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…dove eravamo?

Hezbollah non ha vinto le elezioni, e dunque nessuno si fila più il Libano. Ma la situazione è tutt'altro che tranquilla, e non si può trascurare. Intanto, è già tornato il sangue per le strade

 

Un resoconto – Se fino ad un mese fa il Libano sembrava essere al centro assoluto della scena internazionale, il Paese da cui sarebbero dipesi i futuri equilibri della regione mediorientale e, per estensione, delle maggiori superpotenze interessate, dopo la tornata elettorale del 7 giugno nessuno ne ha più parlato. Certo, le elezioni in Iran e il caos che ne è seguito (e che ancora oggi perdura, con lo sciopero generale proclamato dai sostenitori i Mousavi per il 6, 7 e 8 luglio) hanno portato l’attenzione a spostarsi verso oriente, tralasciando momentaneamente tutti gli altri teatri mediorientali. E’ così che la questione israelo-palestinese, il ritiro delle truppe statunitensi dall’Iraq e la destabilizzazione nel Nord del Paese che ne sta seguendo, il riavvicinamento tra Siria e Stati Uniti, sembrano passare in secondo piano. In questa cornice, il Libano e la sua situazione politico-istituzionale interna sembra addirittura non costituire più un problema per la stabilità del Medio Oriente, quasi come se, ad elezioni svolte, tutta la bufera si passata.

Buoni e cattivi? – Questo, in parte, è sicuramente dovuto, oltre che all’emergenza iraniana, al fatto che in Libano le elezioni siano state vinte dal fronte del “14 marzo”, alleanza tra Sunniti ed una parte di Cristiani, filo-occidentale e filo-saudita, guidata da Saad Hariri, figlio dell’ex Premier assassinato a Beirut nel febbraio del 2005, Rafiq Hariri. In questo modo si è scongiurata la tanto paventata ipotesi che ad ottenere la maggioranza fosse l’altra coalizione, quella denominata “8 marzo”, composta per lo più dalle forze sciite (insieme ad un’altra parte consistente della comunità cristiana) e guidata da Hezbollah, da molti definito (con molta superficialità a dire il vero) più un movimento dedito al terrorismo che un vero e proprio partito politico. Alla fine, la comunità internazionale sembra aver fatto questo ragionamento: “Hezbollah ha perso, hanno vinto i buoni e il Libano è salvo, quindi per il momento non serve occuparsene”.

 

I malintesi internazionali – Il fatto è che, nel ragionamento appena descritto, si danno per scontate troppe cose che, a ben vedere, non stanno proprio così. Prima di tutto Hezbollah non ha perso, ovvero non ha raggiunto la maggioranza a livello nazionale, ma resta comunque ben radicato nelle sue roccaforti nel Sud del Paese (tra l’altro la parte confinante con Israele) e, soprattutto, non ha nessuna intenzione di smantellare il proprio arsenale, come molti suoi oppositori speravano. In secondo luogo, non è detto che la vittoria del fronte filo-occidentale sunnita costituisca per forza una base da cui poter governare con stabilità ed incisività il Paese, dal momento che la coalizione di maggioranza non è più coesa come lo era prima e che, probabilmente, il nuovo governo dovrà essere formato seguendo il principio dell’unità nazionale. Ciò vorrà dire portare alcuni membri sciiti all’interno dell’Esecutivo e avere una sorta di opposizione all’interno dello stesso governo. Infine, non è detto che i Sunniti siano i “buoni”: due estati fa l’Esercito libanese dovette ingaggiare una dura battaglia (che portò a più di 150 morti, andando a costituire gli scontri più gravi dalla fine della guerra civile nel 1990) con i fondamentalisti sunniti di Fatah al-Islam, asserragliati nel campo palestinese i Nahr el-Bared ed armati proprio da coloro che oggi sostengono il movimento di Hariri.

Ma è davvero finita? – A riprova del fatto che la situazione in Libano è tutt’altro che pacificata, a inizio settimana a Beirut è tornata la violenza per strada: nella parte occidentale della capitale si sono registrati scontri a fuoco tra sostenitori sunniti di Hariri e gli sciiti di Amal, il partito alleato di Hezbollah e di cui fa parte il neo-eletto Presidente del Parlamento (per la quinta volta consecutiva, a riprova dell’influenza che il movimento sciita continua ad avere) Nabih Berri. Negli scontri una donna è rimasta uccisa e le fonti parlano di un bilancio che sarebbe potuto essere molto peggiore. Il Libano virtualmente è ancora in fermento e la comunità internazionale dovrà prenderne atto e non lasciarsi andare a giudizi frettolosi (sia in senso pessimistico, che ottimistico) circa il suo destino. L’importante è seguire ciò che accade, per evitare di cadere dalle nuvole qualora dovessero esservi altri cambiamenti.

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