Continuano gli arresti in Turchia dopo il fallito golpe di quest’estate. Oggi è toccato a 12 parlamentari del partito curdo HDP.
Stamane 12 parlamentari del partito curdo HDP (circa 13% alle ultime elezioni e principale opposizione ad Erdogan) sono stati arrestati, insieme al loro leader Demirtas, con l’accusa di associazione al terrorismo. Inutili, per ora, le proteste internazionali. Successivamente un’autobomba è esplosa nei pressi di una stazione di polizia a Diyarbakir, nel sudest del Paese, probabilmente opera del PKK in risposta agli arresti.
Continua pertanto l’offensiva di Erdogan contro i curdi: l’arresto di Demirtas e i suoi non è solo un messaggio agli oppositori, ma sembra perseguire anche l’obiettivo di eliminare le voci moderate per portare volutamente allo scontro – uno scontro che possa essere più facilmente sfruttato da Erdogan per solidificare ulteriormente il proprio predominio interno utilizzando la minaccia del terrorismo curdo come collante. Tutto questo si aggiunge alle tensioni internazionali e agli eventi in Siria e Iraq, dove i ribelli appoggiati da Ankara continuano l’avanzata verso al-Bab in Siria per impedire che le aree curde si uniscano. In Iraq invece continua la sfida a distanza tra Ankara e Baghdad circa il futuro di Mosul, con entrambi i governi che minacciano azioni armate. Non aiutano nemmeno i velati riferimenti alle isole greche “una volta parte della Turchia” da parte di Erdogan stesso – in questo caso più che una reale minaccia di conflitto la frase esprime il tentativo di riunire a sé anche le anime nazionaliste del paese, tradizionalmente a lui meno legate.
In tutti i casi, la Turchia appare sempre piĂą rivolta a un futuro autoritario e di conflitto interno con i curdi, mentre l’Europa, legata dagli accordi sull’immigrazione, non appare diplomaticamente capace di influenzare gli eventi. Per ora.
Lorenzo Nannetti
Foto di copertina di openDemocracy Rilasciata su Flickr con licenza Attribution-ShareAlike License