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Stati Uniti e Messico: il punto sulla rinegoziazione del Nafta

In 3 sorsiCon l’elezione di Donald Trump i rapporti economici tra Stati Uniti e Messico sono divenuti un argomento sempre più dibattuto. A settembre 2017 hanno avuto inizio le trattative per la rinegoziazione del NAFTA, ecco alcuni punti per poter comprendere al meglio i reali interessi in gioco

1. DUE ECONOMIE INTERDIPENDENTI

Da quando è entrato in vigore il trattato NAFTA, 1° gennaio 1994, le economie del Messico e degli Stati Uniti sono divenute maggiormente interdipendenti l’una dall’altra. La liberalizzazione degli investimenti e l‘abbattimento delle barriere commerciali hanno permesso la creazione di una rete di scambi che nel 2016 ammontava a 579,7 miliardi di dollari. Il Messico è il secondo compratore globale degli export statunitensi. Sempre nel 2016 le aziende statunitensi hanno venduto merci per un valore totale di 231 miliardi di dollari in Messico. Mentre per gli Stati Uniti risulta essere fondamentale l’acquisto dei prodotti agricoli messicani. In questo settore il Paese governato da Nieto è il principale fornitore per gli statunitensi, con una rete di scambi che si avvicina ai 25 miliardi di dollari annui. Complessivamente gli Stati Uniti importano dal Messico più di quanto esportino: il deficit commerciale dell’anno scorso sfiorava i 65 miliardi di dollari. Come molto spesso accade, i trattati di libero scambio generano vincitori e vinti. Negli USA i principali sconfitti sono stati individuati negli operai delle fabbriche tessili e automobilistiche. Entrambi i settori mostrano cali nell’occupazione dovuti, in parte, alla dislocazione di alcune aziende sul territorio messicano, dove i salari degli operai sono nettamente inferiori. Questa perdita di posti di lavoro è stata spesso criticata da Trump ed è uno dei motivi principali per cui il Presidente statunitense vuole abbandonare il trattato. Tuttavia, secondo alcuni economisti, l’industria degli autoveicoli statunitense è riuscita a mantenersi competitiva nel mercato globale del settore anche grazie alla riduzione dei costi derivante dai bassi salari pagati agli operai messicani. L’argomento è tutt’ora dibattuto. Il Messico ha potuto beneficiare dell’aumento degli investimenti americani, ma gli effetti negativi del trattato non mancano anche sul suolo messicano. In primo luogo i piccoli agricoltori messicani sono stati tagliati fuori dal mercato agricolo perché incapaci di competere con le grandi aziende statunitensi e messicane del settore. Inoltre il numero dei cosiddetti maquiladora workers, cioè gli operai che lavorano in condizioni disumane al confine con gli Stati Uniti per le grandi aziende americane, è aumentato. Anche l‘ambiente messicano è stato negativamente influenzato dal North Agreement. A causa dell’aumento nella domanda di prodotti agricoli i coltivatori hanno implementato l’utilizzo di fertilizzanti e agenti chimici per sfruttare al meglio il territorio. Tutto ciò ha comportato una crescita dell‘inquinamento negli ecosistemi messicani.

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Fig.1 – Una protesta degli agricoltori messicano contro il trattato Nafta

2. L’ASPETTO FINANZIARIO

La connessione tra l’economia messicana e quella statunitense, tuttavia, non si limita al solo ambito commerciale. L‘interdipendenza finanziaria tra i due Paesi è innegabile e pone le sue radici nei primi anni del secondo dopoguerra mondiale. A quell’epoca nasceva il sistema internazionale di Bretton Woods nel quale gli Stati Uniti ricoprivano una funzione di prim’ordine. Il sistema di gold exchange standard che venne istituito prevedeva che il dollaro diventasse la principale valuta di riserva internazionale, ciò favorì l’aumento dell’influenza economica statunitense nel mondo e del flusso di capitali verso i Paesi in via di sviluppo, tra i quali il Messico. L’interdipendenza finanziaria maturata tra i due paesi fu pienamente visibile durante la crisi del debito messicano del 1982. In primo luogo il governo statunitense fu tra i primi soggetti a essere informati dal ministro delle finanze messicano dell’incapacità del suo paese di ripagare gli 80 miliardi di debito contratto. Inoltre, dal momento che gran parte del debito messicano interessava banche statunitensi, l’aumento del tasso di interesse del dollaro effettuato dalla Federal Reserve a fine anni’70 fu uno dei fattori scatenanti l’insolvenza messicana. Per risolvere la crisi, che in breve tempo divenne globale, nel 1985 il Fondo Monetario Internazionale implementò il cosiddetto Baker Plan proposto dal Segretario del Tesoro statunitense dell’epoca James Baker. Il piano prevedeva una rinegoziazione del debito messicano e degli altri paesi in via di sviluppo coinvolti nella crisi, in cambio questi paesi avrebbero dovuto garantire riforme economiche strutturali.  Tuttavia, il Baker Plan si rivelò un fallimento e venne sostituito nel 1989 dal Brady Plan che favorì la liberalizzazione del commercio messicano e un’ulteriore apertura verso gli investimenti stranieri. Sull’onda di questa apertura economica il presidente messicano dell’epoca, Carlos Salinas de Gortari, iniziò le trattative per la firma del NAFTA. Nello stesso anno in cui l’accordo entrò in vigore, 1994, il Messico registrò la peggiore crisi bancaria della sua storia, la cosiddetta Tequila Crisis. Tutto ebbe inizio con una forte svalutazione del pesos: in un anno la moneta messicana passò dai 5,3 pesos per dollaro a più di 10 pesos per dollaro. Le cause furono innumerevoli ma anche in questo caso l’aumento inaspettato del tasso di interesse da parte della Federal Reserve statunitense giocò un ruolo fondamentale nello scoppio della crisi. La decisione della FED, infatti, incoraggiò la dipartita dei capitali stranieri investiti in Messico dal momento che i prestiti statunitensi garantivano un tasso di interesse maggiore rispetto al passato. Questa decisione, congiuntamente alla lacune strutturali dell’economia messicana e ai problemi politici causati in quegli anni dai ribelli dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, favorì la diffusione della cosidetta Tequila Crisis messicana.

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Fig. 2 – Il Segretario dell’Economia messicano Ildefonso Guajardo Villareal ritratto con il rappresentante commerciale del governo statunitense Robert Lighthizer

 3. RINEGOZIAZIONE IN CORSO

Il trattato NAFTA è stato criticato da Donald Trump sin dalla sua campagna elettorale. Il Presidente repubblicano lo ha definito, in diverse occasioni, come: “Il peggior accordo commerciale mai firmato da qualsiasi Paese nel mondo”. La modifica dei termini del NAFTA è, prima di tutto, un’importante battaglia politica per il tycoon. Negli ultimi anni è stato calcolato che gli Stati Uniti hanno perso più di 800.000 posti di lavoro nel settore manifatturiero a causa del trattato. La maggior parte dei disoccupati in questo settore fa parte delle classe media bianca che ha eletto Trump presidente, è fondamentale per il tycoon non deludere il proprio elettorato su questo tema. Per questo motivo il Presidente repubblicano ha ripetutamente criticato le aziende statunitensi che hanno dislocato parte della propria produzione sul suolo messicano. È importante ricordare che il presidente statunitense ha il potere di ritirare unilateralmente il proprio Paese dall’accordo senza dover passare per il Congresso, garantendo sei mesi di preavviso a Canada e Messico. Le negoziazioni per la modifica dei termini del NAFTA sono iniziate quest’estate. Il 16 agosto 2017 il primo round è iniziato con le ennesime parole di critica del tycoon. Il primo punto a essere dibattuto sembra esser stato il deficit commerciale statunitense. Gli Stati Uniti, infatti, acquistano più beni di quanto ne comprino sia dal Messico che dal Canada. Per l’amministrazione statunitense questo indicatore dimostra che Washington si trova in una posizione di svantaggio rispetto agli altri due Paesi. Canada, Messico e numerosi esperti del settore concordano sul fatto che non sia importante l’ammontare del deficit tra i paesi firmatari, ma l’aumento generalizzato degli scambi commerciali. Come previsto il settore automobilistico è tra i principali temi che i negoziatori statunitensi vogliono ritrattare. L’idea di Trump consiste nel limitare le importazioni di automobili provenienti da fuori l’area NAFTA. Per farlo il presidente americano vorrebbe aumentare la percentuale dei componenti automobilistici prodotti negli Stati Uniti. Questa misura, tuttavia, alzerebbe il prezzo di mercato delle vetture mettendo in pericolo le esportazioni. Nonostante le parole di Robert Lightizer al termine del secondo round di negoziazioni, un accordo tra i tre paesi sembra ancora essere lontano. Il rappresentante statunitense, infatti, aveva dichiarato che: “Un accordo reciproco era stato raggiunto sui temi principali” dopo le contrattazioni tenutesi a Città del Messico. Tuttavia, al termine del quarto round di trattative le posizioni tra i negoziatori dei tre Stati risultano essere ancora molto distanti. Le principali difficoltà derivano dall’insistenza statunitense a ridurre il proprio deficit commerciale nei confronti di Messico e Canada.

Luca Barani

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Il quinto round di negoziazioni è iniziato il 17 novembre e sarà tenuto sempre a Mexico City. [/box]

Foto di copertina di ibz_omar Licenza: Attribution License

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Luca Barani
Luca Barani

Nato nel 1992 a Modena sono all’ultimo anno della triennale di Scienze Politiche Sociali ed Internazionali all’Università di Bologna. Dopo il conseguimento del diploma ho lavorato come perito chimico ma dopo un paio d’anni ho capito che la mia passione era ben altra!!

Sono stato per un periodo in Belgio grazie all’Erasmus dove sono entrato a contatto con gli ambienti dell’Unione Europea. L’Erasmus e altri progetti multiculturali mi hanno formato come cittadino europeo, collaboro con Amnesty International a livello locale. Sogno una laurea magistrale all’estero e di poter diventare un esperto dei rapporti tra l’UE e i paesi del Nord Africa. Scrivere per il CaffèGeopolitico mi permette di poter coltivare due grandi passioni: la politica internazionale e la scrittura. Nel tempo libero mi piace viaggiare e praticare sport.

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