In 3 Sorsi – Benjamin Netanyahu vede progressivamente allontanarsi quello che è storicamente stato il punto principale della sua agenda di politica estera, ossia la normalizzazione dei rapporti con l’Arabia Saudita. La causa è da ricercarsi nella nuova strategia intrapresa dal suo governo a seguito dell’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023.
1. LA GUERRA DI GAZA E LA STRATEGIA DEL GOVERNO ISRAELIANO
Prima dello scoppio della guerra di Gaza, con la successiva invasione militare di Israele della Striscia e il bilancio di oltre 50mila palestinesi morti, Israele e l’Arabia Saudita erano a un passo dal raggiungimento di uno storico accordo per la normalizzazione dei propri rapporti. A confermare quanto le parti fossero vicine a un’intesa era stato lo stesso Principe rreditario saudita Mohammed Bin Salman, che in un’intervista a Fox News del settembre del 2023 sottolineò come “ogni giorno ci avviciniamo sempre più alla normalizzazione”. A ciò seguiva il riferimento a un dettaglio centrale nei dialoghi informali tra le parti: la risoluzione della questione palestinese. Come riferito dal ricercatore e analista saudita Abdulaziz Algashian al Caffè Geopolitico, la forma che la “componente palestinese” di un accordo di normalizzazione deve contenere è sempre previamente discussa con l’Autorità Palestinese, a testimonianza di quanto essa incida sui negoziati con Israele. Rispetto a ciò che il Regno Saudita avrebbe potuto accettare come compromesso da parte israeliana in un momento antecedente al 7 ottobre 2023, la realtà è drasticamente mutata a seguito della reazione israeliana all’attacco di Hamas. La priorità del mondo arabo, raccolta da Riyadh sotto forma di condizione imposta a Tel Aviv per la normalizzazione, è oggi rappresentata dalla definizione di un percorso verso la soluzione a due Stati.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Il Principe ereditario dell’Arabia Saudita, Mohammed bin Salman, durante una foto di gruppo insieme ad altri capi di Stato che partecipano al One Water Summit nella capitale Riyadh il 3 dicembre 2024
2. LA REAZIONE DELL’ARABIA SAUDITA ALLA GUERRA DI GAZA: L’ESCALATION DELLA TENSIONE CON IL GOVERNO ISRAELIANO
Lo stato negativo dei rapporti tra Arabia Saudita e Israele è esemplificato plasticamente dal modo in cui i media sauditi stanno raffigurando il Primo Ministro Benjamin Netanyahu.
In tal senso, quando si parla di un’escalation della tensione tra le parti, il modo più corretto di descrivere tale realtà è quello di discernere tra Governo e Stato. Il principale bersaglio delle critiche, non solo di Riyadh ma del mondo arabo nel suo complesso, riguarda infatti l’esecutivo israeliano, con al vertice il suo principale rappresentante. Tanto da giungere a una situazione, come quella odierna, nella quale appare eccessivamente ottimistica l’ipotesi di un accordo in presenza dell’attuale esecutivo israeliano. Stante l’importanza dei media come megafono delle posizioni saudite sui vari dossier internazionali, il fatto che la rete Al-Ekhbariya definisca Netanyahu come il “Primo Ministro dell’occupazione israeliana” o “un discendente di una famiglia sionista estremista che ha ereditato l’estremismo geneticamente” rappresenta una chiara indicazione della distanza che ora separa le parti.
Fig. 2 – Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu durante un incontro con il Presidente americano Donald Trump a Capitol Hill nel 2025
3. LE ESIGENZE DI POLITICA INTERNA DEFINIRANNO LE SCELTE FUTURE DI NETANYAHU
A incidere in maniera decisiva sulla strategia del Governo israeliano a Gaza è la presenza dell’estrema destra, il cui maggiore partito è rappresentato dal Sionismo Religioso, in assenza di Potere Ebraico. Quest’ultimo ha lasciato il Governo a seguito dell’accordo per il rilascio degli ostaggi presenti a Gaza, considerato dall’ex Ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben Gvir come espressione di una “resa di Israele ad Hamas”. Il principale esponente del Sionismo Religioso, il Ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, ha spiegato di aver deciso di restare nel Governo grazie alle importanti “garanzie” di Netanyahu circa il fatto che, dopo il rilascio degli ostaggi israeliani nella prima fase dell’accordo, Israele tornerà ai combattimenti per eradicare definitivamente Hamas dalla Striscia. Smotrich ha reiterato la propria posizione in prossimità della conclusione della prima fase dell’intesa, esortando Netanyahu a “stabilire la sovranità di Israele sulla Striscia” e ad applicarvi “immediatamente la legge israeliana”.
Ciò influenza il Primo Ministro nella misura in cui quest’ultimo pone l’accento sull’esigenza di escludere qualsiasi potere futuro di Hamas o dell’Autorità Palestinese nella Striscia. L’assenza di un piano strategico per il post-conflitto, che si spiega con la volontà di non alienarsi né l’estrema destra al Governo, né (definitivamente) il mondo arabo, delinea i contorni di un futuro nel quale ancora tanti tasselli devono essere definiti. L’unica certezza, con la quale si può fare i conti nella realtà attuale, è che soltanto una disponibilità al compromesso da parte del Governo israeliano, eventualmente resa possibile dall’ingresso temporaneo di forze moderate nell’esecutivo, potrebbe rendere la normalizzazione dei rapporti con l’Arabia Saudita un proposito realizzabile.
Michele Maresca
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