In 3 sorsi – Si sono riaccese violentemente le dispute di confine fra Kirghizistan e Tagikistan, in corso ormai da decenni, e neanche il cessate il fuoco imposto dai Presidenti Japarov e Rahmon è riuscito a calmare la situazione. A offrirsi da mediatore è la Russia, interessata a porre fine a una situazione potenzialmente lesiva per i propri interessi politici.
1. UN CONFINE CALDO
Nelle ultime settimane sono ripresi gli scontri al confine fra Kirghizistan e Tagikistan, due ex repubbliche sovietiche da tempo alle prese con dispute territoriali. Il teatro del conflitto sarebbe la regione kirghisa di Batken, da tempo al centro di tensioni etniche, al pari dell’enclave tagika di Vorukh, in Kirghizistan, di cui i due Paesi si contendono la sovranità per il controllo delle risorse idriche locali.
A metà settembre Bishkek e Dushanbe si sono reciprocamente accusate di aver dato inizio agli scontri e di aver poi violato il cessate il fuoco concordato dai rispettivi Presidenti. Diverse persone sono state ferite, alcune sono morte e il numero di sfollati cresce di ora in ora. Il Governo kirghiso sostiene di aver sparato sui posti di guardia di frontiera per proteggersi da un’incursione tagika, dopo che i soldati di Dushanbe hanno aperto il fuoco a Batken, colpendola con mezzi corazzati e lanciarazzi. Stando, invece, alle dichiarazioni del Governo del Tagikistan, sarebbe stato il Kirghizistan a bombardare avamposti e territori tagiki.
Neanche il cessate il fuoco imposto dai Presidenti Sadyr Japarov e Emomali Rahmon, entrambi in visita a Samarcanda per il summit della SCO (l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai), ha retto e le parti hanno ripreso a sferrare attacchi contro le rispettive postazioni di frontiera.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Sfollati kirghisi provenienti dalle aree di confine teatro degli scontri con il Tagikistan, settembre 2022
2. QUESTIONI TERRITORIALI IRRISOLTE
Le dispute territoriali tra Kirghizistan e Tagikistan si ripresentano ciclicamente da trent’anni, sebbene tendano a essere brevi e a risolversi senza particolari escalation. L’ultimo conflitto risale al 2021, quando alle sparatorie tra le guardie di frontiera si era aggiunto il malcontento degli abitanti dei villaggi locali che aveva ulteriormente esacerbato le tensioni al punto da far temere l’inizio di una guerra.
Gli scontri affondano le proprie radici in una serie di questioni mai davvero chiarite. A partire da quella territoriale, considerando che oltre un terzo della frontiera tra i due Stati rimane tuttora da definire e che i confini malamente tracciati durante l’era sovietica ostacolano l’accesso al proprio Paese d’origine a diverse comunità insediatesi nella regione montuosa.
La questione territoriale si intreccia con quella idrica, in particola alla disputa per un bacino rivendicato da entrambi i Paesi sul fiume Isfara, al confine tra la provincia tagika di Sughd e quella kirghisa di Batken.
A venire in soccorso dei civili, vittime di queste dispute decennali, è soprattutto l’Uzbekistan, che nella sua enclave di Sokh ospita migliaia di rifugiati tagiki.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Soldati kirghisi presidiano un centro amministrativo a Batken, settembre 2022
3. L’INTERVENTO DI MOSCA
Gli scontri fra Dushanbe e Bishkek hanno destato preoccupazione al Cremlino, da sempre interessato a mostrarsi come garante di un’apparente stabilità politica in territori un tempo sotto il suo controllo.
Sin dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica, infatti, Tagikistan e Kirghizistan ospitano basi militari russe e, a differenza dei vicini Uzbekistan e Kazakistan, fino ad ora non hanno mostrato la volontà di affrancarsi da Mosca. Entrambi i Paesi fanno parte anche della CSTO, l’organizzazione di sicurezza e difesa capeggiata dalla Russia, balzata agli onori della cronaca nei giorni scorsi a causa delle tensioni che si sono riaccese fra Armenia e Azerbaijan nel Nagorno-Karabakh.
In risposta al nuovo conflitto di confine tra tagiki e kirghizi, Putin ha quindi invitato i Presidenti dei due Paesi a raggiungere una tregua per riportare sotto controllo la situazione, offrendosi anche di mediare per facilitare la demarcazione della frontiera e porre fine una volta per tutte a una polveriera pericolosa per i propri interessi in Asia Centrale.
Alessia Ritardo
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