Caffè Lungo – La prosecuzione degli scontri tra esercito e paramilitari delle RSF aggrava la crisi migratoria e mette in seria difficoltà i Paesi vicini, alle prese con l’accoglienza degli sfollati. Questa dinamica non sembra però essere collegata all’incremento dei flussi migratori che sta affrontando l’Italia.
1. LA GUERRA CONTINUA E GLI SFOLLATI AUMENTANO
In Sudan gli scontri militari tra l’esercito regolare e le RSF (Rapid Support Forces) hanno portato il numero degli sfollati interni a superare i 7 milioni di persone, dei quali 4 milioni direttamente a causa della guerra scoppiata lo scorso aprile. A questi si aggiungono i richiedenti asilo che hanno cercato rifugio nei Paesi limitrofi come Egitto, Ciad, Repubblica Centrafricana, Sud Sudan ed Etiopia, che in totale ammontano a circa 1 milione. Tali numeri, se confrontati alla popolazione totale del Sudan, che ammonta a circa 45 milioni di abitanti, permettono di capire chiaramente come nel Paese sia in corso un disastro umanitario di enormi proporzioni, con circa il 15% della popolazione sfollata. Per rendere ancora più chiare le dimensioni della crisi può essere utile un confronto con la crisi dei rifugiati che l’Ucraina ha affrontato nel 2022. Anche in questo caso la popolazione nazionale ammontava, nel periodo pre-guerra, a circa 43 milioni di abitanti: in seguito allo scoppio delle ostilità si vennero a creare circa tra 7 e 10 milioni di sfollati, sia interni che nei diretti all’estero. Dunque fenomeni quantitativamente simili, ma con differente copertura mediatica.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Fumo nero nei cieli della capitale Khartoum a seguito di un incendio scoppiato per i combattimenti
2. IL CIAD ACCOGLIE LA MAGGIOR PARTE DEI PROFUGHI MA I CAMPI SONO AL COLLASSO
I Paesi confinanti che hanno sul proprio territorio il numero maggiore di rifugiati sudanesi sono l’Egitto e il Ciad, con rispettivamente 310mila e 420mila persone, mentre negli altri Stati vicini le richieste di asilo si aggirano mediamente tra le 20mila e le 50mila.
Il fatto che in Ciad si sia diretta la maggior parte degli sfollati è dovuto a diversi fattori. Il primo è la localizzazione degli scontri in Sudan, che sono avvenuti in particolare, oltre che nella capitale Khartoum, nelle province occidentali del Paese, dalle quali le persone si sono allontanate dirette verso il confine più vicino, quello con il Ciad appunto. Il secondo motivo riguarda una affinità socio-culturale che parte della popolazione delle provincie occidentali sudanesi ha con ampia parte della popolazione ciadiana, cioè la comune appartenenza al gruppo socio-linguistico arabo-ciadiano. Il capo delle RSF Degalo Hemetti proviene da questo gruppo etnico e le RSF da lui comandate ricevono aiuti militari che giungono proprio dal Ciad. I paramilitari hanno inoltre nelle regioni sudanesi confinanti con il Ciad le proprie roccaforti. La massa di persone arrivata in Ciad, concentrata quasi esclusivamente nelle regioni orientali alla frontiera con il Sudan, ha messo immediatamente in ginocchio il precario sistema di accoglienza approntato da ONG come Medici senza Frontiere e dalla stessa UNHCR. Tale situazione di rinnovata crisi va inoltre a inserirsi in un contesto, quello ciadiano, tutt’altro che privo di problematiche strutturali per quanto riguarda la violenza diffusa da parte di gruppi armati e il rispetto dei diritti umani.
Fig. 2 – Donne fuggite dagli scontri e rifugiatesi nel campo profughi di Ourang, nel Ciad orientale
3. IN EGITTO UNA MIGLIORE GESTIONE DELL’EMERGENZA
Il grande numero di profughi diretti in Egitto è entrato nel Paese seguendo il corso del fiume Nilo dal confine sud, attraverso i porti fluviali di Argeen e Qustul. Seppure neanche l’Egitto sia un contesto privo di difficoltà, il Paese presenta comunque, in confronto al Ciad, una migliore gestione del flusso di profughi, con una maggiore efficienza per quanto riguardo al loro sostentamento e alla loro ricollocazione abitativa in contesti differenti dal campo di prima accoglienza (che spesso in altri Paesi diventano permanenti). L’Egitto è inoltre più organizzato per quanto riguarda il ricollocamento dei profughi in Stati esteri, grazie a una rete di collaborazione diplomatica più fitta in questo settore. Una importante differenza rispetto al Ciad consiste proprio nella ricollocazione dei rifugiati, che in Egitto, come emerge dai dati dell’ONU, non sono tutti concentrati nella zona vicino al confine con il Sudan, ma vengono invece, almeno in parte, ricollocati nelle principali città, come il Cairo o Giza, che negli ultimi sei mesi hanno registrato in totale circa 50mila nuove presenze di sfollati.
Embed from Getty ImagesFig. 3 – Civili sudanesi in fuga dagli scontri tentano di entrare in Egitto attraverso il porto di Argeen sul Nilo
4. ALTRE ROTTE E IL (NON) COLLEGAMENTO CON L’EMERGENZA MIGRATORIA ITALIANA
Dai dati ONU emerge dunque chiaramente come i principali Paesi di arrivo siano Ciad ed Egitto, principalmente per ragioni di vicinanza geografica. Ciononostante è stata riscontrata anche una presenza di persone in fuga che si sono dirette a Port Sudan, con l’intenzione di raggiungere la penisola araba, già meta di importanti flussi provenienti dal Corno d’Africa, in cerca sia di una maggiore sicurezza, sia di opportunità lavorative. Le Monarchie del Golfo Persico hanno infatti un costante bisogno di manodopera a basso costo, impiegata per la maggior parte nel settore edilizio, che negli ultimi anni sta affrontando una incredibile espansione causata dalle sovvenzioni statali per la realizzazione di megaprogetti come la cosiddetta “Città specchio” in Arabia Saudita. Infine, nel breve periodo il numero di profughi è destinato ad aumentare ancora a causa della prosecuzione dei combattimenti esplosi con rinnovata violenza in particolare nella capitale e nelle provincia occidentali del Sudan. È pertanto inevitabile la necessità di un deciso intervento della comunità internazionale per portare (nuovamente dopo i primi infruttuosi tentativi) i due contendenti al tavolo delle trattative. La crisi sudanese non sembra, per ora, avere influito sul numero di migranti (circa 135mila) giunti in Italia nel 2023. Dai dati del Ministero degli Interni emerge infatti come la nazionalità sudanese non venga dichiarata nemmeno dal 3% del totale degli arrivati, mentre le percentuali maggiori affermano di provenire da Tunisia, Egitto e Paesi aesi dell’Africa Occidentale come Guinea e Costa d’Avorio.
Daniele Atzori
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