Il giro del mondo in 30 caffè – Mentre il progetto di Unione Europea vive uno dei momenti più difficili, scontando le difficoltà derivanti dalla crisi economica e un’empasse del cammino di integrazione delle istituzioni, c’è ancora una parte del vecchio continente in cui il percorso d’avvicinamento a Bruxelles rappresenta la via maestra. I Balcani occidentali sono ancora oggi in bilico tra un passato recente drammatico, le cui conseguenze si fanno ancora sentire, e un futuro, ancora incerto, determinato dall’ingresso nella comunità che riunisce gli Stati europei. In maniera ovviamente sintetica, cerchiamo di tracciare lo stato di salute della regione
I BALCANI CHIAMANO L'UE – La politica, interna ed estera, degli stati dell’area balcanica è influenzata in maniera determinante dalle posizioni relative in quello che è chiamato il processo di allargamento dell’Unione. Praticamente tutti i governi dell’area guardano a Bruxelles nella speranza che il Parlamento Europeo giudichi favorevolmente le iniziative intraprese per favorire la stabilità economica e delle istituzioni, lotta alla criminalità e alla corruzione e tutela dei diritti umani. Da diversi anni gli organi comunitari hanno richiesto ai governi locali importanti passi avanti in queste materie, come condizione per l’avviamento ufficiale dei processi di adesione alla comunità. Gli esecutivi nazionali hanno quindi intrapreso importanti processi di riforma il cui cammino è spesso ostacolato da dinamiche che rimandano alla recente e drammatica storia della regione.
SERBIA: TRA MOSCA E BRUXELLES – Belgrado, ad esempio, sotto la guida del premier Boris Tadic ha imboccato convintamente la strada che porta a Bruxelles, ma la via è ancora oggi incerta e piena di ostacoli. Uno degli ostacoli più difficili da superare, riguarda la questione dei criminali di guerra da consegnare al tribunale internazionale dell’Aja. Grandi passi in avanti in questo senso sono stati fatti con la consegna alla Corte Internazionale di Milosevic e Karadzic, ma ancora oggi il generale Ratko Mladic, ricercato anch’esso per crimini di guerra, risulta latitante. Quando anche il generale verrà catturato Belgrado potrà lasciarsi alle spalle la difficile eredità degli oscuri anni ’90.
Oltre a questo caso internazionale, il premier serbo deve ora affrontare anche le conseguenze della crisi dell’economia mondiale e il conseguente malcontento diffuso nella popolazione. La destra nazionalista potrebbe approfittare della situazione e di conseguenza allontanare ancora una volta il paese da Bruxelles. Un importante voce in capitolo nella situazione interna serba avercela anche Mosca, storico alleato (basti citare le antiche idee di panslavismo e la comune religione cristiano ortodossa) che utilizza tutti i suoi mezzi di pressione a disposizione, soprattutto economici, per convincere Belgrado a rinunciare all’idea di entrare della comunità europea. A fronte delle rigorose richieste europee, la Russia mette sul piatto il progetto di un’unità doganale, gas e petrolio a prezzi di favore, e ingenti investimenti diretti. L’offerta appare allettante; bisognerà vedere se il progetto europeistico di Tadic reggerà di fronte a queste lusinghe dei fratelli ortodossi in un momento in cui l’Europa non appare solidissima sotto il profilo economico.
GLI SFORZI PER UN NUOVO MONTENEGRO – Anche Podgorica è in attesa di un invito ufficiale ad entrare nel club degli stati europei che contano. Il percorso della piccola repubblica verrà presumibilmente influenzato anche da quello della Serbia, con cui era unificata fino a pochi anni fa e con cui ha importanti legami culturali, politici ed economici. Il paese vive un momento difficile: dopo vent’anni, il premier Milo Ðukanović ha rassegnato le dimissioni, in maniera apparentemente indolore e in seguito a probabili pressioni internazionali. Il politico, storicamente da vent'anni padre-padrone indiscusso della regione dalla dissoluzione della Repubblica Federale Yugoslava, era considerato impresentabile a livello internazionale a causa dei discussi rapporti con la criminalità organizzata, che hanno portato anche a un’iscrizione dell’ex premier nel registro degli indagati in un processo a Bari sul contrabbando di sigarette. Quello del crimine organizzato, e dei suoi legami con le istituzioni, è il principale problema di cui Bruxelles pretende la soluzione, e le dimissioni di Ðukanović sono in questo senso un segnale positivo. Nei prossimi mesi bisognerà tuttavia valutare la portata di questo cambio al vertice, Ðukanović è infatti ancora il leader del più forte partito nazionale il Partito Socialista Democratico, e le capacità del nuovo primo ministro, il 34enne Igor Lukšić. Quest’ultimo appare legato al suo predecessore, che potrebbe limitarne i margini di manovra, e deve affrontare un’opera improba per soddisfare l’Europa: la riforma delle istituzioni, soprattutto della magistratura, la lotta ai gruppi criminali locali e alla corruzione. Chi conosce la recente storia di questo paese può ben valutare le proporzioni dell’impegno che vengono richieste al giovane e intraprendente nuovo premier.
DALL'ALBANIA ALLA MACEDONIA – L’Albania è teatro di imponenti proteste popolari e affronta da un anno e mezzo (ovvero dalle ultime elezioni) una situazione di stallo istituzionale. Il dibattito pubblico è monopolizzato dallo scontro, senza esclusione di colpi, tra il primo ministro Sali Berisha e il sindaco di Tirana e leader dell’opposizione Edi Rama. Il Parlamento è bloccato, le manifestazioni sono recentemente sfociate in scontri violenti, mentre la fragile economia del paese soffre per le difficoltà politiche interne e il difficile momento economico globale.
Una situazione analoga la vive anche la Macedonia, dove il Parlamento è boicottato dal principale partito d’opposizione l’SDSM di Branko Crvenkovski, per protestare contro il comportamento illiberale del premier Gruevski. Al momento in Parlamento siedono unicamente i partiti che fanno parte della coalizione governativa. In questo caso, come con l’Albania, l’Europa si limita al ruolo di osservatrice e a invocare una generica pacificazione. Sul processo di avvicinamento del paese all’Europa, grava inoltre il problema surreale del nome della Repubblica. La Grecia continua a porre veti all’ingresso in Europa della Macedonia, finchè quest’ultima non cambierà il proprio nome, che è lo stesso di una regione ellenica.
IL CASO KOSOVO – La repubblica del Kosovo, a maggioranza albanese, nasce in una cornice politico economica a dir poco complicata. La regione è una delle più povere e depresse dell’Europa, è stata teatro fino a poco tempo fa di scontri etnici (e in parte lo è ancora) e deve fare i conti con la presenza di un ingombrante vicino, la Serbia, che la considera parte integrante del suo Stato. Sotto la guida di Tadic, la posizione serba si è ammorbidita, soprattutto su pressione di Bruxelles e Washington, ma ancora oggi Belgrado si guarda bene dal riconoscere l’indipendenza di Pristina (insieme ad altri 41 paesi membri dell’ONU). Il Kosovo si regge sostanzialmente sull’appoggio politico ed economico della Ue e degli Stati Uniti. In questa situazione si sono svolte le prime elezioni politiche vinte da Hashim Thaci, leader del PDK. Dopo un primo momento di euforia, si sono presto diffuse notizie di brogli e gli organi internazionali, compresi quelli comunitari, sostengono ora la necessità di nuove consultazioni più trasparenti. Il premier in pectore è stato inoltre accusato dal parlamentare svizzero Dick Marty di essere responsabile di crimini di guerra. Il politico elvetico ha presentato al Consiglio d’Europa un memorandum per provare il coinvolgimento di Thaci, addirittura nel traffico di organi umani. Intanto, proprio pochi giorni fa Behgjet Pacolli è stato eletto Presidente. Pacolli (conosciuto in Italia soprattutto per essere stato il marito di Anna Oxa) è un imprenditore considerato l’uomo più ricco del paese e il leader del partito Alleanza per il nuovo Kosovo (AKR). Il parlamento lo ha eletto con 62 voti su 120.
Il Kosovo a pochi anni della sua nascita appare dunque una creatura instabile e incerta, priva di quegli elementi minimi di stabilità tipici di uno Stato nazionale. Anche la comunità europea se ne è resa conto e infatti il paese rimane l’unico dell’area a non esser stato interessato dal processo di liberalizzazione dei visti operato dall’Unione. Si può certamente affermare che attualmente le due repubbliche a maggioranza albanese sono quelle che vivono la situazione più difficile dal punto di vista economico e politico.
BOSNIA E CROAZIA – Anche la Bosnia rimane un’entità statuale fragile. La sua composizione come repubblica multietnica non appare ancora una soluzione efficace e il Paese rimane ancora suddiviso su linee etniche: i bosgnacchi (musulmani) da una parte e serbo-bosniaci e croato-bosniaci dall’altra. Gli equilibri istituzionali appaiono ancora incerti e in particolar modo la situazione della Repubblica Srprska risulta ambigua. La diffidenza tra bosniaci di origine e serba e musulmana rimane alta e il rischio di una secessione violenta non sembra del tutto allontanato.
Chiudiamo invece con una nota positiva: la Croazia, che assieme alla Slovenia da tempo entrata nella Ue è la nazione più prosperosa e stabile della regione, e la più vicina a diventare il ventottesimo Stato membro dell’Unione. Anche la questione del confine con la Slovenia, che aveva rallentato il cammino d’integrazione di Zagabria, si sta avviando a conclusione con un arbitrato internazionale. Alcuni scandali finanziari hanno coinvolto importanti politici, compreso l’ex primo ministro Sanader, e portato alla luce un giro di corruzione che coinvolgeva importanti figure politiche e istituzioni pubbliche; tuttavia, la Croazia vive una situazione molto più rosea di quelle degli altri stati fin qui nominati. La vicenda di Sanader inoltre può essere come un segnale dei progressi fatti nella lotta alla corruzione. Il Parlamento Europeo ha infatti votato con una larga maggioranza una risoluzione in cui si esprimono apprezzamenti per il progresso delle riforme nel Paese e si auspica la conclusione dei negozianti di adesione entro il 2012.
Jacopo Marazia [email protected]