Analisi – Il Ruanda si candida a ospitare una tappa del Mondiale di F1, confermando la strategia del Presidente Paul Kagame di utilizzare lo sport a fini politici, per migliorare l’immagine internazionale di un Paese accusato di derive autoritarie e di coinvolgimento nella crisi della Repubblica Democratica del Congo.
1. LA PORTATA MONDIALE DELLA F1 CONTEMPORANEA
Il campionato mondiale di Formula Uno (F1) è la punta di diamante del motorsport, seguito e apprezzato in tutto il mondo. Nel 2017 l’acquisizione del Formula One Group (FOG) da parte dell’americana Liberty Media ha permesso un significativo rilancio del brand nei confronti di un pubblico che era andato assottigliandosi negli ultimi anni. La FOG è la società avente i diritti di utilizzo del marchio F1, di proprietà della Fédération Internationale de l’Automobile (FIA). La società statunitense punta tutto sulla spettacolarizzazione dei Gran Premi per attirare nuovi fan, soprattutto i giovani. Coerente con questa visione è la volontà di espansione della F1 verso nuovi mercati in ogni angolo del globo.
Il Campionato 2025 è composto da 24 tappe: 10 in Europa, 7 in Asia, 6 nelle Americhe e una in Australia. L’unico continente escluso è l’Africa, cosicché la Federazione e Liberty Media si stanno sforzando per includere un Gran Premio africano per la prima volta dal 1993 e rendere la F1 contemporanea veramente “mondiale”.
Fig. 1 – Il debutto di Rubens Barrichello con la scuderia Jordan durante il Gran Premio del Sudafrica, a Kyalami, il 14 marzo 1993, l’ultimo disputato nell’intera Africa
2. IL LEGAME TRA POLITICA E MOTORSPORT
Qual è il legame tra motorsport e politica? Lo Statuto della FIA è piuttosto vago. In tal proposito l’Articolo 1.2 si può interpretare come una posizione di sostanziale neutralità da parte della Federazione, il cui unico obbligo è quello di astenersi da azioni discriminatorie di qualunque tipo. Tutto ciò ha permesso l’organizzazione di gare in Paesi autoritari, dove i diritti civili e politici sono limitati o inesistenti per alcuni gruppi sociali. Grazie a questa strategia fu possibile, ad esempio, permettere lo svolgimento del Gran Premio del Sudafrica durante il regime di apartheid, fino a quando nel 1985 Bernie Ecclestone e Max Mosley, figure chiave della F1 di quel tempo, decisero di cancellare la tappa di Kyalami (poi reintegrata solo nel 1992 e 1993). L’intenzione di non trasmettere la corsa da parte di alcune reti televisive, i problemi finanziari del circuito (da manutenzionare) e l’inasprimento della legislazione razziale furono alla radice di questa decisione.
Il Sudafrica non è l’unico regime ad avere ospitato un appuntamento del Mondiale: in passato Paesi come l’Argentina di Videla e la Russia di Putin (fino all’inedito ban a seguito dell’invasione dell’Ucraina nel 2022), attualmente la Cina, l’Azerbaijan, e le petromonarchie del Golfo (Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Qatar).
Ciò che accomuna questi attori internazionali è la scarsa considerazione per democrazia e rispetto dei diritti umani, oltre che la pratica dello “sportwashing”, cioè l’investimento di grosse somme di denaro per ospitare grandi eventi sportivi internazionali, così da migliorare la propria immagine di fronte al mondo, tenendo ben nascosti dagli occhi degli osservatori gli affari interni.
La FIA non si oppone di fronte a quest’ultimo fenomeno. Nulla è cambiato nemmeno dopo il termine di ogni incarico ufficiale di Ecclestone, personaggio che ha fatto di tutto per il business senza dare peso ai valori dello sport, e il passaggio di consegne a Liberty Media.
Fig. 2 – Charles Leclerc, pilota della Ferrari, durante le prove del Gran Premio dell’Arabia Saudita a Gedda, 18 aprile 2025
3. AFRICA CHIAMA F1: VECCHIE CONOSCENZE E UN CANDIDATO INEDITO
Stefano Domenicali, Amministratore Delegato del FOG, ha annunciato le trattative in corso con tre Paesi africani.
Il primo è il Sudafrica, dal forte legame storico con questo sport e teatro dell’ultimo GP in terra africana nell’ormai lontano 1993.
Poi c’è la candidatura del Ruanda, la più controversa tra le proposte sul tavolo a causa delle ripetute accuse di violazioni del diritto internazionale nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo e dello sviluppo interno di un regime autoritario, venutosi a formare dopo il genocidio del 1994. Kigali rimane un partner per molti attori occidentali, e i vertici della F1 si dicono pronti a trattare l’ingresso del Ruanda nel calendario del Mondiale.
Proviene dal Marocco l’offerta più recente arrivata alla FIA: si tratta di un Paese a tinte autoritarie (seppur in modo meno evidente del Ruanda) ed è oggetto di pesanti critiche da parte della comunità internazionale, soprattutto tra i vicini continentali, per la questione del Sahara Occidentale.
Fig. 3 – Stefano Domenicali, Presidente e Amministratore Delegato del FOG, in occasione del Gran Premio del Canada, Montreal, 14 giugno 2025
4. LO SPORTWASHING DI PAUL KAGAME
Il Ruanda ha un punteggio su Freedom House di 23/100 relativamente all’anno 2024, con bassissimi sub-punteggi relativi alle libertà politiche e civili. Questo score non appare irrealistico se si studia la situazione politica attuale: il Presidente Paul Kagame è di fatto alla guida del Paese nei fatti dal 1994 ed è stato rieletto lo scorso anno con una percentuale vicina al 99% delle preferenze. Sul fronte delle relazioni internazionali, un report commissionato dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite segnala l’ingerenza delle Forze Armate di Kigali nell’est della Repubblica Democratica del Congo (RDC). Non c’è da sorprendersi, dunque, se il Ministero degli Esteri di Kinshasa abbia chiesto mediante un comunicato stampa di non consentire lo svolgimento di un GP in Ruanda.
Ci sono tutte le premesse per far pensare che il Presidente Kagame, che lo scorso anno ha ospitato la cerimonia di premiazione della FIA, abbia l’interesse a stringere ancora di più coi vertici della F1 per cogliere l’opportunità economica e politica che si presta davanti ai propri occhi.
Tra l’altro, il Ruanda non è estraneo alle competizioni sportive internazionali: sono state siglate delle partnership con squadra calcistiche d’élite come l’Arsenal, il Bayern Monaco e il Paris Saint-Germain, oltre che con il torneo continentale di basket (Basketball Africa League, svolto nella capitale ruandese) e con il Tour du Rwanda (ciclismo su strada).
Nell’eventualità in cui il Ruanda riesca a spuntarla sugli altri due competitor africani, è interessante confrontare questo scenario con quanto avvenuto in altri Paesi criticati di aver sfruttato lo sport per ripulire la propria immagine. Ad esempio, recentemente è stato avviata in Arabia Saudita una politica di riforme, su impulso del Principe ereditario e Primo Ministro Mohammad Bin Salman. Tuttavia, l’effetto complessivo di queste riforme è quantomeno discutibile, trattandosi di norme sostanzialmente di facciata e che contribuiscono in modo molto limitato ad aumentare la qualità della vita dei comuni cittadini.
Fig. 4 – Il Presidente del Ruanda Paul Kagame premia la scuderia McLaren e il pilota Lando Norris durante i FIA Awards 2024, Kigali, 13 dicembre 2024
5. F1, RESPONSABILITÀ SOCIALE O… ‘IT’S ALL BUSINESS?’
Si tratta di una fase delicata per il futuro della classe regina del motorsport.
L’opzione realisticamente più probabile è che la governance della F1 (e quindi gli alti dirigenti FIA/FOG/LM) decidano di proseguire la strada della neutralità politica e la scelta del beneficio economico come unico criterio di scelta di una nuova potenziale tappa rispetto a un’altra.
Il percorso alternativo, tortuoso, ma anche più coraggioso, presuppone un’interpretazione più stringente dell’Articolo 1.2 dello Statuto FIA e consiste in un ruolo attivo nella lotta alle ingiustizie e alle discriminazioni e la promozione della democrazia e dei diritti umani, denunciando i problemi degli Stati ospitanti e cercando di spingere per un reale cambiamento. Un segnale positivo dal mondo dello sport in questa direzione è il ban della Russia dalla maggioranza delle competizioni internazionali. Se questo criterio venisse applicato da tutte le Organizzazioni contro i regimi autocratici e aggressivi, forse si potrebbe dare un piccolo contributo per un mondo un più giusto.
Di fronte all’evidenza, è lecito pensare che un’inazione da parte degli organi competenti della F1 equivalga a un avallo alle politiche dei regimi autoritari. È possibile mantenere separati sport e politica? Nei prossimi mesi si saprà la decisione della F1. Intanto, il sangue continua a scorrere nella RDC anche per responsabilità del Governo ruandese.
Antonio Magnano
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