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Un regno in bilico

Un anno e mezzo dopo l'ottimismo iniziale per le Primavere Arabe, il Medio Oriente è ancora in subbuglio. Come altri Paesi della regione, anche la Giordania è attraversata da numerose tensioni e proteste. Proprio la grave crisi economica e politica mina da oltre un anno la stabilità del regno hashemita e nonostante alcuni interventi legislativi del governo queste misure sono state considerate insoddisfacenti per fermare le proteste. Così il regno di Abdallah II si trova a vivere una nuova e dura stagione politica tra esigenze di cambiamento e necessità di conservazione dello status quo

CRISI POLITICA ED ECONOMICA – Negli ultimi dodici mesi si sono avvicendati al governo ben tre governi prima dell'attuale retto da poco meno di un mese da Fayez Tarawneh. Tutti i precedenti Premier sono stati dimissionati dal Re, come consuetudine politica giordana, ufficialmente per incapacità nel portare a termine le riforme utili al Paese, molto più verosimilmente, invece, le dimissioni sono nate per i contrasti sorti tra il sovrano hashemita e l'esecutivo circa l’agenda politica che si sarebbe dovuto intraprendere.

Samir Rifai, Marouf al-Bakhit e Awn Khasawneh sono tutte personalità molto importanti del Paese e tutte incaricate dal Re in persona di guidare il Paese verso processi di riforme costituzionali in senso più democratico. Sotto la spinta popolare, il sovrano aveva incaricato i precedenti Primo Ministro di redigere una nuova legge elettorale basata sulla rappresentanza proporzionale in modo da devolvere più poteri al Parlamento e limitare così il ruolo delle agenzie di sicurezza, come il General Intelligence Department (GID), nella vita pubblica del Paese. Altra riforma ritenuta urgente è l'istituzione di un sistema multipartitico effettivo che faciliti l'accesso alle opposizioni di sinistra e islamiche, come l'Islamic Action Front (IAF), braccio politico dei Fratelli Musulmani giordani. 

Ma la crisi politica giordana è figlia sia di alcune scelte sbagliate in termini di politica economica, sia dalla quasi totale assenza di materie prime – principalmente acqua e idrocarburi – che hanno prodotto una dipendenza economica dagli aiuti esterni (soprattutto finanziamenti sauditi e statunitensi) e dalle risorse energetiche dai Paesi vicini (Egitto e Israele). Infatti, una delle cause principali delle proteste di questi mesi è proprio il forte incremento dei prezzi dell'elettricità (+150% nell'ultimo anno) ed, in generale, dell'aumento dei costi di importazione del gas (+25%).

Nonostante le proteste di questi mesi e a differenza di quanto accaduto nei Paesi vicini, la monarchia hashemita continua a godere di una forte approvazione popolare e nessuna forza di opposizione, neanche quelle islamiche, ha mai preteso un cambio di regime costituzionale.

UN PAESE RELATIVAMENTE POVERO – Come altri Paesi dell'area, Amman sta subendo sia i contraccolpi della crisi economica globale, sia i riflessi delle Primavere Arabe. Secondo i dati OCSE, l'economia giordana è tra le più piccole e povere del Medio Oriente. Amman, come segnala il Fondo Monetario Internazionale, mostra degli indicatori macro-economici piuttosto contrastanti: infatti, se prima della crisi il Paese godeva di una forte crescita del PIL (di media +5% l'anno), oggi, invece, ha un PIL, sempre positivo, ma che cresce della metà rispetto a 4 anni fa (2,5% per il 2011). Altri dati positivi sono quelli relativi al debito estero, in costante discesa (oggi pari ad oltre 5 miliardi di dollari), e la capacità di incrementare gli investimenti diretti esteri soprattutto dalla regione del Golfo (Arabia Saudita e Qatar, in particolare).

Ma a preoccupare il governo sono i dati relativi all'alta inflazione (6,4%), l'altissima disoccupazione (i dati ufficiali del governo rilevano il 13%, ma secondo FMI e Banca Mondiale sarebbero più veritiere la stime del 30%) – in particolar modo quella giovanile (circa il 70%) –, la diminuzione delle riserve internazionali (secondo la Banca Centrala di Giordania, nel solo primo quadrimestre del 2012, le riserve estere sono diminuite di circa il -16,5%), l'aumento del deficit di bilancio (circa il 10% del PIL), l'incremento della soglia di povertà della popolazione (circa il 14%) ed, infine, l'elevato numero di rifugiati e profughi (più del 7% della popolazione secondo l'UNHCR), provenienti da Territori Occupati Palestinesi, Iraq e Siria.

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IL PROBLEMA ENERGETICO – Uno dei principali problemi della Giordania rimane la mancanza di materie prime che costringono il Paese a dover importare circa il 96% del suo fabbisogno energetico nazionale. Proprio la continua richiesta di energia ha fatto prevedere al Dipartimento di Statistica giordana  un raddoppiamento degli attuali consumi energetici nazionali da qui al 2020.

Così a fronte dell'incremento della domanda di energia e della riduzione delle importazioni di gas egiziano, il governo ha deciso di investire massicciamente in vari progetti infrastrutturali che possano ridurre la totale dipendenza dall'estero. Amman, infatti, ha recentemente ricevuto un prestito dagli Stati Uniti (100 milioni di dollari) per la costruzione di una centrale solare nel deserto che sarà in grado di generare circa 60mila tonnellate di carburante annuo e capace, dunque, di soddisfare una buona parte dei consumi interni.

Altri progetti in corso di valutazione del governo sono la costruzione di un rigassificatore di gnl (gas naturale liquido) al largo del porto di Aqaba sul Mar Rosso – il quale dovrebbe divenire attivo nel 2014 – e lo sviluppo di un programma nucleare civile nazionale. Il primo obiettivo sarebbe il punto finale di un possibile accordo di fornitura di gas con Israele, il quale dopo le recenti scoperte nel Mediterraneo Orientale potrebbe divenire nel prossimo futuro un importante player energetico. Lo sviluppo di un programma nucleare civile dipende, invece, dall'aiuto che l'Arabia Saudita – già primo partner commerciale del Paese – saprà dare alla monarchia hashemita senza incorrere in possibili resistenze di altri partner locali e senza correre il rischio di rompere i sempre delicati equilibri regionali.

Il problema principale per portare a termine questi dispendiosi progetti, però, risiede nella capacità del governo giordano di reperire i fondi necessari, soprattutto all'estero, per la costruzione di queste infrastrutture strategiche.

IL FUTURO INCERTO DEL PAESE – Grave crisi economica, deficit energetico, povertà dilagante e probabile chiusura di ogni prospettiva riformatrice. Questi sono solo alcuni dei principali punti chiave che il governo di Amman dovrà affrontare nei prossimi mesi e ai quali la monarchia hashemita sembra aver già risposto trovando come unica soluzione il rinvio sine die di qualsiasi tentativo di apertura democratica. Ma in un momento così difficile e delicato per il Paese tanto a livello interno, quanto sul fronte regionale, non è improbabile che la situazione possa degenerare se non verranno attuate quelle misure minime utili ad una ripresa della società e dello Stato giordano.

Giuseppe Dentice

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