In 3 sorsi – Le elezioni parlamentari in Giordania non hanno portato particolari cambiamenti agli equilibri politici del Paese. Emergenza Covid-19 e disaffezione nei confronti del sistema politico hanno ridotto l’affluenza al 29,9%. Il nuovo Parlamento si rtroverà in ogni caso ad affrontare una crisi economica senza precedenti.
1. POCHE ASPETTATIVE, POCHI ELETTORI
Martedì 10 novembre i giordani si sono recati alle urne in occasione delle elezioni parlamentari, le prime nel mondo arabo in tempi di pandemia. Come previsto dagli analisti, il voto del 10 novembre non ha comportato cambiamenti di sorta negli equilibri di potere del Parlamento giordano, con solo un lieve calo della rappresentanza femminile nella Camera e del Fronte di Azione Islamica, partito legato alla Fratellanza Musulmana, che dopo un boicottaggio annullato non supera gli otto seggi (su 130). Il dato più rilevante tuttavia è stato certamente quello della scarsa affluenza. Infatti dei circa 4,5 milioni di elettori registrati, su una popolazione di 10 milioni di abitanti, solo il 29,9% si è presentato alle urne, in diminuzione rispetto al 36% registrato nelle passate elezioni del 2016. Una delle ragioni principali della scarsa afflluenza va certamente individuata nella diffusione della Covid-19. La seconda ondata ha infatti portato il numero totale dei casi a oltre 120mila e dei morti accertati a 1.386 la settimana scorsa. Ciononostante il fattore più determinante nella scelta dei giordani di restare a casa rimane la calante fiducia nei confronti del sistema parlamentare. Il trend era già stato rilevato in un sondaggio condotto ad aprile in cui solo il 33% dei rispondenti dichiarava di avere qualche fiducia nel Parlamento, una panoramica poi confermata da altri sondaggi sulle intenzioni di voto.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Un’elettrice inserisce la scheda elettorale per le elezioni parlamentari in un seggio di Amman, 10 novembre 2020
2. IL SISTEMA POLITICO GIORDANO
Le radici dell’avversione dei giordani verso il Parlamento vanno certamente ricercate nel sistema costituzionale del Paese. La Giordania non è una democrazia parlamentare, bensì una monarchia costituzionale in cui il re Abdullah II mantiene il controllo ultimo sulle decisioni del Governo, di sua nomina, e concede solo alcuni ambiti alla legislazione del Parlamento. Quest’ultimo poi si divide in due Camere: una Camera bassa composta da 130 membri e oggetto delle recenti elezioni, e una Camera alta con esponenti nominati dal Re. Alle limitate capacità dell’unica camera elettiva si aggiunge un sistema elettorale profondamente contestato. Emanata dal sovrano nel 2016, la legge elettorale vigente prevede un sistema proporzionale di lista nei vari distretti elettorali del Paese, i quali tuttavia, come denuncia l’opposizione, sono stati ridisegnati in modo da frammentare i partiti e favorire le tribù residenti principalmente nelle zone rurali dell’Est. Pertanto non deve stupire se nelle elezioni di martedì scorso un numero record di 47 partiti ha presentato dei candidati, ma solo il 16% degli eletti proviene da essi, mentre la maggior parte degli indipendenti è costituita da rappresentanti delle tribù, ferventi sostenitori della monarchia hashemita. Per meglio comprendere la predilezione per le tribù va ricordato che da esse deriva la monarchia e che fin dalla creazione dello Stato queste si confrontano (e scontrano) con l’ormai 60% della popolazione giordana di origini palestinesi. Attorno all’equilibrio tra questi due gruppi ruota la politica del Paese.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – I fratelli del Re Abdullah II presenziano un pranzo organizzato per i leader delle tribù beduine della Giordania, 26 maggio 2004
3. PROSPETTIVE NON ROSEE PER AMMAN
Al di là delle dubbie credenziali democratiche del sistema giordano, il Paese ora si ritrova ad affrontare una crisi di portata eccezionale per le sue capacità. La Covid-19 e il relativo lockdown hanno messo in ginocchio il turismo, uno dei settori portanti dell’economia giordana, e hanno sicuramente avuto un profondo impatto sull’economia informale da cui dipendono gli strati più deboli della popolazione. Di conseguenza l’economia giordana si ritrova con un tasso di disoccupazione del 23%, un aumento di undici punti della povertà e un debito schizzato al 107% del PIL. La drammatica situazione economica richiederà un supporto finanziario esterno maggiore del solito, ma tale necessità si scontrerà necessariamente con le restrizioni economiche legate alla Covid-19, alle quali anche i principali sponsor della monarchia hashemita (Stati Uniti e Arabia Saudita) dovranno far fronte. Ciò s’inserisce in uno scenario internazionale in cui la Giordania non è più il principale interlocutore arabo con Israele per via della firma degli Accordi di Abramo e una presenza ingente di rifugiati siriani che con ogni probabilità rimarrà nel Paese molto a lungo.
Corrado Cok
Immagine di copertina: Photo by dimitrisvetsikas1969 is licensed under CC BY-NC-SA