In 3 sorsi – L’emergenza profughi conferma l’acuirsi della perdurante crisi siriana in uno scenario confuso, in cui l’unica certezza è il rischio di poter incorrere in una morte certa o, in alternativa, la fuga. L’inadeguatezza di particolari misure dinnanzi a simili circostanze costringe Paesi come l’Australia a riflettere sulle proprie politiche migratorie.
1. LO SCACCHIERE SIRIANO – Le atrocità e i massacri che incessantemente coinvolgono innumerevoli civili in Siria sembrano porre serie difficoltà a una comunità internazionale per certi versi ancora impreparata nel gestire l’imponente flusso di profughi proveniente dal Paese mediorientale. Se da un lato l’acceso dibattito circa l’appoggio al regime di Bashar al-Assad, ad esempio, alimenta l’idea di un fronte internazionale incapace di dare risposte adeguate alla crisi – come denunciato da Papa Francesco -, dall’altro il protrarsi delle violenze obbliga milioni di profughi ad abbandonare le proprie terre e intraprendere un viaggio che spesso si conclude in maniera estremamente drammatica. Oggigiorno il teatro siriano, oltre ad ospitare una molteplicità di attori, non lascia prefigurare alcun tipo di coordinamento. L’offensiva Putin-Assad procede nel colpire tutti i gruppi di opposizione al regime, mentre i ribelli non necessariamente appartengono al sedicente Stato Islamico e sono riforniti dagli statunitensi. Nel frattempo Teheran invia le proprie Forze armate ad Aleppo, città a Nord-Ovest della Siria, dove si rileva un’incisiva presenza di insorti e militanti di Daesh per impedire la definitiva caduta della città nelle mani di uno o dell’altro gruppo dello schieramento anti-Assad. Il coinvolgimento australiano a riguardo è stato sin dall’inizio lineare e ben definito. Il Paese, su richiesta di aiuto del Governo Abadi, interviene principalmente in Iraq contribuendo al rafforzamento delle forze di sicurezza irachene e partecipando ai raid aerei che mirano alle basi di Daesh. Di recente le operazioni sono state estese oltre il confine della Siria (punto di partenza di diversi attacchi diretti all’Iraq), ma in maniera limitata e nel pieno rispetto delle disposizioni sancite dall’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite – principio di legittima difesa individuale e collettiva.
Fig. 1 – Siriani in fuga dalla guerra sbarcano in Grecia
2. GLI ACCORDI INTERNAZIONALI IN MATERIA DI RIFUGIATI – La tragica situazione umanitaria agisce da forza centrifuga sul flusso di civili. Si consideri che non è da escludere la possibile mescolanza di migranti per cause di varia natura. A tal proposito, la normativa internazionale è inquadrata nell’ambito della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e del Protocollo del 31 gennaio 1967, entrambi ratificati da più di 140 Stati. Generalmente viene attuata una distinzione fra richiedenti asilo e coloro che godono a tutti gli effetti dello status di rifugiati. Ai sensi dell’art. 1 della Convenzione, è considerato rifugiato politico la persona che «temendo con ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori dal Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, per tale timore, richiedere la protezione di questo Paese». Il richiedente asilo, invece, può ottenere lo status di rifugiato solo dopo l’accoglimento di un’apposita domanda, esaminata in via definitiva dal sistema nazionale ricevente. È importante valutare, in base a procedure ben precise, quali soggetti effettivamente abbiano diritto a una protezione internazionale. Tuttavia nella prassi, in caso di conflitti e violenza generalizzata sfumano i limiti delle due definizioni e diventa complicato determinare individualmente a chi riconoscere lo status di rifugiato: in circostanze emergenziali sono particolarmente evidenti i motivi che stanno alla base dei grandi spostamenti di massa, e si tende pertanto a considerare prima facie i membri di tali gruppi come rifugiati.
Fig. 2 – In occasione della veglia in ricordo di Aylan Kurdi, il bambino siriano deceduto al largo delle coste turche nelle scorse settimane, migliaia di australiani hanno protestato contro la politica sui rifugiati del loro Governo.
3. “NO WAY?” – Pur rispettando i vincoli derivanti dalle norme internazionali, l’Australia è nota per la rigidità che caratterizza l’applicazione delle politiche migratorie. Alcune particolari disposizioni hanno contribuito a creare attorno al Paese un’aura di particolare severità, così come l’inquietante campagna “No Way. You will Not Make Australia Home” lanciata in passato per scoraggiare l’immigrazione. Respingere le imbarcazioni in altre acque territoriali rappresenta una delle misure adottate. Questa, però, comporta automaticamente la negazione ai richiedenti asilo dell’opportunità di far esaminare la propria richiesta e godere, in caso di accoglimento, della protezione internazionale cui hanno diritto i rifugiati. In aggiunta, sono affiorate delle polemiche in merito alle condizioni dei centri di detenzione – voci che richiamano la preoccupazione avanzata pochi anni fa da Julia Gillard, ex Primo ministro australiano – con particolare attenzione rivolta ai minori. Luoghi di raccolta sono dislocati in territorio australiano, in Papua Nuova Guinea e Nauru, per citarne alcuni, ove gli immigrati vengono trasferiti in attesa dell’istruttoria della propria domanda. Tuttavia risvolti positivi emergono dalle ultime decisioni di accogliere più di diecimila rifugiati provenienti dal Medio Oriente. A riprova della comprensione della gravità della crisi e la violenza di cui è vittima un numero sempre crescente di civili, si discute molto circa l’idea di rivedere le politiche sui richiedenti asilo e renderle meno conservative.
Fig. 3 – Un centro di detenzione australiano per immigrati illegali e richiedenti asilo in Papua Nuova Guinea.
Federica Daphne Ierace
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Un chicco in più
“No Way. You will Not Make Australia Home” è la campagna lanciata lo scorso anno in Australia. La durezza del messaggio, tradotto in più di dieci lingue, poggia su un “invito” rivolto ai migranti a diffidare dai trafficanti e di “non credere alle loro menzogne”, in quanto trattasi di gente senza scrupoli intenzionata ad arricchirsi mettendo a rischio la vita degli stessi migranti.[/box]
Foto: John Englart (Takver)