In 3 sorsi – Dopo il vertice tenutosi alla Valletta nel novembre 2015, i leader europei si trovano di nuovo nella città maltese per discutere del fenomeno migratorio che sta interessando l’Europa e dei preparativi per il sessantesimo anniversario dalla firma del trattato di Roma
1. L’EUROPA SI INCONTRA A MALTA – Il 3 febbraio 2017, presso La Valletta (Malta), si è tenuto un summit presieduto dal presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk e che ha visto protagonisti i 28 capi di Stato e di Governo componenti il Consiglio. Nell’invito all’evento, inviato ai rappresentanti degli Stati membri, Tusk ha evidenziato alcune delle criticità che l’Unione Europea si trova ad affrontare, dalla diffusione del radicalismo in Medio Oriente ed in Africa, fino al sempre più diffuso sentimento euroscettico.
Nella lettera si invitano poi i partecipanti a cercare un modo per rilanciare il progetto europeo tramite azioni che possano cambiare i sentimenti collettivi, e riportare in auge l’aspirazione a far progredire l’integrazione europea verso il livello successivo.
2. LA CHIUSURA DELLA ROTTA DEL MEDITERRANEO CENTRALE – Nel corso del summit è stata messa in evidenza la necessità, per l’Unione Europea, di intraprendere azioni che possano riuscire a garantirle un miglior controllo delle frontiere esterne, nonché un miglior controllo dei flussi illegali diretti verso di essa. Lo stesso Tusk, prima del vertice, ha dichiarato che «chiudere la rotta migratoria dalla Libia all’Italia si può, si deve, ed è alla nostra portata». In quest’ottica vi è stato un accordo generale, espresso in una dichiarazione, sulla necessità di intensificare la collaborazione con la Libia, punto di partenza della rotta del Mediterraneo centrale. I 28 leader si sono trovati concordi nella volontà di fornire aiuti che possano contribuire a stabilizzare la situazione nel Paese. Condivisa è stata anche la volontà di fornire formazione, equipaggiamento e supporto alla guardia costiera libica e a procedere allo smantellamento dell’attività dei trafficanti di esseri umani.
Nel quadro di questa maggiore collaborazione con la Libia è stato centro di discussione il memorandum d’intesa firmato il 2 febbraio tra Libia e Italia, cui i leader dei Paesi europei (e lo stesso Tusk) hanno dato pieno sostegno, evidenziandone l’importanza strategica per ridurre il numero di sbarchi sulle coste italiane, ma soprattutto per la possibilità di salvare un elevato numero di persone impedendo loro di prendere il largo. Nel corso della giornata è dunque emerso un generale accordo per l’attivazione di un piano mirato alla chiusura della rotta del Mediterraneo centrale. Quello che sembra delinearsi è un accordo che ricorda il precedente raggiunto con la Turchia. Un piano che, formulato in questo modo, andrebbe a deludere le speranze di Zeid Ra’ad Al Hussein, Alto commissario per i diritti umani delle Nazioni unite, che prima dell’inizio del summit aveva chiesto, in una nota ai leader degli Stati membri, di rispettare il principio di non respingimento, sostenendo che la Libia non può essere considerata un Paese sicuro. Soprattutto alla luce di un rapporto dell’UNSMIL (United Nation Support Mission in Lybia) che ha messo chiaramente in evidenza le atrocità e gli abusi che i migranti si trovano costretti a sopportare in territorio libico, e che si troverebbero a subire di nuovo una volta riportati indietro.
3. LE CRITICHE – L’appoggio dimostrato al summit verso il progetto di chiusura della rotta del Mediterraneo centrale ha suscitato diverse critiche, tra cui quella del sindaco di Lampedusa (principale città di approdo di questa rotta) Giusi Nicolini, che in un’intervista rilasciata a Radio Popolare ha detto: «Tusk dovrebbe sapere che se chiudi una rotta se ne apre un’altra. Se si chiudesse la rotta libica, se ne aprirebbe una dall’Egitto, come già molti segnali lasciano intendere. Non è sicuramente questo il modo per risolvere i problemi».
Anche alcune ONG, come Medici Senza Frontiere o il Consiglio Italiano per i Rifugiati, si sono dette preoccupate dalla conclusione raggiunta dal summit di Malta e hanno evidenziato come questa vada contro i diritti dell’uomo e violi il diritto all’asilo.
Infine, tra gli scettici, troviamo le organizzazioni che l’UE vorrebbe integrare nel piano per chiudere la rotta del Mediterraneo centrale, tra cui l’Agenzia per i rifugiati delle Nazioni unite e l’IOM (International organization for migration), le quali hanno sollevato dei dubbi soprattutto per quanto riguarda la proposta di rimandare i rifugiati in Libia, esprimendo in una nota la loro perplessità sulla possibilità di considerare la Libia un Paese sicuro per effettuare i rimpatri.
Alberto Tagliapietra
[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””]Un chicco in più
L’accordo per la chiusura della rotta del Mediterraneo centrale si ispira al precedente accordo che l’UE ha stipulato con la Turchia il 20 marzo 2016. Questo riguarda il flusso di migranti e richiedenti asilo che viaggiano attraverso l’Egeo, dalla Turchia verso le isole greche, consentendo alla Grecia di respingere in Turchia tutti i migranti irregolari approdati sull’isola dopo il 20 marzo 2016. Lo scopo dell’accordo era quello di portare alla chiusura della così detta rotta balcanica. [/box]
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