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Banche vs Barack

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Si tiene a Davos l’appuntamento annuale con il World Economic Forum. I rappresentanti delle grandi banche cercheranno di mettere pressioni a Obama per mitigare gli stringenti criteri di controllo

Si profila una settimana di incontri importanti nel mondo: suggeriamo di prestare attenzione non solo ad alcuni grandi meeting che faranno notizia sui media, ma anche a degli incontri che andranno a toccare argomenti delicatissimi. 

 

– Dal 27 al 31 Gennaio si terrà a Davos (Svizzera) il World Economic Forum, che periodicamente riunisce personalità politiche ed economiche mondiali.La novità di quest’anno è il ritorno delle Banche, i cui rappresentanti erano assenti l’anno scorso, a seguito della ben nota crisi economica mondiale. Si attende da parte loro un forte attività di pressione per provare a mitigare il piano di Obama, volto ad adottare criteri stringenti di controllo delle grandi attività bancarie e finanziarie, al fine di evitare il ripetersi di situazioni di crisi come quella attuale. 

 

– Settimana di grandi attese per l’Afghanistan: Karzai, ancora privo di un Governo completo in patria, viaggerà alla ricerca di legittimazione internazionale e di sostegno. Il 25 e 26 gennaio sarà in Turchia, dove prima incontrerà il Presidente turco Abdullah Gul e quello pakistano Asif Ali Zardari in un incontro a tre per trovare soluzioni di cooperazione più stretta. Negli stessi giorni la Turchia ospiterà il summit regionale per i Paesi limitrofi all’Afghanistan, anche con la partecipazione dei Ministri degli Esteri cinese e britannico e, probabilmente, con la presenza di una delegazione iraniana.Karzai si sposterà poi in Germania per discutere del maggiore impegno promesso dal Governo tedesco.La settimana si chiuderà con la Conferenza internazionale per l’Afghanistan, a Londra, il 28 gennaio, con la partecipazione, tra gli altri, del Segretario di Stato americano Hillary Clinton, del Primo Ministro inglese Gordon Brown e del Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon. 

 

– Intanto, il Vice-Presidente Americano Joe Biden si trova in Iraq per cercare una soluzione alla crisi pre-elettorale. Le liste elettorali definitive, infatti, non sono state ancora formate: centinaia di candidati rischiano di essere esclusi perché accusati di essere stati vicini alla dittatura di Saddam Hussein. Biden incontrerà i membri dell’esecutivo iracheno per evitare che ulteriori ritardi mettano a rischio le elezioni del 7 Marzo. 

 

Cina, Corea del Sud e Giappone terranno un incontro trilaterale per iniziare a valutare la creazione di un’area di libero scambio tra i tre Paesi: sebbene il progetto sia assolutamente in bozza, gli incontri di questa settimana potrebbero dare slancio all’iniziativa e forse fornire anche un calendario di massima per lo sviluppo del progetto. 

 

– La Nigeria è di fronte ad un pericoloso potenziale vuoto di potere. Il Presidente Umaru Yaradua, in precarie condizioni di salute, potrebbe esser costretto a rassegnare le dimissioni a favore del Vice-Presidente Goodluck Jonathan. La decisione finale, attesa per i primi giorni di febbraio, spetta al Federal Executive Council, organo politico al cui interno sono presenti le due correnti che dividono il Paese, legate ai poteri del nord e del sud del Paese e rappresentate da Yaradua e Jonathan. Questa settimana inizieranno i dibattiti. Due questioni di importanza storica e strategica sono inoltre in discussione. 

 

– Il presidente russo Dmitri Medvedev incontrerà il Presidente dell’Azerbaijan  Ilham Aliyev e quello armeno Serzh Sarkisian. I tre discuteranno a Sochi (Russia) di possibili soluzioni per la complessa e delicata questione del Nagorno-Karabakh, territorio da sempre oggetto di scontro tra Armenia ed Azerbaijan, nonché terreno di confronto tra le potenze mondiali.  

 

– Rappresentanti militari della Corea del Nord e della Corea del Sud potrebbero incontrarsi in settimana per discutere le restrizioni in tema di comunicazioni e trasporti tra i due Paesi.

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Un Silvio cileno?

Nel nostro Paese Sebastián Piñera, vincitore delle elezioni presidenziali in Cile, è stato spesso accostato al premier per il fatto di essere l’uomo più ricco del Paese. Cosa significa veramente il ritorno della destra a Santiago?

 

TORNA LA DESTRA – Tutto come previsto dai risultati del primo turno e dai sondaggi: Sebastián Piñera, leader della Coalición por el Cambio, è il nuovo Presidente del Cile. La sua elezione è, nel suo piccolo, un risultato storico per la democrazia sudamericana, dal momento che rappresenta, a vent’anni esatti di distanza dalla fine del regime dittatoriale e sanguinario di Augusto Pinochet, il ritorno al potere nel Paese di un esponente della Destra. La Concertación, la coalizione di centrosinistra che dal 1990 aveva garantito il ripristino e il consolidamento delle istituzioni democratiche dopo quasi un ventennio di autoritarismo, ha subito la sua prima sconfitta e il suo candidato, il democristiano Eduardo Frei (già presidente dal 1994 al 2000), non potrà dunque succedere a Michelle Bachelet, la presidente uscente che si potrà ripresentare alle elezioni solo nel 2014. La Costituzione cilena prevede infatti che il Presidente possa essere eletto per non più di un mandato consecutivo.

Sebastián Piñera, che aveva già dominato il primo turno, ha vinto il ballottaggio di domenica 17 gennaio con il 51% delle preferenze, a fronte del 48% ottenuto da Frei. Un risultato, quello del candidato sconfitto, in ascesa rispetto al magro 29% registrato al primo turno, dovuto essenzialmente a due fattori. Il primo è la carenza di “appeal” del candidato: un politico conosciuto, forse troppo, dall’opinione pubblica cilena, che dopo la novità rappresentata dalla Bachelet aveva causato una rottura nella vita politica nazionale: non a caso il livello di apprezzamento nei suoi confronti, al momento di lasciare la carica presidenziale, era superiore all’80%. In secondo luogo, la Concertación ha pagato a carissimo prezzo la defezione del Partido Socialista, che ha deciso di correre da solo con il giovane candidato Marco Enríquez-Ominami. Vero outsider delle elezioni, Ominami ha ottenuto il 20% dei suffragi al primo turno grazie ad una piattaforma programmatica innovativa e trasversale, capace di guadagnare simpatie non solo a sinistra ma essenzialmente nelle fasce più giovani della popolazione. Per il ballottaggio il Partido Socialista ha deciso di rimanere neutrale ma, anche se la maggior parte dei suoi elettori si sono orientati verso Frei, Piñera ha avuto comunque gioco facile nell’arrivare alla vittoria. Un suicidio politico? Probabilmente sì, visto che il sistema elettorale cileno favorisce una distribuzione bipartitica dei seggi, e quindi il raggruppamento in coalizioni. In ogni caso, la Concertación non potrà prescindere per il futuro dal rinnovamento al suo interno e da un accordo con Enríquez-Ominami.

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CHI E’ PINERA? – In Italia il nuovo Presidente del Cile è stato accostato a Silvio Berlusconi, in quanto Sebastián Piñera è l’imprenditore più ricco del Paese andino. Maggiore azionista della compagnia aerea LAN e del network televisivo Chilevisión, ha costruito le sue fortune a partire dagli anni Settanta, proprio quando il regime di Pinochet muoveva i suoi primi passi. Nonostante questo, Piñera si dichiara assolutamente contrario a quanto accadde durante la dittatura e in campagna elettorale ha promesso politiche volte a contrastare la povertà e la disuguaglianza (nonostante gli enormi progressi economici, il Cile è ancora il terzo Paese sudamericano, dopo Brasile e Bolivia, in quanto a distribuzione eterogenea del reddito). Eppure, a Santiago il timore più grande è che il ritorno della Destra, e in particolare del partito Unión Democrata Independiente, che fa parte della coalizione vincente insieme a quello liberale ed è erede della tradizione conservatrice cilena, possa far retrocedere il Paese sudamericano agli anni bui della dittatura.

In realtà, il Cile sembra ormai una delle democrazie più mature del continente e la regola dell’alternanza fa parte del gioco, se si è appunto in una vera democrazia.

 

I CAMBIAMENTI – Sarebbe irrealistico tuttavia pensare che non ci sarà nessun cambiamento. Il nuovo inquilino del Palazzo della Moneda non si trasformerà di certo in un nuovo autocrate, ma è possibile che faccia leva sui media per canalizzare il consenso attorno alle sue politiche, almeno nel primo periodo di Governo. I livelli per fare previsioni sugli orientamenti di Piñera sono essenzialmente tre.

In politica interna, è possibile che l’esecutivo si impegni con più durezza nel settore della sicurezza e della lotta alla criminalità. Il nuovo Presidente ha promesso un governo “di unità nazionale” che agisca per il bene di tutti i cittadini, ma bisognerà vedere alla prova dei fatti se le politiche economiche e sociali saranno davvero volte a combattere le disuguaglianze. In particolare, il Cile attende da tempo una riforma dell’istruzione in senso egualitario che nemmeno Michelle Bachelet è stata in grado di varare.

Per quanto riguarda l’economia, non sembra che ci saranno grandi scostamenti rispetto al passato. Il Cile è pienamente integrato nel sistema internazionale per la sua grande quantità di Investimenti Diretti Esteri e in questi anni è stato in grado di diversificare il proprio apparato produttivo per renderlo il più autonomo possibile dalla dipendenza dall’estrazione del rame, di cui è il principale produttore mondiale.

Infine, la politica estera. Il Cile negli ultimi anni, nonostante esecutivi di centrosinistra, non ha mai sposato la causa del bolivarismo chavista e tantomeno lo farà da ora in poi. Piñera in campagna elettorale aveva già appoggiato la Colombia durante la querelle con il Venezuela relativa all’installazione di sette basi militari statunitensi. Ci sarà dunque un ulteriore avvicinamento a Bogotá e a Washington, ma non si deve presumere un muro contro muro con Caracas e i Paesi che gravitano nella sua orbita. Il Cile non guarda soltanto all’America Latina ma anche ai mercati nordamericani e all’area del Pacifico. In definitiva: l’orizzonte da Santiago non è così oscuro.

 

Davide Tentori

20 gennaio 2010

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