Si è aperta lunedì 3 maggio a New York la Conferenza per la revisione quinquennale del Trattato di Non Proliferazione Nucleare (NPT): dopo il discorso al vetriolo del Presidente iraniano Ahmadinejad, è stato il turno del Segretario di Stato agli Affari Esteri giapponese, Tetsuro Fukuyama. Tra le denunce contro la Corea del Nord, ed un atteggiamento propositivo, Tokyo cerca di schierarsi tra i paesi fautori di una politica pacifista e antinucleare. Intanto, l’Iran firma un interessante accordo con Brasile e Turchia.
UNA QUESTIONE STORICA – Il Giappone, si sa, è affetto dalla cosiddetta allergia atomica. È infatti difficile pensare che uno Stato vittima di un attacco nucleare sia favorevole ad un rifornimento di materiale fissile. Se la teoria dei giochi e la Mutual assured destruction sembrano un retaggio della guerra fredda, potrebbero esserlo altrettanto i sondaggi condotti nel 1995 dal Nikkei, che guardavano al Giappone come a una delle potenze nucleari del nuovo millennio. Questo è quanto risulta anche dal discorso tenuto in occasione della Conferenza newyorchese da Tetsuro Fukuyama (foto a destra), il quale ha affermato che “le numerosi attività condotte da parte della Repubblica nord coreana, inclusi i test nucleari, rappresentano una grave minaccia al regime internazionale di non-proliferazione, e sono assolutamente inaccettabili”. Ha inoltre dichiarato: “Il Giappone esorta caldamente l’Iran a riprendere i negoziati con la comunità internazionale, per cooperare con la IAEA”. Fukuyama si fa portavoce della volontà di giocare un ruolo preminente nell’eliminazione delle armi nucleari dal mondo e dalla risoluzione dei conflitti, così come dei tre principi fondamentali di non possedere, non produrre e non concedere l’utilizzo di armi nucleari sul territorio giapponese. Allo stesso modo non bisogna però dimenticare la crescente instabilità politico-militare nell’area nordorientale dell’Asia, che spinge Tokyo a non fidarsi più della sola protezione statunitense e a muoversi consapevolmente verso la nuclearizzazione.
IL NUCLEARE TRA SUCCESSI E SCONFITTE – “Rivedere il Trattato sembra più difficile che cambiare la costituzione statunitense”, è quanto ha affermato Gary Samore, consigliere del presidente Barack Obama. Una dichiarazione che arriva dopo la notizia svelata dal Pentagono, in base alla quale gli Stati Uniti avrebbero avuto attive, nel non lontano settembre 2009, 5113 testate nucleari. Un’affermazione che spezza un silenzio e una reticenza durata 50 anni. Gary Samore sottolinea l’altro volto del Giano bifronte del nucleare: chi grida al successo del Trattato per via della rinuncia di alcuni Stati all’atomica o per la pace sottesa durata 40 anni, deve fare i conti con il fatto che il Trattato scricchiola, che non è riuscito a prevenire in maniera radicale, né tanto meno a risolvere successivamente, la crisi con l’Iran e la Corea del Nord. E mentre Giordania, Libano, Turchia, Egitto e Arabia Saudita progettano di costruire centrali nucleari, il Trattato non prevede delle limitazioni alla produzione di combustibile. Questione che riguarda molti paesi, tra cui il Giappone, dove sono installati 55 reattori nucleari in 12 siti differenti, sparsi su un territorio ad alto rischio sismico. Il Giappone è dunque un paese che ha rinunciato all’arma nucleare, ma che decide comunque di arricchire il suo uranio, disponendo di una tecnologia di alto livello. Memento: la protesta svoltasi ad Okinawa il 4 maggio scorso, durante la quale diverse migliaia di persone hanno manifestato in occasione della visita del premier Hatoyama, chiedendo di liberare l’isola dalla presenza delle truppe americane stanziate nella base di Futenma, diventa la metafora di un’indipendenza scomoda per il Grande Fratello. Un’allergia atomica, quella giapponese, non così tanto patologica.
Alessia Chiriatti