Dal Cairo – Focus Egitto – Pubblichiamo, in più puntate, una preziosa e toccante testimonianza sulla crisi che sta scuotendo l’Egitto, dove il regime del Presidente Hosni Mubarak, al potere da ormai trent’anni, sembra avere i giorni contati. Questa lettera, scritta da una giovane egiziana, è una coinvolgente cronaca delle sommosse arricchita da interessanti considerazioni di carattere politico, e giunge direttamente dall’Egitto, più precisamente dal Cairo, l’epicentro della rivolta. Ecco il racconto dei primi giorni della rivolta
COS’E’ SUCCESSO IN EGITTO? – Il Cairo, 2 febbraio 2011 – Ho deciso di scrivere un reportage su ciò che è successo in Egitto nei giorni scorsi. Questo pezzo sarà un ibrido tra la cronaca e un’analisi personale. Per le mie osservazioni ho attinto da riflessioni provenienti da amici, familiari ed intellettuali. Farò del mio meglio per non risultare troppo emotiva, ma non posso promettere un’assoluta oggettività. E' l'unico contributo che posso portare al mio paese, l'Egitto; le parole sono l'unico strumento a mia disposizione per far conoscere al mondo la verità sulla crisi egiziana. Dunque la grande domanda è: che cos'è successo?
Dopo la Rivoluzione del Gelsomino che ha causato la fuga di Zine El-Abidine Ben Ali dalla Tunisia, si sono verificati, a mio modo di vedere, due eventi significativi: innanzitutto ho notato che la reazione dei miei amici su Facebook era molto intensa, sentita, e del tutto favorevole ai dimostranti; secondo, si sono ripetuti cinque tentativi di auto-immolazione al Cairo (di fronte al parlamento egiziano) e ad Alessandria come forma di protesta contro l’aumento dei prezzi e l’insufficienza dei salari.
Nei giorni tra il 20 ed il 24 gennaio 2011 la maggior parte dei miei amici ha cambiato le foto del profilo di Facebook, inserendo la bandiera della Tunisia, segnale allarmante; ciò che è ancora più significativo, ho ricevuto l'invito ad un evento, cioè alle dimostrazioni del 25 gennaio, festa nazionale delle forze di polizia. I creatori dell'evento volevano inviare un segnale di sfida al regime, avvertendolo del fatto che le violenze e le torture di cui era stato recentemente responsabile non li spaventavano; l’oppressione sarebbe stata contrastata, oltre che denunciata globalmente.
Ho esitato a lungo sull'opportunità di accettare o meno l'invito, soprattutto perché avevo sentito che le forze di polizia egiziane usano falsi profili su Facebook per cercare di individuare coloro che sono coinvolti in attività politiche ostili al regime. In ogni caso conoscevo un certo numero di coloro che avevano accettato l'invito e molti di questi sono miei amici personali dai tempi del liceo, e lo stesso organizzatore dell'evento era un mio vecchio compagno di classe. Questo mi ha rassicurato sulla credibilità dell'evento, dal momento che partiva da studenti di scienze politiche: non si trattava di qualcosa di avventato.
LA CRISI – PRIMO GIORNO – Martedì 25 gennaio, il Giorno della rabbia. Fino alla sera di martedì 25 gennaio tutto scorreva normalmente. Ma proprio la sera sono venuta a sapere con sorpresa che le proteste erano state di dimensioni del tutto inaspettate.
SECONDO GIORNO – Il giorno seguente, mercoledì 26, sono andata a lavorare normalmente e quando ho chiesto informazioni al personale preposto alla sicurezza del mio posto di lavoro mi è stato detto che i dimostranti erano andati a dormire solo alle 3 di mattina. Nel percorso verso il lavoro non ho visto alcuna traccia della manifestazione, e non a caso i miei amici commentavano il fatto che piazza El Tahrir era diversa da come si sarebbe presentata normalmente in seguito alle dimostrazioni che si tengono in un contesto più ordinario. Dicevano che le forze di sicurezza avevano ordinato ai manifestanti di disperdersi ed avevano provveduto a pulire tutto, ma non avevano avuto abbastanza tempo per ripulire i muri dai graffiti (“Abbasso Mubarak” andava per la maggiore). Verso le 15.50 ho notato una certa agitazione e sono rimasta sorpresa nel vedere il presidente del centro dove lavoro prendere la sua valigetta ed andare a casa, dicendoci di fare lo stesso altrimenti il personale addetto alla sicurezza del nostro stabile e del Ministero dell'Interno avrebbe chiuso l’edificio lasciandoci dentro. Così anch'io ho raccolto la mia roba e sono andata al piano di sotto; qui ho trovato gli autobus pronti a caricarci tutti per portarci il più possibile vicino a casa, visto che i dimostranti sarebbero tornati e sarebbero rimasti tutta la notte. Uscendo dal nostro stabile, che è collocato esattamente di fronte al Parlamento egiziano e di fianco al palazzo del Governo (con solo un grande giardino a separarli), ho visto i poliziotti e le forze di sicurezza speciale del Ministero dell’Interno, alcuni di loro erano in abiti civili, altri tenevano in mano dei manganelli, circondavano l'area, e la strada era stata deviata in un'altra direzione in modo che non portasse a piazza El Tahrir. Così sono rientrata a casa, e per la strada ho chiamato tutti quelli che conosco per controllare come stavano, per dir loro di evitare il centro, e di andare a casa direttamente perché ci sarebbe stato un altro giorno di sommosse; comunque, fino a quel punto l'atmosfera generale non dava quei segni di pericolo che avremmo visto nei giorni successivi.
Le dimostrazioni violente non sono un fatto inusuale per chi vive al Cairo, ma quest’ultima, per durata e dimensioni, rappresenta qualcosa di nuovo, e credo sia innegabile il legame con le rivolte tunisine. Ero nuovamente allarmata; sapevo che i manifestanti miravano a restare tutta la notte in piazza a reclamare, e che il slogan della protesta era “La gente vuole che il regime cada”. Nessuno si sarebbe mai sognato di sentire parole tanto insolenti uscire dalla bocca del popolo egiziano, perché, molto semplicemente, non abbiamo mai avuto un presidente che abbia lasciato il potere se non da morto.
A quel punto mi sentivo totalmente felice per quello che stava accadendo, pensando che fosse una vera rivoluzione giovanile, un movimento genuino per il cambiamento.
La tv nazionale, come sempre, stava trasmettendo le notizie in una versione favorevole al governo, cioè minimizzando la reale portata dell’evento.
TERZO GIORNO – Giovedì 27 mia madre ha insistito perché non andassi al lavoro, data l’ubicazione del mio ufficio e considerato che sul mio tesserino fa bella mostra di sé la scritta in grassetto “Governo egiziano”, che evoca il prestigio del potere centrale e rappresenta una forma di intimidazione! La mia famiglia sarebbe stata in pensiero per me se fossi andata al lavoro o se avessi preso l’autobus diretta verso il centro.
Verso mezzogiorno ho chiamato un altro amico per sapere come stava, e mi ha detto che le cose erano molto tranquille quel giorno e i dimostranti sarebbero andati a casa a riposare e sarebbero tornati a protestare il giorno seguente. Inoltre mi ha avvertito che questo venerdì sarebbe stato il grande giorno, ed effettivamente è stato l’apice della crisi.
Ero determinata a raggiungere i manifestanti il venerdì e non perdermi la chance di testimoniare questo grande momento della storia contemporanea egiziana, e ho chiamato la mia migliore amica per chiederle di venire con me. I media internazionali stavano incoraggiando il presidente egiziano e il suo regime a non usare la forza contro i manifestanti, dopo aver mostrato gli scontri tra le forze di polizia e i dimostranti e aver comunicato il crescente numero di feriti.
In ogni caso, gli organizzatori delle proteste avevano già annunciato che per quanto li riguardava le manifestazioni di venerdì sarebbero state pacifiche. Quella sera una piccola marcia è passata vicino a casa mia, saranno state non più di 50-100 persone, la mia famiglia è rimasta colpita positivamente da quell’episodio, dal momento che vivo in un’area residenziale e commerciale al Cairo est, a un’ora dal centro.
(1. continua)
S.A. Traduzione e redazione a cura di Mattia Corbetta [email protected]