In 3 sorsi – È difficile seguire l’evoluzione della crisi nordcoreana. I media tendono infatti a riportare notizie frammentarie e superficiali, soffermandosi spesso su elementi poco utili per comprendere le complesse dinamiche in corso in Asia orientale. Allo stesso tempo nessuno dei protagonisti della crisi si sbottona più di tanto, svelando poco o nulla della propria strategia ad alleati e avversari. È come guardare una partita di poker, dove ogni giocatore non mostra le proprie carte se non all’ultimo minuto, tenendo tutti col fiato sospeso
1. RITORNO AL PASSATO? – Nonostante l’incertezza, si possono comunque fare delle osservazioni generali sugli ultimi sviluppi della vicenda. Anzitutto, dopo l’alta tensione della settimana pasquale, la situazione sembra essere in parte rientrata nella “normalità” dei precedenti confronti tra Washington e Pyongyang: molta retorica bellicosa e molte dimostrazioni di forza mediatiche, accompagnate da manovre diplomatiche e inviti alla prudenza. Vero, Trump insiste con le sue dure dichiarazioni verso il regime di Kim, ma sembra comunque seguire la strategia dei suoi predecessori alla Casa Bianca, puntando su una combinazione di pressioni militari e sanzioni economiche per bloccare le ambizioni nucleari nordcoreane. E la visita del Vice-Presidente Mike Pence in Asia conferma tale approccio, con una maggiore attenzione da parte americana verso la posizione e la sicurezza dei propri alleati regionali. Inoltre Washington continua a cercare attivamente la collaborazione della Cina per arrivare a una soluzione pacifica della crisi, sfruttando il muscolo economico cinese per esercitare ulteriore pressione sulla leadership nordcoreana.
Fig. 1 – Il Vice-Presidente americano Mike Pence parla al personale della base navale di Yokosuka, 19 aprile 2017
L’unilateralismo trumpiano appare quindi assai limitato e l’imbarazzante vicenda della portaerei USS Carl Vinson, “dispersa” nell’Oceano Indiano dopo gli altisonanti tweet presidenziali su una nuova “Invincibile Armada”, sottolinea il carattere prettamente retorico di molte dichiarazioni provenienti dall’attuale amministrazione repubblicana. La verità è che i caratteri strutturali della questione nordcoreana non sono affatto cambiati, così come i rischi di un possibile intervento armato contro Pyongyang. Nonostante la tentazione interventista, la leadership americana sembra essere ben conscia di tale realtà e ha adottato una posizione più sfumata rispetto alle scorse settimane, mantenendo l’opzione militare ma non esagerandone l’importanza.
2. I LIMITI DELLA STRATEGIA USA – La tensione rimane comunque alta. Il fallito test missilistico di domenica scorsa dimostra come la leadership nordcoreana sia tutt’altro che spaventata dalla retorica bellicosa di Washington. Anzi, Pyongyang ha risposto a sua volta con toni estremamente spavaldi, promettendo nuovi test missilistici “su base settimanale, mensile e annuale”. Non sono poi mancate minacce dirette alla vicina Corea del Sud, alle prese con una difficile e incerta elezione presidenziale.
Fig. 2 – Membri delle Forze speciali nordcoreane partecipano alla parata militare per il “Giorno del Sole”, 15 aprile 2017
Inoltre il ruolo di Pechino nella crisi appare più che mai ambiguo: se da un lato il Governo cinese sostiene infatti la strategia di coercizione americana, bloccando i carichi di carbone provenienti dai porti nordcoreani e interrompendo i voli Air China verso Pyongyang, dall’altro persegue anche una propria strategia di contenimento nei confronti delle iniziative USA, dichiarandosi fermamente contrario a un possibile attacco militare contro la Corea del Nord e mantenendo alta la pressione economica su Seul contro il dispiegamento del sistema anti-missile THAAD. Allo stesso tempo la dirigenza cinese ha obiettivamente pochi mezzi per imporsi su Kim, che ha finora dimostrato una certa freddezza verso i richiami diplomatici del suo storico alleato. Ne è prova anche un durissimo editoriale della KCNA, agenzia di stampa del regime nordcoreano, in cui viene rinfacciato a Pechino (mai nominata direttamente nel testo) di dire “sciocchezze” sulla crisi attuale e si minacciano “catastrofiche conseguenze” se il Dragone dovesse schierarsi ulteriomente con i nemici di Pyongyang.
A dispetto delle dichiarazioni ottimistiche di Trump, la Cina non farà quindi miracoli nell’arginare il comportamento irruente e provocatorio della leadership nordcoreana. Un comportamento che potrebbe pericolosamente ripresentarsi il 25 aprile, 85simo anniversario della fondazione dell’Esercito nordcoreano. Si tratta infatti di un’occasione solenne per il regime e Kim potrebbe decidere di sfruttarla propagandisticamente per un nuovo test nucleare, alzando ulteriormente il livello di scontro con Washington. Inutile dire che le conseguenze di un simile gesto potrebbero essere molto gravi, anche se è improbabile un’immediata ritorsione militare contro la Corea del Nord.
Fig. 3 – Un aereo da trasporto americano scarica alcune parti del sistema anti-missile THAAD nella base sudcoreana di Onsan
3. GLI OUTSIDER: RUSSIA E GIAPPONE – Nel groviglio della crisi è poi importante non perdere di vista il ruolo di Russia e Giappone, presenze scomode a ridosso del complesso triangolo Washington-Pechino-Pyongyang. Mosca si è già pronunciata contro possibili interventi unilaterali americani nella penisola coreana e sembra avere mobilitato alcune unità militari al confine con la Corea del Nord. Nel frattempo il Governo nordcoreano ha rilasciato dichiarazioni concilianti verso il suo vicino settentrionale, sottolineando la comune opposizione alla “prepotenza” del mondo occidentale. È improbabile che il Governo russo si schieri in difesa di Kim, ma è chiaro che un intervento armato USA contro Pyongyang rappresenta una minaccia per gli interessi russi in Asia orientale e per la sicurezza del porto strategico di Vladivostok, su cui Mosca sta investendo parecchio sia a livello economico che militare. La questione nordcoreana potrebbe quindi diventare l’ennesimo punto di attrito russo-americano, peggiorando ulteriormente i rapporti tra le due principali potenze nucleari mondiali.
Per quanto riguarda il Giappone, il Governo Abe si è dichiarato ripetutamente a favore della linea dura adottata da Trump verso Kim, distaccando anche alcuni cacciatorpediniere a sostegno delle prossime esercitazioni navali guidate dalla USS Carl Vinson al largo delle coste coreane. Questo interventismo è però problematico: sia la Cina che la Corea del Sud vedono infatti negativamente i programmi di riarmo dell’esecutivo giapponese e potrebbero reagire con irritazione a un maggiore coinvolgimento di Tokyo nella delicata battaglia di nervi con Pyongyang. Non a caso uno dei candidati favoriti per la presidenza sudcoreana, Ahn Seol-choo, ha proposto dei nuovi Four-Party Talks per risolvere la questione nucleare nordcoreana, escludendo nettamente il Giappone dall’iniziativa. Lo spettro del militarismo nipponico fa quindi più paura dei missili di Kim e potrebbe contribuire a complicare gli scenari della crisi, collegando le tensioni sulla Corea del Nord alle contese territoriali nei mari adiacenti alla Cina.
Non ci sono dunque garanzie sull’esito finale della vicenda. Tutto può succedere. Come in ogni buona partita di poker che si rispetti.
Simone Pelizza
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più
Lo scorso week-end la Corea del Nord ha arrestato un cittadino americano che collaborava con la Pyongyang University of Science and Technology. Si tratta di Tony Kim, cinquant’anni, insegnante di alcuni corsi alla suddetta università, fondata e finanziata privatamente da alcuni gruppi evangelici internazionali. Kim è il terzo americano tenuto in stato di detenzione dalle autorità nordcoreane; nella sua stessa situazione vi sono anche l’imprenditore Kim Dong-chul e lo studente Otto Warmbier, entrambi condannati ai lavori forzati per spionaggio e “atti ostili” nei confronti del Governo di Pyongyang. Al momento sono ignote le accuse che hanno portato all’arresto di Kim.[/box]
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