv, e all’uccisione da parte delle Forze armate israeliane di 9 cittadini turchi. Di fronte a tutto ciò, continuano a susseguirsi le profezie di una Turchia sempre più islamica e meno occidentale e di un Erdogan amico degli islamisti e in qualche modo doppiogiochista con l’Occidente.
IL REALISMO DI ANKARA – In realtà, i rapporti con gli attori mediorientali sembrano essere improntati al più classico realismo: si tratta di Paesi confinanti, con cui la Turchia non può non intrattenere rapporti, in un mondo ormai relativamente aperto e non più costretto alle ferree e stabili logiche bipolari della seconda metà del secolo scorso. Ankara ha in Teheran, per esempio, un alleato economico e commerciale. L’Iran fornisce alla Turchia grandi quantità di idrocarburi e rappresenta, d’altro canto, un mercato di naturale espansione per l’industria turca. Lo stesso vale per i Paesi citati sopra con cui Ankara ha concordato l’istituzione della zona di libero commercio. Si tratta, dunque, di una politica estera improntata ad un classico pragmatismo, più che dettata da legami di tipo ideologico con i Paesi musulmani o, addirittura, ostili all’Occidente. In tal modo, inoltre, la Turchia tenterebbe di portare lo stesso mondo occidentale, UE e Stati Uniti, più vicini al Medio Oriente, come testimonia il tentativo, compiuto insieme ad un’altra potenza regionale emergente, il Brasile, di raggiungere un accordo per il nucleare iraniano, per il momento arenatosi. Ma sembra esserci un altro fattore che, insieme al realismo appena accennato, sembra spingere Ankara verso Est (anche la Russia rappresenta un interlocutore importante per la Turchia attuale): la politica quantomeno ambigua di Bruxelles.
L’UE CHE GUARDA E LA QUESTIONE DI CIPRO – Di fronte ai tentennamenti europei circa il possibile ingresso turco nell’UE, Ankara percepisce la minaccia di rimanere isolata nel medio-lungo periodo, qualora il processo di adesione all’organizzazione dovesse fallire del tutto. In un simile scenario, risulta più comprensibile la scelta dei politica estera della Turchia di non rivolgersi solo ed esclusivamente al mondo occidentale (come fatto sostanzialmente fino all’inizio degli anni Novanta), ma di allargare il raggio della propria politica estera. In ambito europeo rimane una sostanziale situazione di stallo in quella che, più di altre, sembra essere la questione che condiziona le relazioni tra Ankara e Bruxelles: lo status di Cipro. La Repubblica di Cipro, membro dell’Unione Europea dal 2004, è in realtà un territorio ancora diviso in due. L’isola infatti è costituita per due terzi dalla parte greco-cipriota e internazionalmente riconosciuta come Stato di Cipro, mentre il rimanente terzo, nella parte settentrionale dell’isola, è sotto la sovranità della comunità turco-cipriota e gode del riconoscimento della sola Turchia. Questa condizione pone un ostacolo, allo stesso tempo, allo sviluppo del processo di integrazione di Ankara dell’Unione Europea, ma anche alla crescita e allo sviluppo economico e commerciale di Cipro. La Turchia non riconosce la Repubblica di Cipro come Stato sovrano e il fatto che quest’ultima sia entrata, seppur tra le polemiche per l’annessione solo di una porzione del territorio dell’isola e non di tutta l’area isolana, a far parte dell’UE, crea di fatto una situazione di stallo nei negoziati. Come possono coesistere all’interno della stessa organizzazione due Paesi che non intrattengono tra di loro rapporti diplomatici bilaterali?
UN FRENO ALLO SVILUPPO E ALLA COOPERAZIONE – Per ciò che concerne lo sviluppo di Cipro, sia Repubblica greco-cipriota, che Repubblica Turca di Cipro Nord (RTCN), invece, basti pensare al fatto che la Turchia non permette alle navi e agli aerei ciprioti di arrivare sul proprio suolo, così come, di fatto, l’UE ha imposto un blocco commerciale a tutte le navi della RTCN, non riconoscendone la sovranità. E’ evidente come questa situazione pesi sugli scambi commerciali e sulla crescita economica dell’intera isola, che ha un grande potenziale soprattutto nel settore del turismo e degli investimenti esteri ad esso connessi. Vi è infine da ricordare come la crisi diplomatica (e non solo) che interessa Ankara e Nicosia, non si esaurisca nell’impasse del processo di adesione turco all’UE, o nel freno allo sviluppo dell’isola di Cipro nel suo complesso. Per citare solo uno dei campi in cui l’ostracismo vicendevole tra Turchia e Cipro rischia di diventare un vero e proprio ostacolo alle politiche di cooperazione, si pensi che a farne le spese è anche la stessa cooperazione tra la NATO e l’Unione Europea. In virtù dei cosiddetti accordi di Berlin plus, infatti, Bruxelles e la NATO collaborano in molti settori che riguardano la sicurezza comune e hanno messo in piedi un meccanismo di cooperazione istituzionale che prevede anche incontri congiunti ad alti livelli di rappresentanza. La Turchia, che fa parte della NATO ma non dell’UE, ha più volte ostacolato tali riuinioni in cui prenderebbe parte anche Cipro, a sua volta membro UE ma non della NATO. Ufficialmente, il cavillo cui Ankara fa appello nel suo ostracismo verso Cipro, è rappresentato dal fatto che, come stabilito negli accordi del Berlin plus, chi fa parte di tale meccanismo di cooperazione dovrebbe allo stesso tempo essere anche membro del programma Partnership for Peace (PfP), che include la NATO e i Paesi europei e dell’ex Unione Sovietica non facenti parte dell’organizzazione atlantica. E Cipro, così come Malta, non fa parte del PfP. Risulta comunque abbastanza evidente, come la scelta di Ankara, seppur legalmente non discutibile, sia funzionale a ostacolare Cipro stessa, così come a porre all’attenzione quanto la questione cipriota possa essere importante anche per altri ambiti regionali ed internazionali. La questione di Cipro, ancora una volta, resta così il nodo principale da sciogliere per una politica europea della Turchia più collaborativa ed è su tale questione che dovrà concentrarsi in buona parte la diplomazia di Ankara.
Stefano Torelli