In 3 sorsi – Il Sud-est asiatico è diventato un punto cruciale per la sicurezza globale, a causa delle alleanze di Al Qaeda nella regione, come quella con Jemaah Islamiyah.
1. L’INGRESSO DI AL QAEDA NELLA REGIONE: PERCHÉ L’HANNO ACCOLTA?
Al Qaeda penetrò per la prima volta nel Sud-est asiatico dopo la guerra in Afghanistan. Ciò è stato possibile grazie sia ai legami personali di Bin Laden che alla vicinanza ideologica con diversi gruppi terroristici locali. Questi elementi facilitarono la collaborazione con tali gruppi, L’alleanza più importante si è instaurata con Jemaah Islamiyah (Indonesia) che è il’unica a carattere regionale, nonché quella che ha appreso maggiormente da Al Qaeda.
I veterani di Al Qaeda, infatti, trasmisero al gruppo un vero e proprio know-how sia nell’addestramento, che nell’organizzazione. Grazie a questi aiuti, Jemaah Islamiyah riuscì a replicare la struttura del gruppo transnazionale in chiave regionale, attraverso l’instaurazione di cellule chiamate “Mantiqi” dislocate in tutta la regione del Sud-est asiatico e in Paesi esterni, inclusa l’Australia. Questo rappresentò un avanzamento per gli ideali dei gruppi islamici lì presenti: creare uno Stato Islamico nel Sud-est asiatico.
Fig. 1 – Un estremista indonesiano indossa una giacca con il ritratto di Osama bin Laden durante una delle ultime fasi del processo ad Abu Bakar Bashir, giugno 2011. Co-fondatore di Jemaah Islamiyah, Bashir è stato condannato a 15 anni di carcere per sostegno al terrorismo ma è stato rilasciato anticipatamente nel 2021
2. PERCHÉ AL QAEDA È ENTRATA?
L’alleanza non fu vantaggiosa solo per Jemaah Islamiyah, ma anche per Al Qaeda. Diversi fattori spiegano l’interesse dell’organizzazione terroristica per quest’area.
Innanzitutto il Sudest asiatico ospita la popolazione musulmana più numerosa al mondo, superando persino il Medio Oriente. Paradossalmente, la comunità musulmana è anche una delle più discriminate. Uno dei casi storici è stato il regime di Suharto (1967-1998) in Indonesia, che ha attuato una repressione contro la comunità musulmana. Da parte di Al Qaeda, questo trattamento è stato visto come un’offesa al popolo musulmano.
In secondo luogo, la liberalizzazione economica della regione – facilitata dall’avvento della globalizzazione – ha permesso la diffusione della cultura occidentale. Anche questo fenomeno è percepito dal gruppo di Bin Laden come un attacco del nemico nei loro confronti.
Infine, la regione è un ambiente business-friendly per la criminalità organizzata. Lo dimostra l’esistenza del Golden Triangle – situato tra Thailandia, Laos e Myanmar, – il principale centro di produzione e commercio di oppio nel mondo. Queste condizioni sono favorevoli anche per i gruppi terroristici, inclusa Al Qaeda.
Fig. 2 – Zulkarnaen, uno dei principali leader di Jemaah Islamiyah, dopo essere stato arrestato dalla polizia indonesiana nel 2020. Accusato di essere uno degli artefici degli attentati di Bali del 2002, l’uomo è stato condannato a 15 anni di carcere nel 2022
3. GLI ATTENTATI DI BALI: QUALI IMPLICAZIONI?
L’alleanza con Jemaah Islamiyah raggiunse il suo apice con gli attentati di Bali nel 2002. Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, la fazione del Sud-est asiatico sfruttò l’onda mediatica del nuovo terrorismo globale. L’opinione pubblica occidentale era terrorizzata dagli eventi delle Torri Gemelle, e questo offriva un’occasione ideale per colpire una delle destinazioni turistiche occidentali più popolari nella regione. Il messaggio dietro ciò era chiaro: fuori l’Occidente da casa nostra.
Al Qaeda e Jemaah Islamiyah ottennero i risultati sperati: il turismo nella regione subì un calo significativo negli anni successivi. Inoltre, lo “spettro del terrorismo islamico” iniziò a prendere piede anche nel Sudest asiatico, un fenomeno che prima degli anni Duemila era passato in sordina, o considerato addirittura inesistente per alcuni Stati, per esempio la Thailandia.
Nonostante la minaccia sia regionale, le misure di counter-terrorism sono attuate solo a livello statale. Sebbene l’ASEAN abbia riconosciuto la problematica del terrorismo – e si sia unita alla “guerra globale al terrorismo” guidata dagli Stati Uniti, – nella pratica non sono state istituite task force regionali per contrastarla. Ciò evidenzia una debolezza nelle risposte di sicurezza a livello regionale, soprattutto quelle che necessitano un intervento più incisivo. Inoltre, manca una riflessione approfondita sulle cause del terrorismo regionale, che differiscono dalle cause di natura territoriali. Un esempio è il tema dell’occidentalizzazione del Sud-est asiatico e delle relative reazioni.
In conclusione, l’ASEAN deve adottare un approccio più integrato e coordinato, considerando con maggiore attenzione il messaggio implicito negli attentati islamici. La mancata valutazione delle avvisaglie future potrebbe comportare gravi rischi per la stabilità e la sicurezza della regione.
Giulia Sammartano
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