Analisi – Reduce dal G20 di Johannesburg, la delegazione europea è volata in Angola per far sentire il proprio peso diplomatico e negoziale. Nonostante l’ombra del passato coloniale, l’UE sente l’urgenza di ritagliarsi uno spazio credibile in un continente dove la concorrenza non concede pause. Il summit di Luanda nasce esattamente da qui: dalla necessitĂ , per entrambe le sponde, di capire se un partenariato paritario possa ancora funzionare in un mondo diventato molto piĂą affollato e, soprattutto, regolato sempre piĂą dalla forza militare.
LA COMPLESSA CONTESA DEL CONTINENTE AFRICANO
La cornice nella quale il Summit UE-UA si inserisce è intessuta degli interessi delle altre potenze globali e regionali sul continente africano. Primi fra tutti, gli Stati Uniti: l’Amministrazione Trump ha cercato di estendere l’ombrello di sicurezza statunitense in Congo, come dimostra il (fragile) accordo tra Ruanda e Repubblica Democratica del Congo, facilitato proprio dal Presidente USA. Ma l’appoggio (o, in certi casi, l’interessamento) statunitense non è gratuito: in cambio di sostegno politico e militare al Governo congolese, gli USA otterrebbero i diritti esplorativi delle riserve congolesi, ricche (tra l’altro) di coltan, cobalto e litio, oltre che, naturalmente, un mezzo di contrasto all’influenza della Cina e delle sue aziende, che controllano le principali attività minerarie nel Paese.
C’è poi la Russia che continua a beneficiare dell’eredità sovietica. La sua presenza, infatti, sopravvive in larga parte nella dimensione militare e nella cooperazione securitaria, visibile in molti Stati del Sahel e dell’Africa centrale. Si aggiungono anche i Paesi del Golfo, da tempo impegnati in rapporti economici e infrastrutturali con Governi africani di ogni orientamento, con un approccio che non si cura né di vincoli ideologici né di considerazioni etiche. Sul continente africano si muove con forza anche la Cina, che ha fatto del finanziamento di opere pubbliche e dell’accesso ai minerali critici uno dei pilastri della propria politica estera.
In questo scenario affollato, per Bruxelles la competizione è tutt’altro che agevole. L’Unione Europea, a differenza di Pechino o delle monarchie del Golfo, porta con sĂ© l’ingombrante ricordo del proprio passato coloniale, retaggio che la induce a muoversi con maggiori cautele e a spiegare piĂą di altri le proprie scelte.Â
Tuttavia, la democrazia liberale e il libero scambio, che l’UE presenta come elementi qualificanti del proprio rapporto con l’Africa, restano principi che l’Occidente non è sempre riuscito a tradurre in benefici concreti per i partner africani, alimentando così una certa diffidenza. E anche la tendenza europea ad insistere sulle proprie responsabilitĂ storiche, pur comprensibile, rischia talvolta di trasformarsi in un automatismo che non tiene conto della complessitĂ Â della storia africana, nĂ© delle prioritĂ Â politiche ed economiche delle leadership attuali. I Governi del continente non impediscono all’Europa di riconoscere i propri errori ma chiedono che questo riconoscimento non diventi un alibi per evitare il confronto con le sfide del presente.Â
Fig. 1 – Un’immagine del precedente summit che si svolse a Roma sul Piano Mattei
LA NUOVA GEOECONOMIA DEL PARTENARIATO UE-UA
Al centro dei lavori di Luanda c’è stata l’economia, tema che continua a definire più di ogni altro la natura e le ambizioni della relazione tra Europa e Africa. A riguardo, i dati sono chiari: nel 2024 il commercio di beni tra l’Unione europea e l’Africa ha raggiunto circa 355 miliardi di euro, confermando l’UE come primo partner commerciale del continente e principale sbocco per le sue esportazioni.
Sul fronte economico, la bussola che ha guidato il Summit è stata il Global Gateway, un pacchetto che punta a mobilitare 150 miliardi di euro entro il 2027, di cui oltre 120 giĂ impegnati, per finanziare non solo infrastrutture, ma anche istruzione, sanitĂ , connettivitĂ digitale, transizione energetica e modernizzazione industriale. Â
Nelle parole di Ursula von der Leyen, il Global Gateway non è un semplice programma di opere pubbliche, bensì un investimento nelle capacità africane e nella possibilità di creare filiere locali in grado di trattenere valore sul posto, generare posti di lavoro dignitosi e ridurre la dipendenza da catene di fornitura fragili o sbilanciate. Il progetto più rappresentativo di questa ambizione è il Corridoio di Lobito, la dorsale ferroviaria che collegherà le regioni minerarie di Zambia e Repubblica Democratica del Congo al porto angolano di Lobito. Si tratta, insomma, una nuova via d’uscita per rame, cobalto e altri minerali cruciali per la transizione verde ma anche un banco di prova per saggiare la volontà europea di promuovere “investimenti diversi” rispetto al passato. Sebbene l’UE presenti il Corridoio come esempio di cooperazione vantaggiosa per tutti, molte organizzazioni della società civile ricordano che, senza un tangibile impatto sul tessuto produttivo e sociale locale, il corridoio rischia di trasformarsi semplicemente in una nuova variante delle tradizionali rotte estrattive.
Accanto ai grandi progetti infrastrutturali c’è poi l’enorme partita dell’energia. L’Africa possiede il 60% del potenziale solare mondiale e quasi un terzo delle riserve dei minerali indispensabili per batterie, tecnologie digitali e rinnovabili. Non sorprende quindi che il vertice di Luanda abbia messo in fila impegni significativi: i 15,5 miliardi mobilitati durante la conferenza “Scaling up Renewables in Africa”, nuovi investimenti europei sull’idrogeno verde, un prestito da 350 milioni della Banca Europea per gli Investimenti (BEI) per modernizzare i porti sudafricani e sostenere proprio la filiera dell’idrogeno, e una strategia per fornire energia solare a oltre 100 milioni di persone entro il 2030, generando 50 GW di nuova capacitĂ tramite fonti rinnovabili.Â
A ciò si aggiungono i 143 milioni di euro in aiuti umanitari aggiuntivi annunciati da Bruxelles per l’Africa subsahariana, un segnale di quanto sicurezza, crisi alimentari e sviluppo economico siano sempre più intrecciati.Â
Resta però aperta la discussione sul metodo europeo: il Corporate Europe Observatory rimprovera l’UE di spingere strumenti finanziari che potrebbero far lievitare il debito pubblico africano, mentre Bruxelles rivendica un modello fondato su trasparenza, regole e vantaggi condivisi, ben diverso dalle pratiche di Cina, Russia o Paesi del Golfo.
Fig. 2 – Family photo al recente summit G20 di Johannesburg
UN PATTO CHE GUARDA OLTRE L’ECONOMIA
L’intesa finale del vertice di Luanda va ben oltre la dimensione economica. Affronta la transizione energetica e digitale, la gestione dei flussi migratori e questioni delicate come la memoria coloniale e gli equilibri geopolitici. La Joint Declaration firmata da UE e UA riflette questa ampiezza di temi e si presenta come uno dei documenti politici piĂą strutturati mai adottati dai due continenti.Â
Sul piano internazionale, Bruxelles e Addis Abeba (sede dell’Unione Africana) hanno ribadito il sostegno a una “pace giusta” in Ucraina, un risultato tutt’altro che scontato, considerata la storica presenza politica e militare russa in diverse regioni africane. João Lourenço, presidente dell’UA e dell’Angola, ha ricordato il ruolo dell’Unione Sovietica nella lotta contro il dominio coloniale, ma ha aggiunto che oggi l’Africa difende la sovranità  e l’integrità territoriale “anche nel caso dell’Ucraina”, marcando un’importante presa di posizione politica.
Il documento contiene inoltre un passaggio di forte valore simbolico: l’Europa “riconosce e si rammarica profondamente” per le sofferenze inflitte da schiavitù, colonialismo e apartheid. Un gesto atteso da molti Governi africani, considerato necessario per ristabilire un rapporto fondato sulla fiducia, senza eludere il passato.
Sul fronte migratorio, la dichiarazione da un lato prevede l’ampliamento delle vie legali di mobilità per studenti, ricercatori e lavoratori qualificati, dall’altro un rafforzamento della cooperazione contro l’immigrazione irregolare e le reti criminali. Nei prossimi sei mesi, un gruppo congiunto di alti funzionari dovrà elaborare un piano operativo e comitati misti avranno il compito di seguirne l’attuazione.
Resta però aperto il tema dell’efficacia. La Corte dei conti europea ha ricordato che, nonostante gli 11 miliardi investiti negli ultimi anni in Africa subsahariana, i risultati non sono stati all’altezza delle aspettative. è un vero campanello d’allarme: senza una cooperazione più rapida e coordinata, molti degli obiettivi fissati a Luanda rischiano di fermarsialla dichiarazione d’intenti. In data ancora da destinarsi, UE e UA si rivedranno a Bruxelles per verificare se questa volta la macchina della cooperazione saprà davvero accelerare.
CONCLUSIONI
Il vertice di Luanda ha mostrato come anche il continente africano rappresenti un campo di gioco dove le potenze globali, ciascuna con le proprie strategie, combattono la loro partita.Â
La tattica può sembrare meno immediata rispetto alla rapidità  delle intese proposte da altri attori. Eppure, è proprio qui che l’UE gioca le sue carte: dimostrare che una cooperazione basata su regole, trasparenza e benefici condivisi può produrre risultati duraturi, in grado di riequilibrare rapporti economici spesso segnati da profonde asimmetrie. In tale prospettiva, il successo della cooperazione UE-UA può rappresentare una grande occasione per riaffermare il principio cardine dell’attore strategico UE fondato su un autentico multilateralismo paritario.
Ora, però, l’Europa deve dimostrare di saper tradurre le sue intenzioni in risultati. Perché, in un contesto in cui tutti cercano un posto al tavolo africano, la credibilità non si misura sulle buone intenzioni ma sulla capacità di mantenerle.
Filomena Ratto
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