Dopo aver perso centralità nella politica estera turca nella seconda metà degli anni novanta, l’Asia Centrale è tornata ad essere una priorità per Ankara, soprattutto alla luce del tentativo dell’Akp di rinsaldare quei legami economici, politici e culturali con le Repubbliche turcofone dell’area, puntando sul miglioramento delle relazioni con le due principali potenze regionali, Russia e Cina.
EVOLUZIONE STORICA – Ideologia e religione hanno avuto un ruolo fondamentale nel determinare l’importanza strategica dell’Asia Centrale per la Turchia. Basti pensare che già nella seconda metà del XIX secolo si assistette alla formazione del panturchismo, un movimento politico e ideologico nazionalista mirante alla costruzione di un’unità culturale e politica fra i diversi popoli di lingua turca, dall’Anatolia fino all’Asia Centrale e Orientale.
Dopo lo smembramento dell’Impero Ottomano al termine della Grande guerra, si arrivò a proporre la rinascita di un impero turco-musulmano su basi ideologiche moderne. Addirittura, il panturchismo venne sfruttato dai servizi segreti americani in chiave antisovietica negli anni ’70, quando gli Usa posero in atto la loro strategia islamica per distruggere dall’interno il rivale comunista, incoraggiando sistematicamente l’arma dell’identità turco-islamica nelle tre Repubbliche musulmane più influenti: Turkmenistan, Azerbaigian e Uzbekistan.
Scomparso il panturchismo politico con la fine della Guerra fredda, rimase comunque un sentimento di affinità tra le diverse popolazioni turcofone della regione, culminato con la creazione nel 1994 del gruppo “T6”. Turchia, Kirghizistan, Kazakistan e le tre Repubbliche musulmane precedentemente citate iniziarono a cooperare al fine di realizzare la costruzione di oleodotti e gasdotti che avrebbero condotto il gas naturale e il petrolio turkmeno verso l’Europa e il Mediterraneo, attraverso la Turchia. Tale strategia era volta a ridimensionare l’egemonia della Russia nella regione ed evitare che Mosca potesse gestire le riserve petrolifere delle Repubbliche musulmane. In sostanza, il successo di tale progetto avrebbe permesso alla Turchia sia di rafforzare il suo ruolo di partner strategico all’interno dell’alleanza atlantica, sia di proiettare ancora più in profondità i suoi interessi nazionali in un ambiente regionale in rapido mutamento.
Tuttavia l’idea di creare un’area di influenza turca in Asia Centrale fu valutata come eccessivamente ambiziosa. Innanzitutto sarebbe stato necessario avviare una politica proattiva estremamente dispendiosa, in un vasto e impervio territorio che si estendeva fino ai confini della Cina. Secondariamente, ci si rese conto che sarebbe stato impossibile competere da un punto di vista energetico ed economico con la Russia, dal momento che Mosca considerava l’Asia Centrale come area di sua naturale espansione.
Infine, la stessa Cina vedeva con preoccupazione l’emergere di movimenti separatisti nella regione dello Xinjiang, al confine orientale con il Turkmenistan. Di conseguenza, la decisione della Cina e della Russia di rafforzare la loro partnership commerciale con le Repubbliche dell’Asia Centrale, a partire dal 1996 attraverso una serie di accordi commerciali bilaterali e multilaterali, permise a queste due potenze di rafforzare la loro influenza nella regione, ridimensionando notevolmente, allo stesso tempo, le ambizioni turche. Da qui, la decisione di Ankara di intraprendere una politica decisamente più pragmatica in Asia Centrale.
LE SCELTE DELL’AKP – Affermatosi nel 2002, l’Akp decise inizialmente di ridimensionare il ruolo strategico della Turchia in Asia Centrale, a favore di un coinvolgimento più attivo nel Caucaso. Alla base di questa decisione vi era la convinzione che Ankara dovesse ricoprire un ruolo di prim’ordine nelle aree poste immediatamente ai suoi confini, basandosi sugli storici legami culturali con quei paesi. Per questo motivo, da quel momento la politica estera turca in Asia Centrale si sarebbe basata su due pilastri: da un lato una serie di investimenti culturali, finalizzati a non marginalizzare totalmente le affinità religiose ed etniche con le Repubbliche musulmane dell’Asia Centrale. Dall’altro il consolidamento di relazioni cooperative, anziché competitive, nel settore economico ed energetico con le due potenze regionali, Cina e Russia, sia a livello bilaterale che multilaterale. Queste sono culminate con il riconoscimento ad Ankara dello status di “interlocutore regionale” nel 2013 all’interno della Shanghai Cooperation Organization (SCO).
Sorprendentemente, dopo l’elezione di Abdullah Gül alla Presidenza della Repubblica nel 2007, l’Akp decise di rilanciare il ruolo strategico dell’Asia Centrale all’interno della politica estera turca con l’istituzione dell’Assemblea Parlamentare dei Paesi Turcofoni (TÜRKPA) nel 2008. Essa era ed è finalizzata a promuovere il dialogo politico e la cooperazione socio-economica, culturale e umanitaria tra i paesi membri, ovvero tra Turchia, Azerbaigian Kazakistan e Kirghizistan e in tale limitato ambito si è rivelata vincente.
Tuttavia si può affermare che il tentativo di Ankara di creare una sua peculiare sfera di influenza in Asia Centrale puntando sulle affinità etniche e linguistiche tra i Paesi della regione è definitivamente venuto meno. Questa visione ha lasciato il posto a un approccio decisamente più pragmatico, volto a permettere alla Turchia di ricoprire un ruolo decisivo nel promuovere la stabilità regionale e nel favorire il dialogo e la cooperazione tra i paesi dell’Asia Centrale.
PROSPETTIVE FUTURE – Un aspetto che potrebbe ulteriormente contribuire a rilanciare il ruolo strategico della Turchia in Asia Centrale è l’imminente ritiro della missione ISAF dall’Afghanistan, cosa che lascerebbe Ankara come unico attore NATO attivo accanto a tale regione. A questo proposito potrebbe risultare utile una sua mediazione tra le esigenze atlantiche e quelle della Shanghai Cooperation Organization, in ottica di stabilizzazione dell’area.
Ad ogni modo, il principale obiettivo della Turchia in Asia Centrale deve essere il mantenimento del perfetto equilibrio tra le due strategie adottate per rilanciare il suo ruolo nella regione: ricercare un continuo dialogo con le Repubbliche musulmane attraverso un panturchismo decisamente piĂą blando e rafforzare la propria partnership economica, commerciale ed energetica con la Russia e la Cina. Il venire meno di una di queste condizioni genererebbe una forte instabilitĂ nella regione, con il rischio di compromettere i buoni risultati finora ottenuti.
Mattia Bovi