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Economic warfare, l’economia al servizio della strategia

Miscela Strategica – L’economic warfare è un concetto in continua evoluzione ed espansione di pari passo con l’avanzare della globalizzazione. Accanto ai metodi tradizionali di embargo e sanzioni economiche si sta ad oggi sviluppando una molteplicità di strumenti alternativi per minare le capacità – economiche e non – dei propri avversari

CONCETTO TRADIZIONALE – Il concetto di economic warfare può essere applicato a ogni tipo di conflitto tra due nazioni che non comporta l’intervento di forze armate, prediligendo una mobilitazione delle strutture economiche volte ad indebolire l’avversario. Se tali azioni sono soprattutto concentrate in tempo di guerra, affiancando azioni militari, nel corso degli anni la nozione di economic warfare ha subito radicali ampliamenti a seguito delle interconnessioni economiche dovute dalla globalizzazione, facendone un concetto liquido e di più difficile interpretazione. Scopo della guerra economica è, a oggi, quello di influenzare le decisioni dei Paesi obiettivo senza l’uso della forza.
Le tradizionali declinazioni dell’economic warfare includono – ma non si limitano a – sanzioni economiche, inserimento di persone di spicco in una lista nera, preclusive purchasing, controllo di asset, controllo di linee di rifornimento ed embargo. Storicamente gli Stati Uniti hanno usato in maniera estensiva tutti questi strumenti sin dalla fine della Seconda guerra mondiale quasi unilateralmente. Tuttavia dalla caduta del muro di Berlino le sanzioni di tipo economico sono divenute di uso comune da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. A questo proposito è interessante sottolineare come le sanzioni imposte unilateralmente, anche da una superpotenza commerciale come gli Stati Uniti, siano pressoché inutili.
Dal punto di vista dei Paesi coinvolti dalle sanzioni è bene notare come quelli di grandi dimensioni e con solidi network economici riescano a sopravvivere alle sanzioni diminuendone l’efficacia. A questo proposito due esempi sono d’uopo per comprendere l’adeguatezza delle sanzioni: l’Iran e la Russia. Mentre il primo Paese è riuscito a limitare i danni delle sanzioni grazie al suo status di potenza regionale e al suo network economico di commercio alternativo, la Russia è stata investita dalle sanzioni – con la complicità della variazione dei prezzi del petrolio, del rallentamento del ciclo economico e dei problemi strutturali – ed è al momento sotto pressione. L’impatto delle sanzioni – assumendo che siano correttamente disegnate e di forza adeguata – è quindi tuttora da chiarire.

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Fig. 1 – Donne iraniane a lavoro. Le sanzioni condizionano la vita politica ed economica del Paese

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In numeri

  • 150 miliardi di dollari di capitali sono fuggiti dalla Russia come risultato delle sanzioni economiche.
  • A seguito delle sanzioni all’Iraq durante la prima guerra del Golfo il Paese ha visto una riduzione delle calorie assunte dai suoi cittadini del 32%, la mortalità infantile raddoppiata e il 75% di strumenti medici fuori uso ed impossibili da riparare (periodo 1990-2000).
  • Le sanzioni economiche su Cuba ne hanno condizionano pesantemente l’economia, sia per via dell’embargo sia per via del rifiuto di fare business da parte di compagnie americane e di altri Stati. È stato stimato che i beni che il Paese importa costano circa il 30% in più, per un valore di circa $70 miliardi l’anno (stima per il 1998).

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SANZIONI E OLTRE – La ratio sottesa all’imposizione delle misure di economic warfare è che maggiore è il costo che i Paesi obiettivo dovranno pagare, maggiore è la probabilità che assecondino le richieste del Paese che le applica. L’embargo e il boicottaggio sono degli strumenti che inducono minore welfare grazie al limite delle importazioni, dato un certo livello di integrazione tra le economie dei due Paesi. L’utilizzo di tali strumenti pone, tuttavia, una serie quesiti sulla loro stessa efficacia. In primo luogo, le sanzioni unilateralmente imposte hanno un impatto minimo: Paesi terzi possono facilmente inserirsi e conquistare percentuali di mercato diminuendo la perdita del welfare del Paese target, così come successo nel caso dei cosiddetti pariah state, ove Russia e Cina si sono attivati per sopperire alla mancanza di beni e moneta. In secondo luogo, le imprese del Paese imponente le sanzioni soffriranno del mancato commercio o troveranno delle scappatoie per vendere tramite Paesi terzi. È il caso delle sanzioni unilateralmente imposte dagli Stati Uniti al Nicaragua, il quale ha spostato i suoi uffici del commercio in Canada e continuato a commerciare attraverso di esso.
Ulteriore spunto di riflessione ci viene dato da tre strumenti non convenzionali che rientrano all’interno della definizione di “mobilitazione di risorse economiche di un Paese”, ma per i quali lo scopo non viene esplicitato: vendita e/o acquisto di titoli di Stato, investimenti/disinvestimenti in asset strategici, influenza del prezzo di una materia prima. Più in dettaglio:

  • Durante l’acquisto di titoli di stato di un Paese, come nel caso della Cina con gli Stati Uniti, si permette il funzionamento degli scambi commerciali aumentando il ruolo di moneta egemone della prima. Allo stesso tempo però, una vendita di tali titoli porterebbe al crollo del valore del debito e della moneta in questione. Non è un caso, infatti, che la Russia abbia chiesto alla Cina di vendere in quantità i titoli americani durante l’imposizione delle sanzioni come ritorsione. Allo stesso tempo non possiamo dimenticare come durante i momenti più duri della crisi del debito, banche tedesche, americane e francesi hanno venduto i titoli di Stato italiani esacerbando la dinamica negativa.
  • Gli investimenti in asset, strategici e non, sono una pratica comune da parte di hedge fund e fondi d’investimento nazionali. Tale mobilitazione di risorse permette a Paesi terzi di conoscere le dinamiche strategiche interne di un Paese e prevedere lo sviluppo degli svolgimenti macroeconomici. È il caso dell’acquisto di una quota del fondo Blackrock da parte dei cinesi, peraltro molto attivi in questo campo.
    Al contrario, la vendita di asset – generalmente di asset collegati a una particolare moneta – può innescare una spirale negativa nel mercato dei cambi: è il caso della Thailandia e degli altri Paesi del Sud-est asiatico che si sono visti investire da una currency crisis prima e da una crisi economica dopo, in seguito alla vendita di molte posizioni da parte del fondo di Soros.
  • Il prezzo delle materie prime è di fondamentale importanza per la crescita economica mondiale. Il quasi monopolio cinese dei metalli rari, fondamentali per lo sviluppo di cutting edge technologies, dà al Paese una formidabile arma nella corsa allo sviluppo tecnologico. Il prezzo del petrolio, ai suoi minimi da anni, è al centro di un simile dibattito: che sia per mandare in bancarotta i competitor del fracking, recuperare quote di mercato o favorire una crisi in Russia, i suoi effetti sono stati devastanti per molti.

Gli strumenti qui descritti non possono essere catalogati come puramente di guerra economica, ma ci danno un’idea precisa di come la fluidità del concetto consenta agli Stati una certa flessibilità nell’applicazione di misure economiche volte a indebolire i propri avversari.

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Fig. 2 – Gli strumenti economici permettono oggi di raggiungere obiettivi politici che prima richiedevano l’uso diretto della forza. Con i pro e i contro del caso

EFFETTI IMPREVISTI – Tra gli effetti di una guerra economica bisogna considerare gli esiti della stessa sul sistema economico mondiale. Mentre sul breve termine è facile prevedere una sofferenza dell’economia target, sul medio e lungo termine un sistema di compensazione economico si svilupperà naturalmente, associando nel conflitto Paesi partner e non. Il network effect delle sanzioni è una vera è propria wild card nella strutturazione delle sanzioni, in quanto è possibile creare opportunità per Paesi terzi avversari all’interno di altre economie di ben difficile previsione.

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RISCHI

  • Le economie che applicano le sanzioni subiranno anch’esse degli effetti negativi sulle loro economie. Il caso delle sanzioni sulla Russia che colpiscono anche l’export italiano ne è un noto esempio.
  • Grandi economie soffrono di meno in base a come le sanzioni vengono articolate.
  • La definizione di economic warfare è altamente flessibile e rischia di aggravare una situazione portando ad un conflitto armato.

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VARIABILI

  • L’efficacia dell’economic warfare dipende in maniera proporzionale dall’ordine di grandezza della campagna.
  • Il modo in cui vengono disegnate le sanzioni è oggetto di dibattiti in quanto le stesse si sono spesso mostrate inefficaci e facilmente aggirabili.
  • Gli effetti sono direttamente correlati ai rapporti tra i due Paesi, così come declinato dal gravity model of trade. Se i due Paesi non hanno rapporti di tipo economico o sono di piccole dimensioni, gli effetti dell’economic warfare saranno quasi inutili.

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Federico G. Barbuto

 

Foto: pakreece kennedy

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Federico G. Barbuto
Federico G. Barbuto

Laureato in Scienze Politiche alla LUISS di Roma, dove ho anche conseguito un MA in International Relations, mi sono trasferito in Cina nel 2012 dove ho ottenuto un MA in Economics presso la Renmin University of China. Dopo aver lavorato in una compagnia di investimenti mi sono trasferito prima in Colombia e poi in Belgio, dove lavoro nel mondo dell’UE.

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