Analisi – Sulla questione che ha coinvolto il Regno hashemita nella trama ordita a corte, la discussione si è sviluppata in modo confusionario e ha visto diffondersi diversi rumors. Quello che sappiamo per certo è molto poco e dunque cercheremo di esporre con ordine i fatti che conosciamo dalle ipotesi piĂą o meno plausibili, alle risposte della popolazione giordana nel merito.
COSA SAPPIAMO DEGLI INTRIGHI A PALAZZO: LA VERSIONE UFFICIALE
Il 3 aprile 2021 un’operazione congiunta tra Forze Armate e intelligence giordane ha portato all’arresto di circa 18 persone accusate di aver preso parte a un piano di destabilizzazione della Monarchia. Tra gli arrestati anche persone molto vicine a Re Abdallah, tra cui l’ex ministro della Finanza, ex capo della corte reale e direttore dell’Ufficio del Re, Bassem Ibrahim Awadallah, il capo dell’Ufficio del Re, Yasser Suleiman al-Majali, e il fratello dell’attuale Re e ex erede al trono, Hamzeh bin Hussein. Secondo quanto riportato dal Los Angeles Times gli arresti costituirebbero il risultato di un’operazione di sorveglianza durata circa un anno da parte dell’esercito, della polizia e dei servizi segreti. L’operazione avrebbe dunque avuto luogo appena prima del caos con l’obiettivo di prevenire la strumentalizzazione da parte del Principe Hamzeh del disordine per sostituirsi al fratello. La ricostruzione dei fatti resta se non impossibile quantomeno difficile, visto che la crisi sarebbe rientrata dopo 48 ore dall’inizio degli arresti attraverso una lettera che il Principe avrebbe scritto e firmato, sotto consiglio dello zio Hassan, riconfermando la fedeltĂ al Re e alla Patria, anteponendo la sicurezza e la stabilitĂ della Giordania. Il dossier è stato inoltre silenziato onde evitare altre questioni da un’ordinanza restrittiva vietante la pubblicazione di qualsiasi notizia nel merito delle vicende che coinvolgevano il Principe Hamzeh et similia, nel tentativo di mantenere la riservatezza delle indagini svolte dagli apparati di sicurezza, e garantendo successivamente che i risultati sarebbero stati comunicati con chiarezza e trasparenza alla popolazione. Â
La questione risulta necessariamente più insidiosa: si è parlato indebitamente di “colpo di Stato”, a partire da testate straniere come il Washington Post, quando non ci sono prove ufficiali nel merito, ovvero non è noto con certezza se le trame a Palazzo avessero davvero le intenzioni di sovvertire l’ordine costituito e mettere in discussione la sovranità di Re Abdallah. Inoltre il Governo non ha fornito alcuna prova di un complotto. Tuttavia un’importante tribù giordana sostiene di essere stata oggetto primario della mossa delle Autorità . Quello che possiamo dire con certezza è che ci sono stati dei contrasti in merito all’attuale gestione della governance del Paese che hanno creato attriti, in una Giordania dalla popolazione frammentata.
Fig. 1 – Alcune donne camminano vicino a un poster del Re Abdullah II nelle strade della capitale Amman, nei giorni della crisi della casa reale, 6 aprile 2021
INTERFERENZE ESTERNE?
In una dichiarazione ai giornalisti Ayman Safadi, il vice Primo Ministro giordano, ha riportato che Bassem Awadallah stava per lasciare il Paese quando fu arrestato e che una controparte straniera si era offerta di inviare un aereo speciale per portare la famiglia del principe Hamzah fuori dalla Giordania. L’uomo al quale Safadi si riferisce sarebbe stato identificato nella persona di Roy Shaposhnik, definito un ex-agente del Mossad – informazione rinnegata dallo stesso Shaposhnik. Tuttavia nel parlare di attori esterni Safadi non ha mai rivelato le specifiche riguardo alla natura degli stessi, che fossero soggetti singoli, Stati o gruppi. Sono stati spesso menzionati potenziali interventi da parte di Israele e Arabia Saudita, con i quali la Giordania ha dei rapporti stabili, ma non per questo poco problematici. Con Israele, infatti, la relazione resta spinosa nel merito della questione israelo-palestinese, incancrenita dagli sviluppi degli ultimi anni: la volontĂ di scaricare ciò che resta della Cisgiordania con gli Accordi del Secolo patrocinati da Trump, e l’allungamento dell’asse di Tel Aviv col Golfo tramite gli Accordi di Abramo ha visto, tra varie questioni, l’inasprimento dei rapporti. Gli Accordi riflettono uno sminuimento nel Regno a livello di importanza nello scacchiere regionale, oltre che coinvolgere cruciali argomenti interni all’identitĂ giordana. Non ultimo hanno sollevato degli attriti sulla questione della custodia dei luoghi sacri dell’Islam e della cristianitĂ in Palestina, che restano sotto Amman, ma che avevano visto gli interessi di Riyad emergere. Inoltre l’Arabia Saudita e il Golfo in generale si mantengono tra i maggiori donors di aiuti economici al Regno hashemita, che ultimamente sono stati meno generosi di quanto Amman non si aspettasse.
Queste frizioni sul piano di rapporti bilaterali non possono comunque permettere di trarre delle considerazioni di grosso rilievo in merito alla trama di inizio aprile. Infatti la Giordania – che ricordiamo confina con Israele, Arabia Saudita, Iraq e Siria – è necessario resti stabile, dato il già drammatico teatro mediorientale tristemente ricco di conflitti logoranti, ulteriormente deteriorato dalla pandemia.
Fig. 2 – Il Re giordano Abdullah II, il Principe Prince Hamzah bin Hussein ed il Principe Prince Hassan bin Talal visitano il mausoleo della casa reale hashemita nel giorno del centesimo anniversario della fondazione della Giordania. Amman, 11 aprile 2021
UNA CLASSE DIRIGENTE IN CRISI?
La maggior parte della popolazione giordana è rimasta scioccata dalle modalitĂ con cui gli arresti sono avvenuti. Il disappunto muove anche dal fatto che molte delle persone coinvolte appartengono alle influenti “tribĂą dell’East Bank” che sostengono Hamzeh, considerate le tribĂą indigene della Giordania, a differenza dei giordani di origine palestinese.
I disordini a Palazzo inoltre sono da inquadrare in una situazione di insofferenza esacerbata dalla pandemia. I giordani, ormai da anni, sono sempre piĂą distaccati dalle loro Istituzioni, disincantati dalla politica e delusi dalla classe dirigente nella quale non ripongono fiducia. La percezione della corruzione e l’alienazione rispetto alla partecipazione politica hanno contribuito ai disordini durante gli scorsi mesi. Infatti a fine marzo a seguito della morte di una decina di persone a causa di mancanza di ossigeno nelle strutture mediche di al-Salt (30 chilometri a nord-ovest di Amman) sono esplose le proteste dovute al malcontento che i giordani hanno accumulato su piĂą fronti durante la pandemia: dal poco sostegno fornito nel merito della preoccupantissima situazione economica alla mala gestione nella campagna vaccinale e nelle forniture mediche negli ospedali.
Nonostante non ci sia chiarezza sugli avvenimenti a palazzo, ciò che è accaduto in Giordania testimonia due tendenze che la leadership interna dovrebbe affrettarsi ad affrontare: la crescente corruzione e il consequenziale senso di ingiustizia avvertito dai giordani, e le critiche sempre più pronunciate sul ruolo che tale leadership svolge nel trascurare la corruzione e nel mettere a tacere le richieste di riforma. Il Governo giordano, apertamente rappresentato dalle sue agenzie di intelligence e sicurezza piuttosto che dalla Monarchia stessa, invece ha scelto di soffocare tale dissenso vietando le proteste, inasprendo le leggi sul cybercrime, e limitando il sindacato degli insegnanti, storicamente uno dei più attivi del Paese.
Da sempre le proteste risultano una costante nel Regno che viene addirittura strumentalizzata dall’establishment come tool di pressione quando i donors non soddisfano le aspettative delle casse reali. I giordani sono scesi in piazza in piĂą occasioni chiedendo l’avvio di un processo di democratizzazione piĂą consistente che porti a un’accountability della classe dirigente rispetto alle proprie azioni e che si faccia garante delle richieste dei cittadini, pervasi da un senso schiacciante di frustrazione e disperazione.Â
Giulia Macario
Immagine di copertina: “Amman Outlook” by Mahmood Al-Doori is licensed under CC BY