GDM2018 – Il “Sultano” Erdogan prosegue nel rafforzamento del suo potere interno, orami con sempre minori vincoli. A livello internazionale però avrà diverse sfide da affrontare. È un asso nel mazzo di carte targato Il Caffè Geopolitico
CHI È
Il Presidente della Turchia Recep Tayyip Erdogan è stato uno dei personaggi chiave del Medio Oriente nel 2017, non tanto per ciò che ha ottenuto fuori dai confini quanto per ciò che ha fatto all’interno del suo Paese. Erdogan ha infatti proseguito sulla strada del rafforzamento del proprio potere personale iniziato con il suo secondo mandato e accelerato dopo il fallito colpo di stato del 15 luglio 2016, un processo poi culminato con il referendum costituzionale del 16 aprile 2017.
Fig. 1 – Il Presidente turco Erdogan con il suo omologo francese Macron
COME È STATO IL SUO 2017
Vinto il referendum con il 51,4% dei sì, la riforma ha di fatto (e de jure) accentrato nella figura del Presidente tutti i poteri esecutivi finora riservati al Premier. È stato anche ridotto il controllo del Parlamento su esecutivo e Presidente (arrivando a cancellare la possibilità che il Parlamento ne voti la sfiducia) e stabilita l’elezione diretta del Capo dello Stato da parte del popolo. Queust’ultimo punto è quello sul quale Edogan punta maggiormente per rimanere al potere (potenzialmente almeno fino al 2029): egli gode infatti ancora di un vasto consenso popolare, soprattutto nelle aree rurali, alimentato da una politica nazionalista (spesso condita di retorica neo-ottomana) e accomodante verso l’Islam. Unisce cioè le due anime (tradizionalmente separate e perfino opposto, nell’idea originale di Ataturk) di nazionalismo e religiosità che più hanno presa in vasti ambiti della società turca. Per faroha dovuto silenziare le opposizioni: dagli arresti dei giornalisti (almeno 30, oltre a 173 tra stazioni radio e giornali chiusi, 2500 giornalisti senza lavoro di cui 800 a cui è stata tolta la licenza) alle purghe degli aderenti al movimento Hizmet di Fethullah Gulen (almeno 140.000 coinvolti tra fermati, arrestati e licenziati dal proprio lavoro), fino all’opposizione ai curdi in Turchia, Siria e Iraq. Proprio all’estero ha però mostrato i suoi limiti, dovendo accettare giocoforza che Assad rimanga in sella a Damasco sotto tutela russa e iraniana.
Fig. 2 – Il Presidente Erdogan con il Premier greco Tsipras
COME SARÀ IL SUO 2018
Il suo 2018 probabilmente continuerà su queste linee: senza grosse prospettive di influenza regionale (anche se continuerà ad avere un ruolo in quanto avviene in Siria e nord Iraq), il suo focus sarà sul proseguimento del rafforzamento interno. Continueranno il silenziamento dei media tramite accuse di tradimento e aumenterà la retorica nazionalista (un suo possibile accordo con il Sudan va in questa direzione), anche se internamente dovrà anche sconfiggere elettoralmente (elezioni presidenziali nel 2019, forse anticipabili a fine 2018) la minaccia dei nazionalisti turchi guidati da Meral Aksener, che a ottobre scorso ha fondato l’Iyi Parti (il Buon Partito), laico, nazionalista e conservatore. Essendo una sfida tra nazionalisti, parte della retorica di Erdogan non funzionerà – ma è ancora da vedere se Aksener sarà una sfidante sufficientemente pericolosa per un Presidente che appare sempre più saldamente al potere.
Lorenzo Nannetti
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