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La svolta delle democrature?

Ultima parte del documento in esclusiva del Gen. Cascone. Tra piazze e fasi di transizione, è possibile sin d'ora indentificare alcuni fili rossi comuni che hanno caratterizzato le rivolte nei vari Paesi, il ruolo della politica e della religione, le conseguenze possibile e i diversi aspetti ancora da definire. Infine: cosa vuol dire “democrature”? Lo scopriremo solo leggendo…

(segue. Leggi qui la prima, la seconda e la terza parte del report)

4.CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

TRA PIAZZE E TRANSIZIONI – Appare sicuramente prematura una valutazione della portata della rivolta in esame, che si è propagata in quasi tutti i Paesi del Maghreb con grande velocità, dei suoi effetti e dei possibili conseguenti cambiamenti.

Molto si è visto e ragionevolmente molto è ancora da vedersi, specie se si accetta la schematizzazione più volte citata in questo report.

Solamente due Paesi di quelli in esame, Tunisia ed Egitto, sono pervenuti alla cosiddetta fase di transizione, dopo che il “dittatore”, rispettivamente Ben Alì e Mubarak, è stato allontanato dal potere; mentre gli altri Paesi sono ancora alla “piazza”, seppure con una portata differenziata della violenza, negli scontri tra la popolazione e le forze del regime (esercito e/o polizia).

Anche per questi ultimi Paesi, sembra a fattor comune la volontà della piazza di pervenire a risultati concreti; la situazione complessiva si presenta come indicato di seguito:

    • Paesi che nonostante le offerte di dialogo e di possibili revisioni delle norme istituzionali da parte del regime, puntano al “tutto e subito” (Libia, in testa) e lo scontro ha assunto connotazioni estreme;

    • altri Paesi dove la piazza si era già attivata e reparti militari la controllavano, allorquando blindo e carri armati sono rientrati nelle caserme, evidenziano esitazioni per intraprendere ulteriori iniziative, pur essendo contrari, in parte o in toto, alle proposte del regime (Bahrein);

    • altri Paesi governati da Monarchie tradizionali (Giordania, Marocco, etc.) più altri ancora che non hanno individuato possibili leader che li rappresentino per la successiva fase di transizione si limitano a manifestazioni antiregime per portare allo scoperto le condizioni di sopravvivenza, le ingiustizie e la precarietà in cui sono mantenuti.

    NE' POLITICA, NE' RELIGIONE – A questo punto, in riferimento alle cause, ai protagonisti e alle modalità di svolgimento della rivolta, sembrano possibili le seguenti considerazioni :

        • si tratta di una rivolta che non appartiene a leader politici, di sinistra o di destra, non ha una colorazione politica e nemmeno religiosa, anche se, a proposito dell’Egitto, più volte sono stati visti in prima linea i Fratelli Musulmani;

        • i giovani vi hanno partecipato a maggioranza; in particolare l’organizzazione della rivolta intesa come gestione delle comunicazioni tra i partecipanti, ha visto all’opera giovani in possesso delle necessarie nozioni informatiche per assolvere il compito, quelle stesse che utilizzano per tutte le attività quotidiane; questa non è solo specificità del “Maghreb del momento”: ai social network si era già fatto ricorso in precedenti situazioni: in Iran ad esempio con l’ “onda verde”;

        • le modalità generalmente utilizzate sono quelle della “rivolta non violenta” da parte della piazza (fin dove possibile e sicuramente all’inizio). Anche per questo aspetto non si è trattato di una novità in quanto i giovani del Cairo hanno tenuto nella dovuta considerazione i criteri esposti nel suo saggio dalla “Dittatura alla democrazia” da Gene Sharp, come già avevano fatto altri movimenti giovanili tra i quali il movimento “Optor” serbo (contro Milosevic).

        Il saggio prevede manifestazioni di massa, senza spargimento di sangue, al fine di costringere il governo in carica ad abbandonare il potere (boicottaggio di attività istituzionali, incitamenti vari alla disobbedienza nei confronti di Polizia e militari, adozione di slogan contro il governo, etc.).

        DEMOCRATURE – Sulla base di queste considerazioni, sembra possibile conferire un’etichettatura a tutto il processo di ribellione nel Maghreb che, partendo dalla fine del colonialismo, ha aperto la strada a sistemi di governo che, secondo il già citato neologismo, sono definiti “democratura” ovvero democrazia più dittatura, contro i quali ha reagito la popolazione; si tratta in sintesi di una “rivolta generazionale non violenta, laica, fatta da “giovani in prevalenza alfabetizzati”, contro regimi solo in parte “democratici” (ovvero solamente per quanto di loro interesse), allo scopo di acquisire condizioni di vita adeguate, in un contesto sociale di corruzione e sopraffazione, spesso in assenza di diritti umani.

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        LE CONSEGUENZE – Questa prima fase della rivolta – identificata come la “piazza”- per molti Paesi e, per due di questi (Tunisia ed Egitto), anche la fase successiva il rovesciamento o l’allontanamento spontaneo del “dittatore” dal potere, ha provocato conseguenze di grande criticità:

          • l’afflusso di rifugiati sul nostro territorio in numero superiore alle capacità ricettive dei Centri di accoglienza ;

          • ulteriori afflussi prevedibili potrebbero raggiungere quote non compatibili con le possibilità di accoglienza del nostro Paese e postulano un coordinamento ed interventi da parte della Comunità Europea;

          • criticità nel soccorso alle popolazioni più esposte alla repressione in termini di feriti (in Cirenaica, per esempio, scarsa o nulla la possibilità di trasfusioni di sangue);

          • si prevedono considerevoli criticità anche nel settore delle risorse energetiche (gas, petrolio) in conseguenza del blocco delle attività in alcuni Paesi (Libia, in particolare), per quanto si riferisce ai rifornimenti e alla crescita del prezzo sul mercato;

          • sul piano della sicurezza, sussistono difficoltà di accoglienza e anche di controllo dei rifugiati, in quanto non sembra possibile, senza specifica organizzazione e concorsi da parte della Comunità internazionale, individuare coloro che, per motivi vari, sono usciti dalle carceri del Paese di provenienza e che prevedibilmente andranno ad ingrossare le fila della criminalità e del narcotraffico sul nostro territorio.

          Si aggiungono le incognite connesse con la fase di transizione che, almeno per Tunisia ed Egitto, è basata sul ruolo corretto e “costituzionale” delle Forze armate che, come già si è detto, hanno la responsabilità di tale fase.

          Per quanto si riferisce all’Egitto, l’Esercito è stato sempre “della partita”, mentre le Forze armate tunisine sono state tenute generalmente “lontane” dai Centri di potere.

          CHIUDIAMO CON GHEDDAFI – Questo in generale, e la Libia? Un quadro di situazione “estremo”, diverso da quello degli altri Paesi presi in esame: il leader Gheddafi nel Q.G., il bunker di Bab al Azizya di Tripoli, difeso dai fedelissimi, Forze Speciali e “mercenari”.

          Mentre aumentano le defezioni nelle fila delle Forze Armata e della Polizia, la “piazza”, nel senso ricorrente in questo report, si avvicina alla Capitale libica e la repressione diventa sempre più violenta e decisa, nonostante l’invito al dialogo del figlio Saif al Islam, in un primo tempo, e dello stesso Gheddafi uscito dal bunker e portatosi nella significativa “Piazza Verde”. A questo punto, quale la possibile reazione del leader libico di fronte alla condanna generalizzata e alla minaccia di provvedimenti estremi anche militari (“no fly zone”, ecc.) da parte della Comunità internazionale? Si prende in considerazione, ai fini di una possibile risposta, la precedente reazione di Gheddafi al bombardamento del 1986 da parte di aerei USA su Bab al Azizya: l’invio di un missile su Lampedusa.

          E, allo stato attuale, quale potrebbe essere la reazione di chi si è dichiarato tuttora ”capo della rivoluzione”(quella del 1969), sinonimo di sacrificio fino alla fine? L’impiego, come ultima chance, di aggressivi chimici (ammesso che ne disponga), e/o la distruzione delle infrastrutture dei giacimenti petroliferi: “muoia Sansone” ecc. Tanta imprevedibilità e una sola certezza: una situazione di estrema attenzione, dagli sviluppi comunque preoccupanti, sicuramente con ripercussioni sull’area del Mediterraneo e oltre.

          (Fine. Leggi qui la prima, la seconda e la terza parte del report)

          Gen. Saverio Cascone (testo raccolto da Chiara Maria Leveque) [email protected]

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