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La cooperazione militare Cina-Thailandia

Miscela strategica – Negli ultimi anni la tradizionale alleanza militare tra Stati Uniti e Thailandia sembra essere entrata in una crisi profonda sia per significative divergenze strategiche tra i due Paesi che per i drammatici contraccolpi del golpe thailandese del maggio 2014

Ad approfittare della situazione è stata la Cina, che ha rafforzato la sua posizione di partner militare di Bangkok a livello regionale, ottenendo numerose commesse belliche e organizzando importanti esercitazioni congiunte con le Forze Armate thailandesi. Tuttavia il Governo autoritario del generale Prayut Chan-o-Cha sta cercando di non diventare troppo dipendente da Pechino in ambito sicurezza, tenendo sempre d’occhio i dinamici e mutevoli equilibri geopolitici del Sud-est asiatico.

UNA FORZA RILEVANTE – Il 18 gennaio scorso le Reali Forze Armate Thailandesi (RTAF) hanno celebrato in pompa magna il giorno della loro festa nazionale, istituito ufficialmente per commemorare la spettacolare vittoria del re Naresuan il Grande sugli invasori birmani nel 1592. Fondate a metĂ  Ottocento per resistere alle pressioni coloniali europee, le RTAF costituiscono uno dei pilastri principali del moderno Stato thailandese, sorto dalla “rivoluzione” costituzionale del 1932, e sono guidate formalmente dall’attuale sovrano Bhumibol Adulyadej (meglio conosciuto come Rama IX) sotto la supervisione diretta del Ministero della difesa. Nominalmente garanti della libertĂ  e della stabilitĂ  del Paese, esse hanno però spesso svolto un ruolo poco limpido nella vita politica nazionale, imponendo i propri uomini di fiducia nei dicasteri chiave del Governo oppure assumendo direttamente il controllo dello Stato per lunghi periodi di tempo. E, con un budget annuale corrispondente circa all’1.5% del PIL nazionale (2015), sono anche una forza operativa di tutto rispetto, con interventi recenti come peacekeepers in Iraq, Sudan e Afghanistan.

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Fig. 1 – Soldati thailandesi marciano durante la parata per il Giorno delle Forze Armate, gennaio 2015.

Impegnate costantemente in lunghe operazioni anti-guerriglia a ridosso dei propri confini con Laos e Myanmar, le RTAF godono da oltre sessant’anni di una partnership privilegiata con gli Stati Uniti, che le riforniscono regolarmente di mezzi e sistemi d’arma in cambio dell’usufrutto di diverse basi aeree e navali su territorio thailandese. Questa partnership tra i due Paesi ha conosciuto una significativa accelerazione dopo la guerra del Vietnam, che vide la partecipazione diretta dell’Esercito thailandese a operazioni segrete anti-comuniste in Laos, ed è stata ufficialmente istituzionalizzata nel 1982 con la creazione dell’esercitazione congiunta Cobra Gold, che si svolge ogni anno nel sud della Thailandia e coinvolge migliaia di soldati delle due nazioni. Dopo l’11 settembre 2001 le autorità militari di Bangkok hanno anche fornito assistenza alla “guerra al terrore” degli Stati Uniti in Asia centrale e Medio Oriente, stabilendo anche importanti rapporti di intelligence con Washington per la lotta ai gruppi jihadisti operanti nel Sud-est asiatico. Ma l’alleanza militare tra Stati Uniti e Thailandia è entrata seriamente in crisi negli ultimi anni, mettendo a rischio la strategia dell’Amministrazione Obama in Asia orientale e spingendo i militari thailandesi a cercare nuovi partner per il proprio sviluppo tattico e tecnologico.

[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””]Le Reali Forze Armate Thailandesi (dati aggiornati al 2016)

  • Personale in servizio attivo: 310,000 uomini
  • Personale di riserva: 245,000 uomini
  • Carri armati: 722
  • UnitĂ  aeree: 551
  • UnitĂ  navali: 81
  • Budget annuale: 5,390,000,000 USD

Fonte: www.GlobalFirepower.com [/box]

LA CRISI DELL’ALLEANZA CON WASHINGTON – Molti analisti imputano tale crisi al golpe del maggio 2014 contro il Governo di Yingluck Shinawatra, che ha sospeso la carta costituzionale thailandese e instaurato un duro regime militare guidato dal generale Prayut Chan-o-cha. Washington non ha infatti mandato giĂą la liquidazione del Governo democratico di Shinawatra, sostenuta dalle classi ricche della societĂ  thailandese, e ha imposto pesanti sanzioni politiche e economiche contro il nuovo esecutivo di Bangkok, incluso il congelamento di quasi 5 miliardi di dollari di aiuti militari per le RTAF. Inoltre, il Dipartimento di Stato americano ha declassato la posizione della Thailandia nel suo annuale Human Rights Report, mettendola quasi alla pari con quella della Corea del Nord, e ha criticato apertamente le autoritĂ  thailandesi per le loro politiche migratorie, accusandole di non fare abbastanza per combattere i traffici illegali di esseri umani nel Sud-est asiatico. La reazione della giunta thailandese a queste azioni americane non si è fatta attendere ed è stata particolarmente dura: il Governo di Chan-o-cha ha infatti accusato Washington di indebite interferenze nei propri affari interni e di ipocrisia per i giudizi benevoli espressi verso la vicina Myanmar, a dispetto della sanguinosa persecuzione della minoranza Rohingya da parte della giunta militare birmana. Non stupisce quindi che l’Ambasciata americana a Bangkok, lasciata dall’esperta Kristie Kenney nel novembre 2014, sia rimasta vacante per quasi dieci mesi e che i rapporti tra i due Paesi abbiano conosciuto un significativo “raffreddamento”, con inevitabili conseguenze per la loro decennale partnership militare. Nel 2015 l’esercitazione Cobra Gold è stata quasi cancellata dal Pentagono e si è tenuta solo dopo molte polemiche in versione ridotta, con un contingente americano minimo e operazioni incentrate esclusivamente su compiti umanitari. Inoltre, le consultazioni regolari tra gli alti gradi delle due Forze Armate sono state sospese e la Marina thailandese è stata volutamente esclusa dalla grande esercitazione multinazionale Rim of the Pacific (RIMPAC), organizzata ogni due anni dalla US Pacific Fleet nelle Hawaii. Nei mesi scorsi c’è stata una parziale schiarita, con la conferma di Cobra Gold per il 2016 e il ripristino di esercitazioni congiunte tra la Marina thailandese e quella americana, ma le relazioni restano tese e ben lontane dallo spirito cooperativo del periodo pre-golpe. Non c’è dubbio, quindi, che la principale vittima della violenta deposizione di Yingluck Shinawatra sia proprio l’alleanza militare americano-thailandese, uscita piuttosto malconcia dalla successiva guerra diplomatica tra Washington e Bangkok.

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Fig. 2 – Dimostranti protestano a Bangkok contro il golpe militare che ha rovesciato il Governo Shinawatra, maggio 2014.

E tuttavia sarebbe un errore pensare che la crisi della partnership difensiva tra i due Paesi sia solo frutto dell’ascesa al potere dei militari nella primavera 2014. Essa aveva già mostrato serie difficoltà negli anni precedenti, venendo messa in discussione proprio dal Governo civile di Shinawatra. Nel 2012, per esempio, la visita dell’allora Segretario alla Difesa Leon Panetta venne accolta piuttosto freddamente dalle Autorità thailandesi, che si rifiutarono di prendere impegni vincolanti sui negoziati della Trans-Pacific Partnership (TPP) o di supportare la strategia di contenimento anti-cinese di Washington nel Mar Cinese Meridionale. La verità è che dai primi anni Duemila Thailandia e Stati Uniti hanno sviluppato orientamenti strategici diversi, se non addirittura conflittuali, nel Sud-est asiatico. L’orientamento di Washington è infatti principalmente marittimo e volto al controllo delle principali vie di transito commerciali della regione, mentre quello di Bangkok – al di là di periodiche velleità navali – è tendenzialmente continentale e diretto alla sicurezza dei propri turbolenti confini nazionali, soggetti storicamente a fenomeni di guerriglia endemica e traffici criminali di varia natura. E, in virtù proprio di tali differenti tendenze strategiche, l’atteggiamento dei due Paesi verso la Cina finisce per essere diametralmente opposto: se per Washington l’emergente potenza cinese rappresenta una minaccia da smussare e contenere, a difesa della propria egemonia economica e geopolitica nel Pacifico, per Bangkok essa appare invece come un partner sempre più indispensabile per la propria sicurezza regionale, messa a rischio dalle politiche di riarmo di ambiziosi vicini come il Vietnam e dall’incertezza sul futuro dell’instabile Myanmar. Da qui il profondo scetticismo delle elite politico-militari thailandesi verso il “Pivot to Asia” dell’Amministrazione Obama e la loro decisione di puntare su una maggiore cooperazione difensiva con Pechino, soprattutto dopo la rottura diplomatica con Washington successiva al golpe contro Shinawatra.

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Fig. 3 – Cerimonia d’apertura dell’esercitazione Cobra Gold di quest’anno, tenutasi poche settimane fa nella base aerea di U-Tapao. In primo piano, il generale Sommai Kaotira stringe la mano a Glyn Davies, nuovo Ambasciatore degli USA in Thailandia.

PARTNERSHIP CON LA CINA – Le simpatie militari sino-thailandesi non sono affatto nuove. GiĂ  nei primi anni Ottanta i due Paesi collaborarono attivamente per contenere la presenza vietnamita in Cambogia e Pechino fornì significativi quantitativi d’armi all’Esercito thailandese a prezzi di favore, inclusi carri armati e artiglieria anti-aerea. Dopo la risoluzione della questione cambogiana nel 1989, le strade di Cina e Thailandia presero direzioni diverse e per circa un decennio i loro rapporti difensivi rimasero a un livello meramente superficiale. Con l’ascesa politica di Thaksin Shinawatra nel 2001, però, le cose cominciarono a cambiare e Bangkok firmò rapidamente una serie di importanti accordi militari con la Cina, diventando il primo Paese ASEAN legato significativamente a Pechino nel settore difesa. Nel 2002, per esempio, il Governo thailandese commissionò a Pechino la costruzione di due navi da pattuglia, consegnate regolarmente tre anni dopo, e sempre nello stesso anno ufficiali cinesi furono ammessi per la prima volta come osservatori all’esercitazione Cobra Gold, suscitando non poche perplessitĂ  da parte americana. Nel 2005 le RTAF condussero poi due esercitazioni congiunte con la People’s Liberation Army (PLA), una terrestre e l’altra marittima, rafforzando ulteriormente la crescente partnership militare tra i due Paesi. E il golpe contro Thaksin dell’anno successivo non fermò affatto tale processo, ma al contrario lo accelerò grazie alle misure punitive adottate da Washington nei confronti dei golpisti. Private degli aiuti militari americani, le autoritĂ  di Bangkok si rivolsero infatti direttamente a Pechino per l’ammodernamento del proprio arsenale bellico, ricevendo consistenti agevolazioni finanziarie per l’acquisto di missili anti-nave C-802 poi installati sulle principali fregate della Marina thailandese. Un acquisto confermato successivamente dal Governo democratico di Yingluck Shinawatra, sorella di Thaksin, che incoraggiò ulteriori esercitazioni congiunte con la PLA nel 2007 e nel 2010, svoltesi nell’area di Chiang Mai e nella provincia cinese del Guangdong.

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Fig. 4 – Ufficiali dell’Aviazione cinese partecipano alla conferenza stampa dell’esercitazione Falcon Strike, tenutasi a Korat nel novembre del 2015. Si tratta della prima esercitazione aerea congiunta tra la Cina e un Paese del Sud-est asiatico.

Le recenti decisioni della giunta militare di Chan-o-cha sono quindi in sostanziale continuità con quelle degli Esecutivi precedenti, e confermano il costante riavvicinamento difensivo tra Pechino e Bangkok iniziato nel decennio scorso. Da parte sua, la Cina è stata molto abile nel coltivare i propri rapporti con i golpisti, inviando a Bangkok il ministro della Difesa Chang Wanquan, che ha rassicurato gli alti gradi delle RTAF sulla volontà di Pechino di non interferire negli affari interni locali e di supportare i loro programmi di espansione militare. Ciò ha portato, nel corso del 2015, alla svolgimento dell’importante esercitazione congiunta Falcon Strike, la prima in assoluto tra le Aviazioni dei due Paesi, e alla richiesta di acquisto da parte della Marina thailandese di tre sottomarini classe Yuan S-26T, poi congelata per motivi finanziari. Inoltre, le autorità thailandesi stanno pensando di commissionare ad aziende cinesi i lavori di riqualificazione della base navale di Sattahip, cosa che potrebbe portare a un futuro utilizzo della struttura da parte della People’s Liberation Army-Navy (PLAN). E, in ambito sicurezza, Pechino e Bangkok stanno collaborando sempre più strettamente contro terrorismo e dissenso interno, come testimoniato dal rimpatrio forzato di decine di attivisti uiguri residenti in Thailandia nel luglio scorso.

EQUILIBRI REGIONALI – Per gli Stati Uniti, l’avvicinamento militare di Bangkok alla Cina rappresenta un serio problema poichĂ© mette in discussione, insieme alle ambiguitĂ  di Laos e Vietnam, la propria strategia di contenimento delle ambizioni di Pechino nel Sud-est asiatico. Non a caso Washington ha relativamente ammorbidito negli ultimi mesi la sua posizione verso l’Esecutivo di Chan-o-cha, nella speranza di recuperare un rapporto chiave per il futuro del “Pivot to Asia” obamiano. D’altro canto, il Governo thailandese non sembra voler cercare al momento una vera riconciliazione con gli americani, preferendo puntare le sue carte diplomatiche e militari sul gigante cinese, anche se in maniera non esclusiva. Bangkok vuole infatti evitare di diventare troppo dipendente da Pechino e, in tal senso, sta cercando di sviluppare legami difensivi anche con il Giappone e di acquistare il proprio apparato bellico da Paesi europei come Svezia e Germania. Allo stesso tempo il Governo thailandese guarda anche alla Russia come possibile partner militare e la visita di Dmitry Medvedev a Bangkok della scorsa primavera ha suscitato discussioni commerciali e strategiche molto interessanti, anche se ancora prive di effetti concreti. Cauti e pragmatici, i militari thailandesi stanno quindi giocando su piĂą tavoli, con l’obiettivo di assicurare la continua modernizzazione delle proprie forze e di preservare la posizione centrale del loro Paese negli equilibri geopolitici del Sud-est asiatico.

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Fig. 5 – Caccia cinesi J-10 eseguono alcune manovre combinate sopra Korat durante Falcon Strike, novembre 2015.

[one_half][box type=”warning” align=”” class=”” width=””] RISCHI

  • Dipendenza militare della Thailandia dalla Cina
  • Rafforzamento regime autoritario thailandese
  • Ulteriore deterioramento rapporti Thailandia-USA [/box][/one_half]

[one_half_last][box type=”note” align=”” class=”” width=””] VARIABILI

  • Cambio di regime politico a Bangkok
  • Evoluzione relazioni Washington-Bangkok
  • Evoluzione rapporti tra Paesi ASEAN [/box][/one_half_last]

Simone Pelizza

Foto: #PACOM

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Simone Pelizza
Simone Pelizzahttp://independent.academia.edu/simonepelizza

Piemontese doc, mi sono laureato in Storia all’Università Cattolica di Milano e ho poi proseguito gli studi in Gran Bretagna. Dal 2014 faccio parte de Il Caffè Geopolitico dove mi occupo principalmente di Asia e Russia, aree al centro dei miei interessi da diversi anni.
Nel tempo libero leggo, bevo caffè (ovviamente) e faccio lunghe passeggiate. Sogno di andare in Giappone e spero di realizzare presto tale proposito. Nel frattempo ho avuto modo di conoscere e apprezzare la Cina, che ho visitato negli anni scorsi per lavoro.

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