In 3 sorsi – Apparentemente Minsk sembra trovarsi nella stessa situazione in cui Kiev era sei anni fa. Tuttavia la diversa reazione dei Governi occidentali e della Russia alle due proteste mette in luce le divergenze.
1. LE ATTUALI RELAZIONI UCRAINO-BIELORUSSE
La caratteristica principale che accomuna la contestazione ucraina del 2014 e le attuali manifestazioni di protesta in Bielorussia è il desiderio dei cittadini delle due ex Repubbliche sovietiche, poste nel cuore geografico dell’Europa, di una democratizzazione interna consistente in un cambio di regime. Questa somiglianza, che nasconde differenze più profonde, ha avuto delle ripercussioni sulle relazioni fra il Governo post-rivoluzionario di Kiev e il Presidente bielorusso Alexandr Lukashenko. Come la maggior parte della comunità internazionale (con l’eccezione di Russia, Cina, Turchia e pochi altri), il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky non ha riconosciuto come legittimo il risultato delle elezioni presidenziali bielorusse dello scorso 9 agosto, sostenendo così indirettamente i dimostranti. La propaganda statale bielorussa ha presentato questa situazione come la prova dell’esistenza di un “complotto” occidentale contro Lukashenko e le proteste popolari come il frutto di un intervento esterno. Così, non più Mosca, ma Kiev e Washington sono diventati i principali sospettati per il caso dei contractors della PMC Wagner arrestati a luglio. Inoltre, per ragioni puramente politiche, Lukashenko ha blindato tutti i confini bielorussi, tranne quello con la Russia, allo scopo di prevenire un eventuale intervento della NATO.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Manifestazione di protesta a Minsk, 13 settembre 2020
2. LA REAZIONE DEGLI USA E DELL’UE
In realtà, però, i Governi occidentali non hanno espresso un sostegno diretto alla protesta. L’Amministrazione Trump, che si sta confrontando con accese proteste popolari in casa propria, nonché con l’avvio della campagna elettorale per le presidenziali, si sta limitando a “tenere d’occhio” la situazione. È l’Unione Europea che ha assunto una posizione più marcata, in risposta soprattutto alle violazioni dei diritti umani perpetrate dalle Forze dell’ordine bielorusse nella repressione delle proteste: l’8 settembre l’Alto Rappresentante per la Politica Estera Josep Borrell ha annunciato che l’UE adotterà sanzioni contro individui responsabili di violenza, repressione e falsificazione dei risultati elettorali. Rispetto al 2014, quando ad adottare misure analoghe contro la Russia c’erano anche gli USA, il Canada, la Norvegia e l’Australia, l’Unione Europea appare sola e priva della capacità di avere un impatto sulla crisi politica bielorussa.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – I dimostranti formano una catena umana di fronte agli agenti antisommossa, Minsk, 13 settembre 2020
3. LA RUSSIA: NEL 2014 E OGGI
Il vero barometro della diversità fra Piazza Maidan e le proteste di Minsk è la reazione della Russia e il motivo è la differente natura delle due proteste. Nel caso dell’Ucraina, la contestazione aveva una chiara connotazione geopolitica: i dimostranti rivendicavano la firma dell’Accordo di associazione con l’UE e sventolavano bandiere europee insieme a quella nazionale. Lo slittamento dell’Ucraina verso occidente (codificato, poi, nel Preambolo alla Costituzione) significava per la Russia la perdita del penultimo anello del suo tradizionale “cordone sanitario” contro la NATO, causa dell’annessione della Crimea e dello scatenamento del conflitto “congelato” nel Donbass. Al contrario la crisi bielorussa non oltrepassa i confini nazionali, non avendo i dimostranti aspirazioni euro-atlantiche e limitandosi a chiedere le dimissioni di Lukashenko e nuove elezioni più trasparenti. Poiché gli interessi geopolitici di Mosca non sembrano direttamente minacciati, la sua reazione è stata finora abbastanza blanda. Tuttavia l’esito della protesta è suscettibile di influenzare la sua politica nazionale, in quanto il regime di Putin è più giovane di quello di “Batka” di soli sei anni e, dopo l’avvelenamento di Alexei Navalny, l’opposizione interna si è risvegliata. In sostanza, da un lato la Russia ha interesse a sostenere il regime di Lukashenko per non creare un precedente e, dall’altro, deve stare attenta a non diventare il bersaglio della protesta. In ogni caso il suo intervento sarebbe legato a motivazioni utilitaristiche. In questo senso Mosca potrebbe rimettere sul tavolo la questione dell’integrazione con Minsk in cambio di un concreto sostegno a Lukashenko, ma sarebbe una mossa azzardata: la reazione della popolazione bielorussa alla rinuncia alla sovranità nazionale da parte di un Presidente delegittimato non è prevedibile e l’equilibrio internazionale potrebbe risultare ulteriormente compromesso.
Oksana Ivakhiv
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