Miscela Strategica – Il concetto di guerra economica è stato tradizionalmente inteso come parte e tattica integrativa di un conflitto armato. Oggi e nel prossimo futuro potrebbe rappresentare una forma di combattimento a sé stante.
LA LEVA DELL’ECONOMIA – I rapporti di forza tra gli Stati non si misurano ormai da tempo considerando esclusivamente le capacitĂ delle Forze Armate. Gli anni che vanno dal 1990 a oggi vengono spesso indicati come epoca della “geoeconomia”. Cessato il confronto bipolare, il tessuto economico è divenuto la discriminante principale per valutare le potenze, siano esse globali o regionali. I rapporti di forza tra Stati o blocchi di Stati si giocano sempre piĂą spesso utilizzando leve economiche piuttosto che militari, sfruttando debolezze e dipendenze dell’avversario/competitor e/o orchestrando operazioni finanziarie che lo danneggino e ne limitino l’influenza. Assistiamo insomma, piĂą o meno consapevolmente, a una rinascita della geopolitica permessa dal minore rischio di diretta escalation militare in caso di crisi. Risorse naturali, energia, merci, bond e molto altro vengono utilizzati, oggi piĂą che in passato, come strumenti di perseguimento di obiettivi politici. Si pensi al recentissimo esempio della crisi in Ucraina, nella quale il gas e gli investimenti Russi hanno giocato un ruolo di primo piano e una leva importante per Mosca prima di arrivare all’opzione militare.
SANZIONI E MISURE – Esempi classici di economic warfare sono rappresentati da sanzioni e misure. Questi strumenti si sono dimostrati validi quando associati a una campagna militare parallela, come nel caso della Guerra delle Falkland o della I Guerra del Golfo. Quando posti in essere da soli, invece, hanno mostrato lacune e limiti. In primo luogo, gli strumenti economici sanzionatori (per esempio embargo, contingentamento, congelamento fondi) sono realmente efficaci quando applicati da un numero cospicuo di Stati, per esempio in seguito a una Risoluzione delle Nazioni Unite ai sensi del Capitolo VI della Carta (misure non implicanti l’uso della forza).
Fanno eccezione gli Stati, pur pochi, che maturano eccessiva dipendenza da uno o pochi soggetti esterni, ma in questo caso la leva principale è di tipo politico (ricatto o pressione). Raramente si rende necessario ricorrere a misure economiche, perché lo Stato in questione ne conosce già le inaccettabili conseguenze.
Inoltre l’efficacia di sanzioni e misure economiche tende a decrescere nel tempo, via via che il Paese o i Paesi colpiti trovano escamotages e alternative alle attivitĂ precluse. Altro punto critico delle misure economiche è l’efficacia sulla dirigenza politica. Non è infrequente che sia la popolazione civile piuttosto che la dirigenza politica a subire il peso reale delle sanzioni, le quali da sole sono il piĂą delle volte inadeguate a esautorare o detronizzare regimi autoritari o radicalizzati.
Infine, per effetto della globalizzazione, le misure economiche odierne, compreso il congelamento di fondi, tendono a colpire indirettamente, ma come un boomerang, gli stessi Stati che le comminano.
UN CAMBIO DI PROSPETTIVA – Se le misure economiche classiche si sono rivelate poco adeguate ai tempi, una nuova serie di strumenti a disposizione degli Stati – e in parte dei privati (pericolosamente) – sta facendo rinascere il concetto di economic warfare. I due fattori più rilevanti di questa rinascita sono la crescita di importanza del cyberspazio e degli strumenti finanziari.
La minaccia informatica è oggi particolarmente seria. Le capacità che si possono esprimere tramite malwares sono talmente avanzate da poter causare danni ingenti al tessuto economico di un Paese, colpendo obiettivi che vanno dal sistema bancario alle reti di distribuzione di energia, ai ripetitori delle telecomunicazioni.
Parimenti dannosi possono essere considerati gli strumenti economici mutuati dai mercati finanziari. Utilizzandoli in modo offensivo si possono attaccare valute e sistemi monetari oppure modificare il prezzo di un bene di particolare rilevanza per lo Stato o il gruppo di Stati che si vuole colpire. Per esempio, far crescere il prezzo di uno o più beni di importazione e/o far crollare uno dei prezzi dei beni diffusi oppure di esportazione. Gli effetti peggiori sono ottenibili su Paesi che fanno affidamento su una monoproduzione o sono comunque economicamente poco differenziati, ma anche i Paesi avanzati accuserebbero un colpo molto duro.
Una terza tecnica è il bear raid, attraverso il quale un operatore finanziario, dopo aver artificialmente creato un crollo di prezzo del bene o dei beni individuati come vitali per lo Stato-target, si appropria di una determinata fetta di mercato funzionale al proprio scopo. A tal proposito osservati speciali sono i fondi sovrani, uno strumento finanziario in crescita negli ultimi anni che potrebbe essere, per sua struttura e capacitĂ , un mezzo di “assedio” nei confronti di un’economia.
A queste due fattispecie si aggiungono misure dimenticate o desuete che, rinfrescate dalle nuove possibilitĂ tecnologiche, trovano oggi una nuova dimensione: il cosiddetto “acquisto preclusivo” e l’interdizione delle linee di comunicazione. Il primo è una tecnica abbastanza datata e oggi non applicabile in senso classico. Uno Stato o un gruppo di Stati – o loro incaricati come compagnie a partecipazione statale o consorzi – acquista una risorsa o un bene non tanto perchĂ© ne ha bisogno, ma per precluderne l’acquisto all’avversario che si vuole colpire. Tradizionalmente applicato alle risorse naturali (oggi non sarebbe possibile) la rivisitazione del concetto si gioca prevalentemente sul piano industriale. Per esempio, si acquista un’azienda ad alto contenuto tecnologico e significativa per lo sviluppo del Paese-target, per poi svuotarla del know-how e trasferirne le attivitĂ piĂą avanzate.
L’interdizione delle linee di comunicazione, inteso come misura economica e non come strategia militare, ha dei punti in comune con l’acquisto preclusivo. In questo caso sono compagnie di trasporto o societĂ di gestione degli hub commerciali (come i porti) a essere oggetto di acquisto strategico, cui fanno seguito vincoli normativi o alti costi di trasporto nei confronti del Paese-target che rendono difficoltosa la fruibilitĂ della rotta commerciale controllata. Attuato su grande scala può mettere a repentaglio l’economia di Paesi insulari o il cui bilancio dipende molto dal commercio internazionale.
Al giorno d’oggi possiamo quindi ridefinire economic warfare l’utilizzo sistematico e integrato (full spectrum) di questo genere di strumenti. Se ciò avvenisse, gli effetti su un’economia sotto attacco che non avesse modo di difendersi sarebbero paragonabili, se non superiori, a quelli di un conflitto di tipo convenzionale. Insomma, le capacitĂ Â di cui si potrebbe disporre sarebbero in teoria sufficienti a creare una strategia alternativa all’uso della forza, pur conservando efficacia e potere distruttivo.
DALLA TEORIA ALLA REALTĂ€ – Un conflitto combattuto sul piano puramente economico è ancora un’ipotesi di scuola, ma non si è mai verificato. Alcune delle tecniche descritte sono state utilizzate in maniera piĂą o meno evidente in alcune crisi internazionali, però fino a oggi – per motivazioni che vanno dalla difficoltĂ di prevedere le conseguenze di lungo periodo di un attacco economico “puro” all’assenza di strumenti adeguati di difesa da contrattacchi di analoga natura – nessun attore internazionale ha messo in piedi un approccio dottrinale strutturato alla guerra economica (non esistono teorie di impiego codificate, nĂ© tantomeno testate). Ci sono inoltre problemi di tipo normativo e strutturale di non facile risoluzione, primo tra tutti il soggetto titolato a dirigere e gestire operazioni di questo genere e assicurare la difesa dello Stato o dei gruppi di Stati interessati dagli eventuali contrattacchi: le Forze Armate? I dicasteri economici? Agenzie controllate che agiscano “per procura”?
Tuttavia, ciò non significa che un evento di questo tipo non possa verificarsi in futuro. Al contrario, il dibattito in corso all’interno della “comunitĂ dell’intelligence” è particolarmente vivo, a dimostrazione dell’interesse che l’argomento ricopre per i dispositivi di sicurezza nazionali e internazionali.
Alcuni contesti geopolitici si prestano particolarmente a uno scenario di conflitto economico. Per esempio, nello scacchiere asiatico-pacifico l’interdipendenza economica tra gli Stati della regione è così intensa da rendere le tecniche di guerra economica particolarmente efficaci e alternative a un confronto militare, che sarebbe rovinoso per tutti indistintamente. Particolarmente interessanti sono le prospettive di un attacco a sorpresa, a oggi scarsamente prevedibile, e della possibilitĂ di dar vita a un confronto a bassa intensitĂ e, in prospettiva, anche segreto, che permetterebbe agli Stati di affrontarsi senza ricorrere alla forza distruttiva o senza subire i danni materiali di una campagna militare propria. Difficile però, in questi casi, definire una “red line“ ed evitare di spingersi troppo oltre con le operazioni di attacco economico “audaci”.
Infine, alcuni Paesi occidentali osservano con interesse gli sviluppi del concetto di guerra economica. L’eccessiva sensibilitĂ delle rispettive opinioni pubbliche alle perdite in combattimento e alle campagne militari in genere hanno creato presso gli Stati occidentali, soprattutto europei, il pericoloso desiderata della guerra a “morti 0”. L’idea di un metodo di combattimento alternativo che non preveda l’utilizzo della forza armata renderebbe un conflitto politicamente piĂą accettabile, pur aprendo un gravoso dibattito etico e filosofico sulla natura della guerra e sulle sue conseguenze profonde. Al di lĂ dell’interesse concettuale è però opportuno constatare che, per contro, questi stessi Paesi – europei in testa – si sono mossi ancora timidamente nel campo e presentano invece preoccupanti vulnerabilitĂ ad attacchi o iniziative di Stati terzi che avrebbero tanto da guadagnare da un’ulteriore dĂ©bâcle dell’economia occidentale (o europea).
Marco Giulio Barone